IL GIORNO DELLA TERRA
Questa Roma
(LA NEVICATA DEL 2018)
Roma una volta era un nobile, altezzosa signora, ora è una vecchia baldracca abbandonata. La mia strada ne è un esempio, un esempio dell'efficienza della "cura" Gualtieri.
In pieno sole, a mezzogiorno,
sullo sfondo azzurro dell’acqua
scintilla come un cielo di stelle:
Nello stanzone
bianco della chiesa
suonano vecchie canzoni
una voce, una chitarra
fra il pubblico
di gente incanutita.
La morte ti insegue
anche dopo la morte
nell’odore della morte
nei ricordi della morte
nello strazio della morte.
Yara è un fuscello in body
e i calzettoni di lana
per la ginnastica ritmica
a Brembate di Sopra.
Oggi si celebra, fra mito e realtà, la nascita di Venezia un luogo del cuore unico dalle suggestioni infinite. Questo il mio omaggio.
Non sono per gli afflussi incontrollati, ma non si può continuare a fare finta di niente di fronte a queste tragedie. Non a caso l'Europa non ha voluto rammentare le radici cristiane. E' un'Europa assassina.
Non ti amo, ti odio
ma se in questo momento
la vita mi mancasse
io morirei col tuo nome sulle labbra.
La volevo riservare per l'8 marzo, ma voglio vedere la reazione. Fino all'8 posso cambiare.
Oggi è la giornata mondiale della violenza sulle donne. Sto preparando un libro di poesie sul problema, che investe in particolare anche il nostro paese. Offro pertanto alla meditazione di chi legge, specie gli uomini, due poesie corredate dall'immagine simbolo della scarpa rossa e una mia croce. Perché il titolo del libro sarà: Crocifisse.
La morte ti insegue
anche dopo la morte
nell’odore della morte
nei ricordi della morte
nello strazio della morte.
Le bombe di Sicilia
diventano tombe
sono sangue di giustizia.
Le strade capovolte
le auto sventrate
i corpi a brandelli
il fumo che cancella
il sorriso di Falcone
la certezza di morire
sul viso di Borsellino.
Il pianto della vedova
nella chiesa gremita
la folla inferocita
per lo stato che abbandona
i suoi uomini migliori.
Quanti corpi riversi
sull’ asfalto arrossato
nell’isola che grida
la mattanza di Dalla Chiesa
la mattanza di chi sta
dalla parte sbagliata
per la mafia assassina.
Sono uomini in canottiera
sono uomini in cravatta
sono capi dei capi
sono capi mandamenti
sono gente di famiglia.
Picciotti e “soldati”.
dal bacio sulla bocca
come il bacio di Giuda.
Sono il guanto di sfida
alla faccia dello Stato,
uno stato vigliacco
che sacrifica i suoi eroi.
22 aprile: è il giorno della terra, ditelo, ricordatelo ai vostri figli. Come la lasceremo nelle loro mani?
Ieri sera ho visto un bel documentario crudo, chirurgico sulla mafia in Sicilia, mi ha emozionato. Un grazie e un inchino a quei morti dalla parte del giusto
La morte ti insegue
Anche dopo la morte
Nell’odore della morte
Nei ricordi della morte
Nello strazio della morte.
Le bombe di Sicilia
Sono Sangue di giustizia
Le strade capovolte
Le auto sventrate
I corpi a brandelli
Il fumo che cancella
Il sorriso di Falcone
La certezza di morire
Sul viso di Borsellino.
Il pianto della vedova
Nella chiesa gremita
La folla inferocita
Per lo stato che uccide
I suoi uomini migliori.
Quanti corpi riversi
Sull’ asfalto arrossato
Nell’ isola che grida
La mattanza dei tonni
La mattanza di Dalla Chiesa
La mattanza di chi sta
Dalla parte sbagliata
Per la mafia assassina.
Sono uomini in canottiera
Sono uomini in cravatta
Sono capi dei capi
Sono capi mandamenti
Sono gente di famiglia
Di picciotti e “soldati”
Con il bacio sulla bocca
Come il bacio di Giuda.
Sono il guanto di sfida
Alla faccia dello Stato.
Uno stato vigliacco
Che abbandona i suoi eroi.
Con la quarantena ci si dedica anche a risistemare cose lasciate indietro per tanti anni. E’ come entrare e rovistare in una vecchia soffitta. E’ capitato anche a me. Ed ecco apparire lavori di quando ero ragazzo, che avevo in gran parte dimenticato. Nella mia mente, avevo poco più di venti anni, dovevano essere testi per canzoni, mi immaginavo paroliere. Ne ho ritrovate circa venti, mi paiono ancora attuali e mi diverte riscoprirle. Ve ne propongo una:
I BAMBINI DEL MONDO
Li ho visti ridere i bambini del mondo
Sono tutti uguali se fanno un girotondo
Hanno una mamma che li sa coccolare
Un cane o un gatto per farli giocare
A Oriente e Occidente con lo stesso sorriso
Sgranano gli occhi su un limpido viso
Portan nell’ animo un fardello d’ amore
Che canta ovunque le lodi del Signore.
