Una campagna elettorale sgangherata, un risultato che scardina un equilibrio già precario, un popolo che sentendosi sempre tradito sbanda nell’urna per affidarsi una volta ancora alle promesse dell’ultimo arrivato. Con il rischio di avere un presidente del consiglio, che sbaglia i congiuntivi e il cui curriculum non gli garantirebbe nemmeno un posto da bidello.
D’altronde l’usato insicuro ha fatto di tutto per stendere un tappeto allo stunami lievitato sulle promesse da gatto e la volpe con l’albero degli zecchini d’oro. A cominciare dal gatto Silvio, il cavaliere (smascherato) dalle sette vite. Che si inventa un leader che staziona da anni in Europa e di cui gli italiani hanno a malapena cognizione. Tajani chi era costui? Si sono domandati. Un nome uscito dal bussolotto solo alla fine, senza avere detto nemmeno una parola circa le sue intenzioni. Niente in confronto a quanto sono riusciti a fare a sinistra, fazione superfaziosa a cui spetta l’oscar del masochismo. Non bastava la divisione, i fuoriusciti fanno uscire dal mazzo un magistrato, la cui unica idea è quella improponibile di non fare pagare le tasse dell’università. In una scia infausta e colta da delirio di onnipotenza di giudici passati alla politica e puntualmente trombati: Di Pietro, Ingroia … Al resto ci pensa Pierino-la-peste-Matteo, l’autorottamatore. All’estero gli riconoscono meriti. In Italia è riuscito a rendersi antipatico persino ai beneficiari degli 80 euro. Non si accorse che quando decise di fare il referendum i suoi “compagni” presero la mira. E gliel’hanno fatta pagare. Avrebbe dovuto fare, come promise, il Cincinnato. Invece, bulletto e sceriffo com’è, è rimasto in sella: su un partito toro scatenato come quello meccanico. E la campanella, che gli passò il disgustato Letta, ha suonato per lui. Sparita Forza Italia, disintegrata la sinistra giganteggia adesso il terzo polo. Qualcuno giura sul Vangelo, qualcuno sul “vaffa”. Purché non ci facciano vedere … le stelle.