Antonio del POLLAIOLO
(b. 1431/32, Firenze, d. 1498, Roma)
Tomb of Pope Innocent VIII 1492-98
Gilded bronze, height 549 cm
Basilica di San Pietro, Vatican
The tomb consists of two parts with the deceased represented twice, alive and dead. The lower section contains the sarcophagus with recumbent effigy, above which is the three-dimensional Pope bestowing the apostolic blessing, surrounded by reliefs of the four cardinal virtues. On top, a heavy cornice is surmounted by a lunette with the three theological virtues in relief (Charity in a mandorla usurps the traditional place of the Madonna and Child). from Web Gallery
na stupenda immagine (al centro) della parte superiore del monumento funebre di Innocenzo VIII, che si trova nella Basilica di San Pietro. La foto è stata concessa dalla Fabrica di San Pietro in Vaticano, che sentitamente ringraziamo, in via del tutto "eccezionale". Eccezionale è l'aggettivo più ricorrente nella richiesta del Cardinale francese Donnet che redasse la postulazione per introdurre la causa di beatificazione di Cristoforo Colombo. Nella statua di Antonio Pollaiolo il pontefice con la destra è in atto benedicente, mentre con la sinistra stringe la lancia di Longino, il soldato romano, che trafisse il costato di Gesù Cristo sulla croce per accelerarne la morte. L'alabarda è stata inseguita da alcuni dei più grandi protagonisti della storia, da Carlo Magno ad Hitler, perché darebbe a chi la possiede l’immortalità e il dominio del mondo intero. Da notare che la tomba è l’unica traslata dall’antica basilica costantiniana alla nuova in un omaggio strano per un pontefice colpito da “damnatio memoriae”. Ed è anche l’unica in cui il pontefice è ritratto due volte, in vita e in morte, come si può vedere nel totale del mausoleo a destra. C’è da aggiungere che oltre all’epigrafe che fa riferimento alla scoperta dell’America “nel suo tempo” (1484-1492, si vedano le altre foto sotto) le date di morte di Giovanni Battista Cybo sono differenti fra l’epigrafe in basso ed una scritta posta più in alto.
Da sinistra Cristoforo Colombo in un dipinto, scoperto recentemente, del pittore spagnolo Pedro Berruguete, Arano Cybo il padre del papa Innocenzo VIII Giovanni Battista Cybo, il ritratto di un vecchio ad opera del Ghirlandaio ed il famoso ritratto del navigatore sempre a firma del Ghirlandaio. Le prime 3 immagini evidenziano una notevole somiglianza. Il ritratto del vecchio, che rimane anonimo, assomiglia ai primi due ed è vestito praticamente come era abbigliato l'ammiraglio cittadino genovese.
Si tratta solo di coincidenze?
Questa la biografia di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, che compare sul Dizionario della Treccani. Non ne condividiamo parecchi punti (a cominciare dall’omissione dell’y greca nel cognome), mentre abbiamo sottolineato con il neretto quelli che ci paiono gli elementi più importanti e più rispondenti alla convinzione che ci siamo fatta, in 25 anni, della vera statura del pontefice, che abbiamo da sempre considerato il vero "sponsor" del primo viaggio colombiano.
A sinistra il particolare di un poster, che ancora oggi si vende in Vaticano, con l’elenco di tutti i vicari di Cristo romani, a cominciare da San Pietro. Per Innocenzo VIII si conferma il suo essere uomo di pace. Ma quello che è più incredibile si aggiunge che “aiutò Cristoforo Colombo”, cosa mai detta in 500 anni di storia e confermata dall’epigrafe sulla tomba del pontefice nella basilica romana. Il mausoleo, opera stupenda del Pollaiolo, è l’unico traslato dal vecchio tempio costantiniano al nuovo, in un omaggio singolare per un papa ignorato e colpito da “damnatio memoriae”. Questo è uno dei cavalli di battaglia strumentalmente e scorrettamente usato dagli accademici per confutare che le nostre tesi, vanno avanti con studi approfonditi da ormai 25 anni, sarebbero basate unicamente su un pezzo di carta ascientifico, venduto persino nelle edicole. E pensare che abbiamo scritto circa 800 pagine con una valanga di prove con tanto di note! Quelle vengono ignorate.
Ma quello che avvalora ancora di più, anche scientificamente, la sorprendente affermazione circa Innocenzo VIII e Colombo, è la vecchia edizione confezionata in libretto dell’odierno poster. Che fu visionato e approvato dal Cardinale Angelo Mercati responsabile, dell’Archivio segreto vaticano. Un imprimatur che lo rende definitivamente scientifico! Alla faccia dei presunti soloni colombiani. Scientificamente ciechi.
L’epigrafe sulla tomba di Innocenzo VIII in Vaticano contiene un’indicazione interpretata sempre come un anacronismo dagli studiosi (!). Nulla di più falso. Benché posta nel 1621 sotto papa Paolo V Borghese, ristrutturatore dell’Archivio segreto Vaticano, la lapide fotografa una clamorosa realtà sottaciuta, laddove alla terza riga compare questa frase: “Novi orbis suo aevo inventi gloria”, ovvero “Nel tempo del suo pontificato la gloria della scoperta di un nuovo mondo”. Si dice che Giovanni Battista Cybo sia morto il 25 luglio del 1492. Giorno fra l’altro in cui ancora oggi si festeggia San Cristoforo. Il pontefice, consuocero di Lorenzo il Magnifico, a sua volta morto in primavera, sarebbe deceduto una settimana prima che Colombo salpi da Palos. Ma in un’altra zona del mausoleo la data della morte è indicata in un tempo successivo. Senza contare che si sospetta che sia il Magnifico che il successore di Pietro sarebbero stati assassinati col veleno. Se si aggiunge che il successore è il Borgia, se si considera che il feretro bellissimo del Pollaiolo è l’unico traslato dalla vecchia basilica costantiniana alla nuova in un omaggio singolare per un uomo condannato dalla storia, che il papa vi figura, caso unico, in due posizioni in vita con in mano la lancia di Longino, che dà il potere del mondo e l’immortalità ed in morte, è evidente che ci troviamo di fronte a un manufatto pieno di misteri e di verità velate. Fra l’altro che la scritta sia stata attentamente vagliata è dimostrato dal fatto che la parola imperatore, riferita all’infedele turco Bajazet, è stata cambiata in tyranno secondo i nuovi orientamenti del Vaticano. Perché quella correzione mentre la più “eretica” dicitura riferita alla scoperta dell’America è stata lasciata e non viene cancellata?