Su almeno un giorno facciamoli felici
Cacciando via la nostra indifferenza
Scordando che la vita ci ha reso delusi.
Sento che chiama la voce di un bambino
Solo e lontano non ha più una famiglia
Vale la pena di mettersi in cammino.
Li ho visti litigare i bambini del mondo
Imparano anche loro a battersi a fondo
Basta richiamarli con un poco di cuore
scoprire che è piccolo ogni loro dolore
Basta seminare un po’ meno di orrore
E capire che l’odio è solo un grande errore.
Per ritrovarsi infine tutti nei giardini
E fare della terra il mondo dei bambini.
In Italia pubblicare un libro è difficile, un libro di poesie quasi impossibile.
In Italia fare soldi con un libro è difficilissimo. Con un libro di poesie ci si rimette.
Ecco perché mi piacerebbe creare un movimento: “Metti una sera a cena con la poesia”. Ovvero se siete invitati da qualche parte, invece del solito dolcetto o della pianta, regalate un libro di poesie. Non necessariamente le mie. Il dolce finisce, il fiore appassisce la poesia è eterna. Regalatela in ogni occasione non ve ne pentirete e chi riceve l’omaggio prima o poi ve ne sarà grato. Fate da passaparola regalatela agli amici se vi piace. Fatela circolare. Lasciatela sulle panchine. Il mondo è talmente prosaico, che vale la pena di riscoprire e frequentare la poesia. Mi rivolgo in particolare alle signore, che spendono più di 100 euro per un profumo e poi quando ti incontrano ti dicono: “So che hai scritto un libro di poesie, me lo regali?” Anche se costa il prezzo di una mancia dal parrucchiere. Se approvare condividete, rilanciate, grazie.
LA SOLITUDINE DI DIO
Da quando Dio
sta pensando a me?
Da quando il mare
cantava nel vuoto.
Da quando il cielo
si specchiava nel nulla.
Da quando sentendosi tradito
nel tormento di essere Dio
cercò rifugio nelle creature.
Da quando alla fine
stanco si fece uomo
e sulla croce nei chiodi
stava cercando
con lo sguardo me.
Per non essere solo.
IO E DIO
Dio che c’è, Dio che non c’è,
Dio che folgora di fede
e a me che la cerco non la concede.
Dio al quale parlo ogni sera
e nel silenzio non risponde mai.
Dio che invoco, come sua Madre,
per restare solo alle soglie del sonno.
Dio al quale come un bambino
nella cantilena dei perché
avrei tante, tante domande da fare.
Dio perché il male? Dio perché la sofferenza?
Dio perché il dolore? Dio perché la guerra?
tu che parli d’amore.
E se anche riuscissi a spiegarmi
la ragione dei massimi sistemi
e dei grandi misteri per ammonire l’uomo
Dio dimmi perché tante inutili torture:
perché la malattia
perché una mente ottenebrata
un corpo che si buca
come un orcio di sangue?
E potrei continuare …
Dio non riesco a capire,
dammi almeno un perché,
Dio cosa ti ha insegnato tua Madre?
Eppure il libro dice, Dio misericordioso,
che siamo stati fatti
a tua immagine e somiglianza.
Dio hai sbagliato qualcosa?
Qual è la tua immagine?
Quella vera. Dov’è la somiglianza?
Solo nel fare il male
che sa fare anche l’uomo?
Dio, non bastava il diavolo
a fare quello che sai fare anche tu?
GIUBILEO
Se ne va nei fuochi
dell’ultima notte
il bagliore umbratile
di un morto Millennio.
Per mano anch’io
di pallida fede
dietro i passi sghembi
di un vecchio ricurvo.
Si inginocchia l’acciaio
vestito d’arcobaleno
del papa straniero
all’uomo ed al tempo
sotto la Porta Santa.
Mille anni davanti
anno del Giubileo.
L’antica tromba
dell’ebraico jabel
risuona nel tunnel
dei secoli in cammino
e le parole affondano
in cerca del perdono.
Sangue di martiri
sangue di eretici
sangue d’innocenti
sangue di streghe
sangue di cavalieri
sangue di una croce
sguainata come spada.
E pellegrini andiamo
gli uni come gli altri
con le preghiere o meno
incontro al tempo nuovo
sogno inseguito
dal tempo di Adamo.
Tutti in qualche modo
pellegrini del mondo.
E mille anni davanti:
chissà se riusciremo
ad essere Uomini.
GIRO VENEZIA
Giro fra le calli attonito in un presagio di strani sentimenti. Perché non si può andare a Venezia senza pensare a morire. Con i fiori sulle gondole nere che scivolano in silenzio come bare alla deriva. Venezia con la pioggia che sfrigola sul verde dei canali incupiti e l’acqua rafferma, Venezia raggelata nei voli dei piccioni i gerani sui balconi. Venezia come un altro mondo dove memoria e oblio si aggrappano sui muri in un’edera infinita, come l’albero che sale strozzato fra le quinte dei palazzi e l’onda che sbatte sulle pietre consumate. Giro Venezia come una fiaba invecchiata dove le voci sono una musica che sa di mare e sorride fra i denti di una ragazza dai riccioli biondi. Giro Venezia fra trine e merletti come una vita ormai dimenticata. Giro Venezia con il canto del cigno. Venezia, come un amore che sta per morire, ma che ancora non muore. |
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CARNEVALE A VENEZIA
Ho l’autunno nel cuore in questa Venezia gonfia di pioggia e di gabbiani. Come se una coltre di neve fosse caduta a gelare gli amori di un tempo. Hai visto? No, non vedo più niente oltre la cortina grigia dove la nebbia e l’acqua sfumano in un unico piatto fondale. Con la sagoma di una gondola che non ha gondoliere, che non porta nessuno che sciaborda e si culla in una nenia antica fra i denti cariati. Con il vecchio frate piccolo come uno gnomo che sale sul campanile ad agitare i batacchi sopra merletti di pietra. Mentre l’acqua sale e respira e Venezia sembra affogare. Il tempo dell’ultima maschera che scivola buia nella notte nell’imbuto di un vicolo dopo l’arco di un ponte. Silenziosa, frusciante vestita di nero. Due occhi infossati il teschio di calce. Nell’autunno del cuore porta anche una falce. Mentre un uccello grida con le ali nel vento. |
Non ti amo, ti odio
ma se in questo momento
la vita mi mancasse
io morirei
col tuo nome sulle labbra.
Quando un giorno vidi
una ragazza a cavalcioni
non più all’amazzone
su una motocicletta
capii d’un tratto
che il mondo cambiava.
Avanzavano donne
robot replicanti
di antiche divinità
dai corpi sguainati
come fossero armi
gambe per baionette
e seni per corazza,
idrovore per bocca.
Donne del duemila
mantidi di un amore
diventato guerriglia.
Le ragazze del duemila,
morbide e vellutate
fragili e delicate
solo all’apparenza,
hanno gambe scolpite
dai pantaloncini di tela
da minigonne inguinali.
Paiono fuggire impudiche
da un quadro di Balthus
da uno scatto di Avedon
fra fumi e soffici veli
moderne Salomé
in cerca di scalpi.
Hanno forme slanciate
come le onde o le dune
e profumano in fiore,
carezze allo sguardo
di un essere stanco
piegato dagli anni.
Ahi quel sentore lontano
di carne giovane e liscia
di femmina in boccio,
di erotici giochi
con la pelle d’argento
sotto un cielo di luna.
Le ragazze del duemila
corazzate pulzelle
armate del loro corpo
consapevoli e lucide
di un vigore seducente
si trasformano negli anni:
da crisalidi leggiadre
da farfalle sospese
alle seduzioni di Newton
in un gioco anche sado
con i tacchi a spillo
ed il pube prominente.
Farfalle che talvolta
la voglia pazza
di uomini senz’anima
infilza con gli spilli
nell’agguato più vile.
Le ragazze del Duemila
le osservo e le ammiro
come guardo un quadro
come leggo una poesia
come ascolto una canzone.
Ho collezionato figurine,
ho collezionato monete,
ho collezionato francobolli,
ho collezionato altro ancora
delusioni, amarezze, tradimenti …
ho inventato tanti amori
avrei dovuto collezionare
solo fanciulle in fiore.
Non credo di amare più
le donne o una donna.
Amo la femminilità
frastagliata in tante donne.
Una mano che ravvia i capelli
una chioma sgualcita dal vento
boccoli che ricadono a cascata
una treccia che avvolge la fronte
un sorriso sui denti d’avorio
due labbra socchiuse come un cuore
la carnalità nascosta e svelata
una camicetta aperta sul seno
due boccioli di fiore in trasparenza
una gonna leggera sollevata dal vento
gambe lunghe sguainate nel cammino.
Un buffetto amichevole sul braccio
una piroetta per mostrare il vestito
due occhi maliziosi senza fondo
un corpo levigato da svenire.
Sono Eva, Ava e Giovanna d’Arco,
Sono rimasto
sulla spiaggia di Praslin
sotto la luna tagliata a metà
cercando in cielo
la croce del sud.