Alessandro VI, Rodrigo Borgia, è il papa che la storia attribuisce all’impresa di Colombo e che, al ritorno dal primo viaggio, nella bolla che divide il mondo in due, tra spagnoli e portoghesi, con la famosa raja, definisce addirittura Colombo “dilecte fili mi”. Ebbene la tomba del pontefice spagnolo, la cui importanza sarebbe fondamentale per l’inizio della storia moderna, non è in San Pietro, ma confinata con lo zio Callisto in via Monserrato, nella chiesa degli spagnoli. Ben differente il trattamento riservato al papa “decaparecido”, che contribuì a finanziare la spedizione e forse padre del navigatore, la cui posizione in san Pietro può definirsi unica, visto che nessun altro successore di Pietro può vantare una doppia effigie statuaria come nel bellissimo mausoleo del Pollaiolo.
Il mistero che circonda il pontificato di Innocenzo VIII, lo “sponsor” di Cristoforo Colombo è senza fine, come abbiamo rilevato ormai infinite volte. A cominciare dall’epitaffio sulla tomba del Pollaiolo in San Pietro, che fa riferimento alla scoperta del Nuovo Mondo. Che non è però il solo arcano del bellissimo monumento, l’unico trasferito dalla vecchia basilica costantiniana alla nuova. Strano omaggio per un pontefice malfamato dalla storia grazie anche al successore Borgia. Sappiamo che Giovanni Battista Cybo morì il 25 luglio (curiosamente è il giorno di san Cristoforo) del 1492, sette giorni prima della partenza di Cristoforo Colombo. Ma clamorosamente in un’ulteriore scritta che compare sul mausoleo la data è un’altra. L’abbiamo fatta interpretare, sarebbe 1493, altri sostengono 1497, il che è impossibile. Mentre un anno cambierebbe tutta la storia, in quella che ormai definiamo senza tema una tradizione che corrisponde ad una “barzelletta d’antiquariato”. Qualcuno può darci una mano?
Innocenzo VIII guarito da un dolore grazie alla Madonna fiorentina dell'Annunziata, Santissima Annunziata, Firenze. Ulivelli fu attivo principalmente a Firenze, dove fu il maggiore allievo e assistente del Volterrano. Dopo la scomparsa del suo maestro intraprese una lunga carriera di successo, soprattutto come frescante per i maggiori conventi e palazzi privati fiorentini. Per esempio afffrescò la parte superiore della navata della basilica della Santissima Annunziata.
I cardinali fatti da innocenzo viiiNella notte tra il 10 agosto e l'11 agosto, il Sacro Collegio volle elevare al Soglio pontificio il cardinal Rodrigo Borja y Borja, valenzano. Fu incoronato in San Pietro il 26 agosto successivo con il nome di Alessandro VI. Aveva 61 anni.
Il Conclave era così composto:
Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi dei conti di Lavagna (Manarola, 1195 circa – Napoli, 7 dicembre 1254), è stato il 180º papa della Chiesa cattolica dal 1243 alla sua morte. E’ il pontefice al quale si ricollega il pontificato di Giovanni Battista Cybo, Innocenzo VIII. Las Casas scrive che i Fieschi, una delle famiglie nobili più importanti di Genova, erano parenti di Cristoforo Colombo. Lo stesso doveva dunque essere con i Cybo.
Innocenzo IV era figlio di Ugo, conte di Lavagna e della nobile Beatrice Grillo (di Amico). Studiò a Parma e a Bologna entrando a far parte dei canonici del Capitolo della Cattedrale di Parma e divenendo uno dei migliori canonisti della sua epoca. Nel 1226 è menzionato come uditore della Curia. Fu creato cardinale prete da papa Gregorio IX il 23 settembre 1227 con il titolo di san Lorenzo in ucina. Il 28 luglio fu nominato vice-cancelliere di Roma.Nel 1235 divenne vescovo di Albenga e legato per l'Italia del Nord.
Fu tra gli otto cardinali che parteciparono al conclave del 1241 che portò all'elezione di papa Celestino IV. Elessero un uomo molto anziano e già malato, Goffredo Castiglioni, che morì dopo diciassette giorni dall'elezione.
Si era in pieno contrasto tra Sacro Romano Impero e Santa Sede, con le rispettive fazioni dei ghibellini (rappresentati a Roma dai Colonna) e dei guelfi (guidati dagli Orsini). Passarono due anni prima di una nuova elezione per le precarie condizioni di sicurezza in cui viveva la città di Roma, sempre minacciata da un possibile assedio dell'esercito dell'imperatore Federico II e per i numerosi tentativi che gli otto cardinali fecero per ottenere la liberazione dei due cardinali fatti prigionieri dall'Imperatore. Gli otto cardinali si riunirono nel febbraio 1242 ad Anagni, ai confini dello Stato Pontificio, e dopo molte trattative riuscirono a far rilasciare i due prigionieri, con l'accordo del loro ritorno in prigionia al termine dell'elezione. Il Sacro Collegio poté quindi riunirsi nel giugno 1243. Sinibaldo Fieschi fu eletto all'unanimità pontefice il 25 giugno 1243 ad Anagni grazie anche all'avallo di Federico II, forse fiducioso che il nuovo papa fosse più arrendevole alle sue mire espansionistiche. Fu consacrato ad Anagni il 28 giugno con il nome di Innocenzo IV, in chiaro riferimento alla linea politica di Innocenzo III. Da notare oltre al rapporto con l’ordine dei Templari il fatto che Innocenzo IV si interessò a contatti con i Tartari inviando francescani e domenicani (nell’ immagine al centro)
Francesco Sansovino: Origine e fatti delle famiglie illustri d'Italia: Cybo
Download del documento in formato PDF (27 Mb)
Un manoscritto, databile entro il 1487, contiene la traduzione latina, eseguita da Angelo Poliziano, dell'opera di Erodiano dal titolo "Historiae de imperio post Marcum vel de suis temporibus liber primus ex graeco translatus Angelo Politiano interprete ad Innocentium Octavuum pontificem maximum", che risulta edita: cfr. HERODIANUS SYRUS, Herodiani Historiae de imperio post Marcum, vel de suis temporibus, Angelo Politiano interprete, Lugduni, apud haered. Seb. Gryphii, 1559. Poliziano, sollecitato da papa Innocenzo VIII a tradurre l'opera di uno storico greco dell'impero romano, scelse questo testo di Erodiano, che comprendeva la storia dell'impero romano dalla morte di Marco Aurelio 80 d.C.) all'inizio del regno di Gordiano (238 d.C.). La traduzione fu presentata al pontefice dall'ambasciatore fiorentino Giovanni Lanfredini, secondo quanto riportato in una lettera a quest'ultimo inviata da Lorenzo de' Medici e datata per l’'appunto 22 luglio 1487. Come si desume dallo stemma di papa Innocenzo VIII presente nel "bas de page" ill pontefice risulta uno dei possessori del manoscritto, oltre che il committente. Nel 1491 il codice è riportato nei registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana, alla quale apparteneva; scomparve da lì in data non accertabile e ricomparve nella biblioteca privata di Lord Mostyn. Il manoscritto è stato acquistato in occasione di un'asta organizzata da Sotheby per la collezione di Alfred Chester Beatty nel 1920 e lì rimase fino all'acquisto da parte del Ministero dell'Educazione nel 1932 (cfr. Mostra del Poliziano nella Biblioteca Medicea Laurenziana. Manoscritti, libri rari, autografi e documenti. Firenze 23 settembre - 30 novembre 1954).
Questo è il Belvedere, la più imponente e maestosa costruzione in San Pietro voluta da papa Innocenzo VIII. Giovanni Battista Cybo ebbe al suo servizio pittori, solo per fare un esempio, come Mantegna e Pinturicchio. Nel cortile del Belvedere si svolgevano spettacoli e festeggiamenti, come questa cerimonia nuziale riprodotta da un'antica stampa. A parte la costruzione modificata tutto è andato distrutto. Quanto basta a molti storici per dire che non fu un papa mecenate e perfino grossolano!
Beatrice de Silva Meneses è una santa del Portogallo, vissuta in quel periodo di grande movimento politico, storico, culturale e religioso che precedette e fu contemporaneo dell’impresa di Cristoforo Colombo e della scoperta dell’America. Beatrice nacque a Campo Mayor nel 1424 in una famiglia nobile, sorella del beato Amedeo de Silva e imparentata con la famiglia reale portoghese. Accompagnò l’Infante Isabella del Portogallo come dama di onore, quando questa nel 1447 sposò Giovanni II di Castiglia; la sua bellezza e la sua virtù, attirò i nobili castigliani, che si contesero la sua amicizia e il suo amore; ciò suscitò la gelosia della regina Isabella che la maltrattò, fino a chiuderla per tre giorni in una cassapanca, mettendola a rischio di perdere la vita. Una volta liberata, fece voto di castità e di nascosto, partì diretta a Toledo; la tradizione dice che l’accompagnarono nel viaggio le apparizioni di s. Francesco d’Assisi e di s. Antonio di Padova; giunta a Toledo entrò nel monastero domenicano di S. Domenico "El Real", dove visse per circa 30 anni. Ma in lei già da tempo vi era il desiderio di fondare un nuovo Ordine religioso in onore dell’Immacolata Concezione, per questo scopo ottenne l’appoggio di Isabella la Cattolica (1451-1504), figlia di Giovanni II e dal 1474 regina di Castiglia e poi regina di Spagna nel 1479, dopo l’unione dei due regni di Castiglia e d’Aragona; la regina le donò il suo palazzo di Galiana in Toledo, con l’annessa chiesa di Santa Fè. Beatrice nel 1484 si trasferì nella nuova residenza con dodici compagne, dando così inizio ad una nuova Famiglia monastica, l'Ordine della Immacolata Concezione, la cui Regola venne scritta da lei stessa. L'Ordine fu approvato da papa Innocenzo VIII il 30 aprile 1489.
Dopo aver ricevuto l’abito ed emesso i voti religiosi, morì a Toledo il 1° settembre 1490, alla vigilia della professione religiosa del primo gruppo del nuovo Ordine; precursore del culto e della teologia del dogma dell’Immacolata Concezione, che sarà proclamato circa 400 anni dopo da Pio IX. Il suo culto instauratosi spontaneamente nel mondo francescano e iberico, fu confermato con il titolo di beata il 28 luglio 1926; papa Paolo VI l’ha canonizzata il 3 ottobre 1976.Proclamandola santa nel 1976, PaoloVI ricordava ancora: «Nessuna parola di questa santa è pervenuta a noi nelle sue sillabe testuali, nessuna eco della sua voce»; ma la sua opera è viva nella«nuova e tuttora fiorentissima famiglia religiosa da lei fondata».
In uno dei castelli romani, sulle scale di una casa privata c’è questa strana lapide. Dove si dice che papa Paolo V Borghese scese “ad infimos” per incontrare un Lorenzo Colombo. Che ci faceva un pontefice in quella modesta casa? E perché ci andò? E chi era Lorenzo Colombo? Sembrerebbero domande volte a soddisfare semplici curiosità. Ma non è così. Papa Paolo V fu il ristrutturatore dell’Archivio segreto vaticano è il papa la cui scritta campeggia lungo tutta la facciata di San Pietro. Ma soprattutto è il pontefice, che era sulla cattedra di Pietro, quando fu aperta la tomba di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il cui corpo, a distanza di oltre un secolo, fu trovato integro e in odore di violetta. Ma soprattutto fu colui che consentì al discendente diretto di Innocenzo, Alberico Cybo Malaspina (notare la Y greca rivelatrice delle origini della famiglia) di apporre un’altra lapide sul mausoleo del Pollaiolo (l’unico traslato dalla vecchia basilica costantiniana alla nuova) in cui è incisa la frase “novi orbis suo aevo inventi gloria”. Cioè “nel tempo del suo pontificato la gloria della scoperta di un Nuovo mondo”. Mentre Innocenzo morì sette giorni prima della partenza da Palos di Cristoforo Colombo. A conferma che il 1492 fu la ripetizione ufficiale di un viaggio già fatto. E successivamente cancellato. Come attesta anche la mappa dell’ammiraglio turco Piri Reis.
L’arrivo a Roma della lancia del destino, che offese il costato di Cristo, portata Roma in processione da Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo. A precedere il baldacchino, riconoscibile per il turbante, Djem, il figlio di Maometto II, il conquistatore nel 1453 di Costantinopoli, ostaggio e alleato in Vaticano in vista della riconquista di Gerusalemme e del Santo Sepolcro. Le immagini ci sono state inviate da Simone Cristao. L’affresco compare nelle grotte vaticane. Per ulteriori particolari sull’importanza della lancia e del rapporto fra il pontefice cattolico romano e il principe musulmano si ricerchino gli argomenti in altre pagine e altri articoli del sito.