Sono rimasto
sulla sabbia bianca e leggera
come un velo da sposa
mentre nella Val de Mai
il pappagallo nero
vola fra i cocchi
che fanno l’amore.
Ho camminato a piedi nudi
sulla spiaggia di Praslin
fra detriti di corallo
e conchiglie marcite
che il respiro quieto del mare
trascina a riva
in una bava di schiuma.
Nel bagliore di cristallo
ho ballato solitario un segà
sulla spiaggia di Praslin
tra i granchi che pattinano,
il canto notturno degli uccelli
i tentacoli verdi del takamaka.
Ho ballato sotto la luna
la notte intera
tra fantasmi di barche
ed un fuoco lontano.
Ho ballato fino all’alba
con la mia ombra
che mi ha riconosciuto
e muovendosi come me
non mi ha lasciato più.
Per scoprire che in fondo
solo lei mi è fedele.
Vorrei tornare giovane
mettermi in livrea per te
come quando a primavera
gli alberi in fiore
fanno la ruota del pavone.
Cade la neve su Roma,
la città si imbianca
come un’educanda
nel suo velo da sposa.
-- --
Roma si veste di neve
mentre il Colosseo si copre
con una sciarpa bianca.
___
Roma innevata di notte
è una vecchia mignotta
che indossa sciantosa
una stola di ermellino.
-- -- -
È uno stupro
di rami spezzati
la neve sul pino
cresciuto per il mare.
Che tornato nel sole
si scioglie in un pianto
di lacrime bianche.
-- -- --
C’è un chiarore strano
nella notte imbiancata
con il cielo da neve.
Come se la terra intera
si trasformasse
in un fantasma gigante.
-- -- -- -
La neve scendeva fitta
con fiocchi enormi
come riccioli nel vento.
-- -- -
La neve candida
è l’infanzia
la neve sporcata
è la vita
la neve disciolta
è la morte.
06/09/2017
MIO PADRE
Vecchio stanco
dalle mani bianche
trapunte di cera.
Gli ultimi respiri
strappati alla vita
sempre più piano
nell’affanno crescente.
Ancora sulla pelle
la sensazione
di un sorriso
e di un passo malfermo
con il bastone.
L’immagine nel ricordo
di una sedia
in riva al lago
all’ombra avara del salice
gentile e sgraziato:
il cappello da marinaio
il giornale fra le dita.
Era l’addio
del vecchio stanco
dalle mani bianche
trapunte di cera.
Da "Le stagioni del Turano" Premio Laurentum
disegno di Maria Grazia Lapislazio
Mi diletto a scrivere anche poesie brevi e aforismi quelle che chiamo minime e massime o bonsai. di una sono particolarmente fiero perché credo si tratti di un primato da guinnes con un titolo più lungo della poesiola:
MICROTRAGEDIA D'AMORE
SI?
NO!
KO.
12/09/2017
CECILIA (Il male)
Hai occhi di laguna verde
liquidi e trasparenti
come non ho visto mai
distesa sul letto bianco
con le spalle nude
la ferita sul cranio
la ricrescita argento
e la testa rasata
come in un campo
di concentramento,
ma ancora bella
come un totem scolpito.
Tu così viva non sei nata
per soffrire allacciata
al respiro, il collo offeso
con tubi trasparenti
dai bottoni colorati.
Al fianco macchine
e numeri accesi di rosso
nel duello della vita,
PER LA VITA.
le labbra distorte
tumefatte si sforzano
ma non esce un suono
nelle sillabe soffiate
non si coglie il senso
mentre alzi gli occhi al cielo.
Tu così piena di energie
tu così fiera e battagliera
ora sfinita, disarmata
il corpo abbandonato
una marionetta senza fili
nella camera d’ospedale
affacciata alla campagna.
Ricordi quando al lago
raccoglievi nella mano
gli uccelli caduti implumi?
Ora sei come loro,
lo sguardo vitreo, spento
la mano che stringe appena
come stringevi la rondine,
innocente e impaurita,
come una creatura
che ha smarrito la strada.
Ti ho protetta sempre
ora non posso più.
Vorrei darti la forza
che anche io sto perdendo
come il coraggio di dirti bugie
per un domani migliore.
Non lo sanno i medici
lo sa solo il tuo angelo
se lui è mai esistito.
DA "LE STAGIONI DEL TURANO" il libro che ha vinto il "PREMIO LAURENTUM", la poesia singola che ha vinto il Premio speciale "LE ROSSE PERGAMENE."
FRANCO PICCHINI RECITA LA POESIA "IL VENTO" DAL LIBRO "LE STAGIONI DEL TURANO"
21/09/2017
FRANCO PICCHINI RECITA "RICORDO, RICORDO, RICORDO" DAL LIBRO "LE STAGIONI DEL TURANO"
28/09/2017