La Famiglia Cybo, discendente di papa Innocenzo VIII, il papa “sponsor” di Cristoforo Colombo, ebbe, fra l’altro, la signoria di Ferentillo, in Umbria, con Lorenzo e poi Alberico Cybo Malaspina. A loro si deve nel paese la ristrutturazione della chiesa di Santo Stefano. ll primo martire cristiano era di origine greca e quasi sicuramente si trattò di un giudeo convertito al cristianesimo. Strani ricorsi visto che i Cybo sono di origine greca, con una componente di sangue ebreo. Il padre del pontefice Giovanni Battista si chiamava Aronne. Ma quello che più sorprende è il rosone del luogo di culto, che oggi fra l’altro accoglie il museo delle mummie. Un rosone, uguale allo stemma di Carrara (senza il sole però) altro feudo dei Cybo, decisamente sui generis: più che assomigliare ai consueti e arabescati rosoni delle nostre chiese sembra il timone di un’imbarcazione. Con un sole raggiante in mezzo, che è il simbolo di Cristo, ma anche il cammino dell’astro (il rosone è una ruota-cerchio come la sfera geografica che si completava) lungo la ruota del sole che inseguirono verso ponente le caravelle di Cristoforo Colombo. Forse solo suggestioni per chi è convinto che fra i Cybo e Colombo ci sia uno stretto vincolo di sangue, in un codice che si è sempre affidato al simbolismo.
Nelle foto il rosone di Santo Stefano (al centro) lo stemma di Carrara e un timone di barca a sinistra, a destra infine un rosone classico di chiesa.
Il 2 gennaio del 1492 con la presa di Granada cadeva l’enclave musulmana in Spagna, dopo 750 anni di dominazione e di conflittualità costante. L’agiografia ha da sempre accompagnato l’operato di Isabella di Castiglia e di Ferdinando d’Aragona, come in questo quadro magniloquente. In effetti si trattò di una pace concordata, con molte promesse fatte ai musulmani, che verranno presto disattese dalle teste coronate. Proprio per la loro lotta contro i Mori il papa Giovanni Battista Cybo, aveva nominato “re cattolici” la coppia regale. Dopo avere finanziato da tempo con una bolla la guerra.
Il filone esoterico che caratterizzò il papato di Giovanni Battista Cybo, Innocenzo VIII, si fece ulteriormente palese con i suoi discendenti ed in particolare con Alberico Cybo, principe di Massa, al quale fu concesso anche di battere moneta. E’ sufficiente guardare i soggetti scelti per alcune di queste per rendersene conto. Con un simbolismo che sarà anche, per alcune immagini, della Massoneria. Curiosi i tre cervi che attraversano il mare, come tre caravelle, mentre l’animale è anche uno dei modi di rappresentare Cristo. La botte è un perfetto athanor alchemico, il tempietto che si vede sullo sfondo di quello più grande è quanto mai simile a quello che compare in una immagine massonica il cui pavimento è identico ai cubi dei Cybo. Il pavone sembrerebbe Più un tacchino americano, mentre l’incudine richiama uno dei tanti mestieri e la figura del fabbro forgiatore. Valga il medesimo discorso per la complessa “architettura” degli statuti di Massa dove sono numerosi i richiami ai significati nascosti delle varie figurazioni.
Medaglia sigillo di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo (1484-1492), il papa cittadino genovese e oriundo della Grecia che fu lo “sponsor” di Cristoforo Colombo e che morì solo 7 giorni prima della sua partenza. La spedizione fu voluta dalla Chiesa di Roma, nella persona di quello che il Pastor, il grande storico dei papi, ha definito “il papa marinaro” e la cui tomba in San Pietro è l’unica traslata dalla vecchia alla nuova basilica vaticana. In un omaggio strano per un pontefice, colpito da “damnatio memoriae”, grazie anche al suo successore, lo spagnolo Rodrigo Borgia, che assegnerà le terre scoperte alle teste coronate della sua Spagna. Di Innocenzo VIII non rimane molto.
Papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il pontefice che finanziò il viaggio di Colombo, riuscì nell’impresa che molti suoi predecessori cercarono di realizzare senza però mai riuscirci: l’unione tra i vari ordini cavallereschi, che spesso erano rivali fra loro. Lo testimonia l’immagine che riproduciamo. Per questo le croci sulle vele di Colombo cambiano spesso di colore e di forma, ora rosse, ora verdi, come lo stendardo con sui sbarca con la F e la Y, Ferens Yesus; croci ora singole, ora molteplici in una sintesi di eredità templari, mutuate nell’Ordine di Rodi, del Santo Sepolcro, di Santiago e di San Lazzaro … D’altronde che Colombo fosse un cavaliere e un crociato non ci sono dubbi. Lo testimoniano molte immagini e i suoi stemmi (vedere lanci precedenti sul sito). Lo fa intendere lui stesso quando, messo ingiustamente sotto accusa, scrive che non può essere giudicato come una persona qualunque, ma come un “capitano” che si è recato in terre sconosciute per conquistare e combattere. Tanto più che come crociato partecipò alla presa di Granada contro i Mori di Spagna. E che come crociata per l’evangelizzazione di nuovi popoli va intesa la sua spedizione visto che nelle capitolazioni con i re di Spagna si parla di un’ “armada” che va alle Indie, nonostante tre sole imbarcazioni. Mentre l’impresa viene fatta soprattutto allo scopo di realizzare la santa crociata, con l’oro trovato, per la riconquista di Gerusalemme e del Santo sepolcro, in mano agli infedeli. Un impegno che Colombo ripeterà in tutti i suoi scritti e che non dimenticherà nemmeno nel suo testamento.
Due medaglie dedicate a Innocenzo VIII, il papa “sponsor” di Colombo, legato al navigatore anche dal sangue. Nipote, figlio illegittimo? Una in particolare delle due, mai vista, si mostra particolarmente interessante. Chi sono i tre personaggi che fanno da ala al Pontefice? Chiediamo lumi anche a chi ci segue o si imbatte, con cognizione di causa, in queste immagini.
Il simbolo della conchiglia è molto diffuso, fin dall’antichità, ma si moltiplica nelle immagini e nelle sculture al tempo di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo (1484-1492). Al punto che compare ripetuta nella sua bellissima tomba del Pollaiolo in San Pietro. Un simbolo che conserveranno anche i suoi discendenti, come appare sulle finestre del Palazzo ducale di Massa dei Cybo Malaspina.
IL DOPPIO GIOCO DI INNOCENZO VIII CON I FIGLI DI MAOMETTO II, DOPO LA PERDITA DI BISANZIO
Il 13 marzo 1489 Djem arrivò a Roma, accolto da una gran folla di curiosi. Al principe turco vennero tributati tutti gli onori spettanti a un sovrano, a cui egli rispose impassibilmente, con aria superba e feroce, appena immalinconita dalla prigionia. Venne ospitato al Palazzo Apostolico nell'appartamento riservato ai principi, dove il papa gli consentì ogni genere di svaghi, spendendo ben 15.000 ducati l'anno per il suo mantenimento. La sua sorveglianza venne affidata a un drappello di Cavalieri di Rodi, che non dovette mai abbassare la guardia, se è vero che, a un anno dal suo arrivo, venne sventato un complotto, ordito da Bajazet II, per avvelenare le fontane del Vaticano e uccidere così in un colpo solo Innocenzo e Djem.
L'acquisizione dell'ostaggio turco fu una delle vittorie più celebrate del papato innocenziano, che poté così rilanciare il proprio impegno a favore della crociata. Favorito dall'essersi nel frattempo assicurato la custodia di Djem, l'8 maggio 1489 Innocenzo indisse, per la primavera dell'anno successivo, una Dieta papale a Roma, con la partecipazione degli ambasciatori di tutte le potenze cristiane, al fine di programmare una spedizione crociata.
Il 3 giugno 1490 fu inaugurata l'assemblea, con un discorso in cui il papa presentò il panorama politico come assai favorevole alla controffensiva cristiana, che sarebbe stata facilitata dalla concomitante liberazione di Djem e da un attacco del sultano d'Egitto contro Bajazet II. Prospettò pertanto l'indizione della guerra santa, per cinque anziché per tre anni, con la partecipazione complessiva di quindicimila cavalieri e ottantamila fanti cristiani, più una flotta adeguata.
Gli ambasciatori presenti sembrarono accogliere positivamente le proposte di Innocenzo ma ogni decisione venne da loro rinviata al benestare dei rispettivi sovrani. Costoro temporeggiarono, così che il congresso venne sciolto il 30 giugno, con l'impegno di riaprirlo non appena fossero pervenuti concreti segnali di adesione alla crociata. Tali segnali non pervennero e del progetto non si fece più nulla.
Il fronte antiturco era stato nel frattempo fortemente debilitato dall'improvvisa morte di Mattia Corvino, sopraggiunta per apoplessia il 6 aprile 1490, all'età di quarantasette anni. Lo scoppio di nuove dispute fra il suo successore, Ladislao, e gli Asburgo, antichi pretendenti alla Corona ungherese, escluse qualsiasi ipotesi di mobilitazione delle potenze europee centrorientali per la crociata. Pur ritrovatosi solo, Innocenzo proseguì nella sua linea e condusse con grande vigore la partita contro Bajazet II, speculando sul timore che in quello incuteva l'idea di una comparsa di Djem al fianco di un esercito cristiano.
Volendo premunirsi contro simili colpi di mano, il sultano turco inviò al papa un'ambasceria, che arrivò a Roma il 30 novembre 1490. Fu questa la prima volta che il canone annuo per il mantenimento di Djem venne versato al papa e non al gran maestro dei Cavalieri di Rodi; Bajazet II ne approfittò per offrire a Innocenzo la tranquillità delle coste dell'Adriatico, in cambio della promessa di non liberare il fratello. Il pontefice non accettò tale scambio, intendendo mantenere il sultano turco sulla corda; ma non gli fu neppure possibile entrare in aperto conflitto con lui, data l'inaffidabilità di cui i principi cristiani avevano dato prova con il disertare la Dieta per la crociata.
A seguito della composizione del conflitto con la casa d'Aragona, si aprì per Innocenzo anche una fase di rimonta nei rapporti con la potenza turca, aperta, sul piano simbolico, dall'epocale trionfo rappresentato per la cristianità dalla caduta di Granada, il 2 gennaio 1492.
Il coronamento della "Reconquista", impresa portata a termine dai re cattolici con la fondamentale collaborazione del papato, venne celebrato a Roma con straordinari festeggiamenti: una processione papale a S. Giacomo degli Spagnoli in piazza Navona, sfilate, fuochi e spettacoli, fra cui una rappresentazione della presa di Granada e una corrida di tori. Bajazet II rispose moltiplicando i segnali di distensione verso la Sede apostolica. Fra questi, ebbe grandissima risonanza il dono propiziatorio che il sultano turco fece al papa della santa lancia, insigne reliquia custodita nel palazzo imperiale di Costantinopoli. Il 31 maggio 1492, il cimelio, costituito dalla punta della lancia con cui, secondo la tradizione, s. Longino trapassò il costato di Gesù Cristo, giunse a Roma; Innocenzo volle che fosse conservato al Palazzo Apostolico, dove lo tenne come oggetto della sua devozione privata. Malgrado l'arrivo di un dono tanto apprezzato, il pontefice non recedette dalla sua linea di fermezza verso il sultano: il 14 giugno annunciò all'ambasciatore turco che, nel caso in cui Bajazet II avesse dato l'assalto a qualche Stato cristiano, egli si sarebbe servito di Djem per scatenargli contro la rivolta dei sudditi.
Circa una settimana dopo questa decisa presa di posizione, le condizioni di salute di Innocenzo, costantemente malaticcio negli ultimi anni, presero a declinare, benché ci volessero ancora diverse settimane prima che la sua fibra cedesse del tutto. Consunto lentamente dai suoi molti malanni, nel clima torrido dell'estate romana, il sessantenne pontefice si spense il 25 luglio 1492, confortato dai sacramenti e da un contegno lucido e dignitoso davanti alla morte.
Uno degli snodi cruciali del pontificato di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il papa che patrocinò e rese possibile la partenza di Colombo, fu la detenzione alla corte di Roma di Gem, uno dei figli di Maometto II, che nel 1453 aveva conquistato Costantinopoli. Nella lotta fratricida per la successione al trono d’Oriente aveva prevalso Bayazed. Gem era trattato con tutti gli onori in Vaticano e fece addirittura una lezione a papa Cybo sulle vere origini del Cristianesimo, in una storia per lui falsata. Nel contempo chiedeva l’aiuto del pontefice per tornare sul trono di Bisanzio: prometteva la le restituzione di Gerusalemme e perfino di Costantinopoli. Dal canto suo Bayazet alle stesse concessioni, purché Innocenzo tenesse con sè Gem ostaggio, aggiungeva un consistente tributo annuale in denaro e una serie di reliquie, fra cui quelle di san Giovanni Battista, il profeta al quale Innocenzo aveva dedicato il suo pontificato. Su questa vicenda, completamente ignorata dagli storici di Colombo, nell’ennesima colposa voragine dei cosiddetti esperti, per la verità, si conosce ben poco. Gli studi più approfonditi in materia sono quelli di Giacomo E. Carretto. Ma se qualcuno avesse da fornirci ulteriori ragguagli ne saremmo lieti e riconoscenti.
Stupenda ceramica invetriata di Domenico Buglioni con lo stemma di papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo (1484-1492), il papa "sponsor" di Cristoforo Colombo. Compare in una stanza proprio all'inizio dei Musei Vaticani.
Le tracce del pontificato di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, “il papa di Colombo”, ignorato fino a qualche anno fa dalla ricerca storica, sono sparse per tutta Roma e dintorni, a dispetto di quanti scrivono ancora, nella perfetta e perseverante ignoranza, che non fu un grande pontefice, sia dal punti di vista politico, sia da un punto di vista artistico.
So che mi espongo alle facili ironie, ma è la pura verità. Quella chiesa mi aveva sempre attratto con i suoi reconditi arcani e la nave posta di fronte all’ esterno come fontana. Era come un richiamo misterioso, che non riuscivo a codificare. L’avevo visitata tre volte senza accorgermi del perché. Finalmente girando su internet l’ho trovato. Sulla facciata di Santa Maria in Domnica (la madre di Dio come la Santa Maria di Colombo) a Roma, sul colle del Celio, in alto, quasi impossibile alla vista dal basso, a meno che non ci si allontani, spicca in posizione perfettamente centrale rispetto agli altri emblemi lo stemma di Innocenzo VIII, il papa certamente consanguineo di Cristoforo Colombo. Una chiesa misterica ricca di simboli esoterici e massonici nel soffitto a cassettoni. E’ nota anche, guarda caso, come la chiesa “della Navicella”. Fa riferimento alla scultura romana, come detto, di una nave posta nello slargo antistante il tempio e trasformata successivamente in fontana da papa Leone X Medici. Il figlio di Lorenzo il Magnifico (i Medici furono fra i finanziatori del viaggio del 1492), consuocero del pontefice, che fu fatto cardinale da Innocenzo VIII in minore età ed al quale fa riferimento, al ritorno dal viaggio di “scoperta”, proprio Cristoforo Colombo che chiede al pontefice di fare analogamente cardinale il figlio minore Diego. In un appello ad un papa che il Pastor definisce “marinaio” e che fu lo sponsor e il “deus ex machina” del viaggio di “scoperta”. Un altro indizio rimanda a papa Simmaco. La chiesa è ricordata infatti negli atti del sinodo di papa Simmaco nel 499. In San Pietro papa Cybo creò con la grande pigna romana, oggi nel cortile omonimo del Vaticano, la Simmaco fons.
Secondo un’antica tradizione, cinque scalpellini della Pannonia furono giustiziati a Sirmio (attuale Sremska Mitrovica in Serbia) nel 304-306, nel corso della persecuzione di Diocleziano, per essersi rifiutati di scolpire una statua del dio Esculapio. I veri nomi degli scalpellini sono Sinforiano, Claudio, Nicostrato, Castorio e Simplicio ma nel frattempo, in seguito ad un equivoco con quattro soldati romani martiri, il loro culto si era già diffuso come quello dei Quattro Coronati, così chiamati dalla simbolica corona del martirio.
Con il Trattato Lateranense del 1929 l'Italia riconosceva alla SantaSede la piena proprietà del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo con le adiacentivilla del Moro e villa Cybo e si obbligava a cederle "la villa Barberini in Castel Gandolfo con tutte le dotazioni, attinenze e dipendenze" (art. 14.del Trattato). Pio XI volle poi completare la residenza con l'acquisto di alcuni orti verso Albano per impiantarvi una piccola azienda agricola. Le Ville Pontificie di Castel Gandolfo hanno una superficie di circa ha. 55 (11 in più della Città del Vaticano) di cui ha. 30 tenuti a giardino ed ha. 25 destinati all'attività agricola, gestita con criteri estetici di giardino rustico. Tutta la Residenza gode dei privilegi della extraterritorialità. Gli immobili che vi insidono sono il Palazzo Pontificio (che ospita anche la Specola Vaticana), il Palazzo Barberini, le abitazioni di servizio di n° 21 dipendenti, la sottostazione elettrica, le officine, gli opifici della fattoria, nonchè le stalle per il bestiame. Sono pure compresi nelle Ville gli edifici che ospitano la Comunità delle Maestre Pie Filippini con la Scuola materna a Villa Cybo e, all'estremo limite verso Albano, i due Monasteri di clausura delle Suore Clarisse e delle Monache Basiliane. Nell'immobile sulla piazza, adiacente la Chiesa Pontificia "S. Tommaso da Villanova", ha sede la casa parrocchiale, affidata ai Salesiani. La ex Aula delle Udienze a Villa Cybo ed il giardino annesso, dell'estensione di circa ha. 1, sono stati ceduti in commodato gratuito venticinquennale al Movimento dei Focolari. La Direzione ha la responsabilità dell'autoparco delle Ville e dei servizi da esso disimpegnati, nonché dei macchinari agricoli e della loro relativa manutenzione; assicura altresì tutti i servizi attinenti alla permanenza del Santo Padre
La principessa Maria Teresa Pamphili Cybo madre del cardinale Camillo Patriarca di Costantinopoli e proprietaria del palazzo di piazza Navona oggi ambasciata del Brasile fu la committente a Massa della Rinchiostra e di villa Massoni in origine della Rocca. L'edificio, nato come casino di caccia, venne trasformato in villa per volere di Teresa Pamphili, moglie di Carlo II Cybo-Malaspina. Alderano I, figlio di Teresa Pamphili, trasformò la villa in una sontuosa dimora e impreziosì il giardino ornandolo con vialetti geometrici, vasi, statue e busti marmorei.
Presenze dello stemma di Innocenzo VIII: a sinistra sulla cattedrale di Molfetta dopo il vescovato di Savona; a Cassano Jonio dove il vescovo Marino Tomacelli era parente di Innocenzo VIII e sulla chiesa di Santa Maria in via Lata a Roma.
Nel 1453 cade Costantinopoli sotto la furia dei turchi ottomani guidati da Maometto II. Questo mette fine all’Impero Bizantino. Alla morte di Maometto II (1481) la successione al trono è contesa fra i suoi due figli: Bayazid, il maggiore, e Djem. Djem fu sconfitto e si rifugiò presso i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, stanziati a Rodi, pensando di potersi alleare con questi contro il fratello. Ma i Cavalieri conclusero un accordo con Bayazid: avrebbero tenuto lontano Djem da Costantinopoli in cambio di una rendita annuale di 40.000 ducati per la sua custodia. Il Grande Maestro dell’Ordine, Pierre d’Aubuisson, porta l’ostaggio in Francia (1482), dove viene tenuto prigioniero.
Nel 1489 papa Innocenzo VIII riesce a farselo consegnare perché voleva utilizzarlo nell’ambito del suo progetto di crociata contro gli ottomani. Djem, infatti, poteva essere una pedina molto importante. A Roma viene trattato con grandi onori essendogli anche concesso ogni genere di svaghi. Il cambio della ‘custodia’ di Djem implicava anche che la somma di 40.000 ducati passasse da quel momento in poi ad essere percepita dal papa, che con questo garantiva di tenerlo lontano dal fratello e non fargli rimettere piede in patria.
Nel 1490 il papa convoca un’assemblea con tutti gli ambasciatori dei regni cristiani al fine di organizzare una controffesiva cristiana contro i turchi ottomani, una sorta di nuova crociata. Ma non si misero d’accordo, anche perché alcuni stati mantenevano un atteggiamento antagonista alla Santa Sede.
Bayazid rispose moltiplicando i segnali di distensione verso la sede apostolica. Fra questi, fece molto scalpore il dono della Santa Lancia. Con questo dono Bayazid, oltre ad offrire la tranquillità delle coste adriatiche, cercava soprattutto di continuare a mantenere l’accordo con il papa di non liberare Djem. Il papa, dopo molta reticenza, accettò perché così, allo stesso tempo teneva lontano il sultano dagli stati cristiani. Alla morte del pontefice, avvenuta circa due mesi dopo l’arrivo della lancia a Roma, Djem passò sotto la custodia del papa successivo, Alessandro Borgia, che lo cedette a Carlo VIII di Francia quando questi, dirigendosi con il suo esercito a Napoli, si fermò a Roma. Djem morì dopo pochi giorni in misteriose circostanze.
La reliquia (solo la parte metallica, senza l’asta), che era gelosamente conservata nel tesoro dell’impero Bizantino, arrivò per mare al porto di Ancona nel 1492. Lo testimonia il vescovo di quel tempo, Marco Vigerio I Della Rovere. In questa città si riunirono tutti i vescovi provinciali per espletare con grande solennità tutte le pratiche religiose volte a venerare la Lancia.
I nunzi apostolici, incaricati del trasporto, di fronte all’interesse mostrato dalla popolazione decisero di esporla pubblicamente. Purtroppo se ne ruppe la punta che fu donata alla città. Questo frammento ancora oggi viene venerato ad Ancona, ed è custodito nel Museo Diocesano della città, in un reliquiario in argento dorato e lapislazzuli.
La Lancia venne portata solennemente da Ancona a Roma sopra un cavallo bianco preceduto da una grande lanterna. Arrivò il 31 maggio 1492, giorno dell’Ascensione. Innocenzo VIII impartì con la Sacra Lancia la benedizione al popolo e la reliquia venne custodita nella chiesa di Santa Maria del Popolo.
Nel 1629, con la consacrazione della nuova basilica di San Pietro, fu trasferita in questa basilica e depositata in una delle quattro cappelle ricavate dai piloni che sorreggono la cupola, destinate a custodire le reliquie più preziose del tempio. Una di queste fu fatta appositamente per accogliere la Lancia, quella contraddistinta dalla statua di Longino, opera di Bernini. Successivamente la reliquia, fu spostata nella vicina cappella della Veronica dove è custodito il Velo della Veronica, e ad un frammento della Vera Croce, che era nella cappella di Sant’Elena.
La venerazione per la Santa Lancia suppose un grande richiamo per i pellegrini, anche perché la benedizione ricevuta con questa reliquia garantiva moltissime indulgenze: tremila anni agli abitanti di Roma, sei mila ai convicini e dodici mila a quelli che venivano da paesi lontani oltre a tante quarantene e la remissione della terza parte dei peccati.
Nella basilica di San Pietro si può ammirare la statua in bronzo del Pollaiolo che rappresenta il pontefice Innocenzo VIII che con una mano sostiene la santa lancia e con l’altra imparte la benedizione.
E’ difficile stabilire l’autenticità di questo reperto, però per lo meno è stato accertato che si tratta di una punta di lancia del I secolo, compatibile con quelle usate dai romani in quell’epoca. Non si può dire lo stesso delle altre due lance, ossia quella di Vienna, la ‘Heilige Lance’, e la Lancia di Antiochia. Purtroppo, come accade con il Velo della Veronica, la reliquia non è accessibile e neanche è visibile ad una distanza ragionevole. Viene esposta dalla loggia della Veronica la prima domenica di Quaresima, ma la distanza dalla loggia è considerevole, piu di dieci metri ….
La lancia Sacra (conosciuta secondo la leggenda anche come Lancia del Destino, Lancia Santa, Lancia di Longino o Lancia di Cristo) fu la lancia, che perforò Gesù mentre era sulla croce. Il riferimento alla Lancia Sacra viene fatto solo nel Vangelo di Giovanni (19:31-37) e non nei Vangeli Sinottici. Nel Vangelo viene riportato che i Romani pensarono di rompere i piedi di Gesù, una pratica conosciuta come il“crurifragium”, che era un metodo per accelerare la morte durante la crocifissione. Ma prima di farlo i soldati Romani pensarono che forse Gesù era già morto, allora “... uno dei soldati ha perforato il suo costato con una lancia ed immediatamente è venuto fuori sangue ed acqua” (Giovanni 19:34).
Il pavone, simbolo di resurrezione e immortalità, fu scelto da papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo (1484-1492), il papa di Colombo, come segno di riconoscimento del suo pontificato. Lo si ritrova nel suo palazzetto in Vaticano unitamente al suo motto “La lealtà supera tutto”.
La famosa sala del mappamondo (quella anche di Benito Mussolini) a Palazzo Venezia. Affrescata da Andrea Mantegna si può ammirare in grande evidenza lo stemma di papa Cybo che campeggia al centro della parete. Era il salone nel quale si trovava anche il magnifico e grande mappamondo successivamente sparito. Dove certamente compariva anche l’America. In quella stanza, che custodiva anche la lancia sacra, il 25 luglio (altra data importante nella storia del fascismo) del 1492 si spense Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo. Quasi sicuramente non di morte naturale visto che il successore fu Rodrigo Borgia, Alessandro VI, che divenne anche simbolo dell’Anticristo. Il 25 luglio curiosamente la Chiesa festeggia ai nostri tempi San Cristoforo, di cui Colombo fu l’incarnazione. Sette giorni dopo, il 3 agosto, Cristoforo Colombo partiva per il Nuovo Mondo, senza sapere che il “suo” pontefice genovese era sparito. Quando il navigatore trovò quella che credette la terra promessa la battezzò in un primo momento Juana, Giovanna, come il nome del papa. Successivamente divenne Cuba. L’etimologia del cognome Cybo è cubos o cubus a seconda del latino o del greco. La terra dell’oro fu chiamata il Cibao: perfette assonanze ad indicare la nuova pietra cubica sulla quale fondare una Chiesa nuova e diversa nell’al di là. Sulla grande parete del Mantegna compaiono curiosamente anche delle sfingi, che verranno poi adottate dalla Massoneria, come molti dei simboli relativi alla famiglia Cybo. Tra le interpretazioni della sfinge, icona dell’iniziazione e dei misteri, c’è anche questa: “la sfinge è simbolo strettamente connesso alla morte, al passaggio ad un mondo al di là”.
Sulle pareti di un antico edificio genovese, a pendant con l'immagine di Innocenzo IV Fieschi, compare quella di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo.
Alberico è il figlio secondogenito di Lorenzo Cybo e di Ricciarda Malaspina, capostipite della nuova linea marchionale dei Cybo-Malaspina, che unì le due grandi famiglie. A seguito della tragica morte del fratello maggiore Giulio nel 1548 e della madre nel 1553, all'età di ventun anni divenne erede designato della casata Cybo-Malaspina il 17 febbraio 1554, giorno in cui l'imperatore Carlo V gli concesse l'investitura feudale, anche se non aveva compiuto l'età canonica di venticinque anni. Nello stesso anno venne eletto luogotenente del duca Guidobaldo II Della Rovere, capitano generale delle armi della Chiesa. L'anno successivo Alberico si attivò, senza successo, per fare di Massa una sede di vescovato. Nel 1552 Alberico sposò Elisabetta Della Rovere, figlia del duca di Urbino, Francesco Maria I Della Rovere che si era schierato a favore del giovane marchese. In occasione della guerra per la conquista dello Stato di Siena, voluta dal granduca Cosimo I de' Medici, Alberico, nella sua veste di comandante militare, inviò un contingente di circa 1000 fanti.
Dopo l'esperienza spagnola e pontificia, Alberico fece ritorno nel suo Stato e pose la sua residenza a Massa dove trasformò l'impianto urbanistico e costruì edifici prestigiosi, in questo periodo si parlò di rifondazione della città che venne denominata <> o <>. Il nuovo stemma di Alberico rappresentava la nuova dignità acquisita di principe del Sacro Romano Impero, ed era così formato: spino fiorito dei Malaspina, la croce e banda a scacchi dei Cybo, nel cuore lo stemma mediceo, composto da sei palle rosse e una azzurra, caricata di tre gigli d'oro, il principe vuole così ricordare che la nonna paterna era della casata de' Medici. Ferdinando II con il Diploma del 25 agosto 1620, elevò Massa al rango di città imperiale. Alberico morì a ottantanove anni a Massa il 18 gennaio 1623 dopo aver governato per settant'anni sul marchesato e poi sul principato di Massa, dove fu sepolto come aveva indicato nella chiesa di San Francesco. Gli subentrò il nipote Carlo I, la cui discendenza amministrerà il territorio fino a Maria Beatrice d'Este.
IL MISTERO DELLA FAMIGLIA CYBO APPRODA A MASSA “CITTÀ DEL SOLE”
Sotto Alberico Cybo Malaspina Massa doveva diventare la “Città Nuova Cybea”. Che vide la luce in concomitanza con l’equinozio di primavera ed il solstizio d’estate. Le date fondanti fanno di Massa “La città del sole”. In un linguaggio consegnato ad un’“impresa” in cui compaiono, il cubo, la cicogna, il sole, i segni zodiacali della primavera. In un incastro allegorico dalla molteplice lettura. Una delle quali si concilia con un perfetto “iter” alchemico dalla pietra grezza alla pietra filosofale. A ennesima conferma dei segreti ideali della famiglia Cybo, ereditati anche dai discendenti di papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo. Il papa che finanziò Colombo e che era sicuramente legato a lui da stretti vincoli di sangue. Ancora oggi restano le tracce di quel misterico passato dal bellissimo castello, posto in posizione dominante fra il mare e i contrafforti delle cave di marmo, dove su una parete prospiciente il cortile sono ancora visibili le circonferenze di due mappamondi, che il tempo purtroppo ha cancellato. Cosa rappresentavano? Nella galleria di foto dall’alto varie immagini del maniero per concludere con il palazzo del principe sempre dei Cybo in città, l’immagine di Ricciarda Malaspina, marchesa di Massa e sovrana di Carrara, e la cattedrale di San Francesco, dove sono conservate varie tombe dei familiari del pontefice. Sarebbe auspicabile una ricerca del dna per confrontarlo con quello di Cristoforo Colombo. Sarà mai possibile?
Coi figli di Carlo II Cybo Malaspina, si estinse il casato: Alberico III non ebbe prole, suo fratello Camillo divenne sacerdote e cardinale, Alderamo ebbe tre figlie femmine. Fu così che il trono ducale passò alla giovane Maria Teresa, figlia dell’ultimo duca, Alderamo, sotto la tutela della madre, Ricciarda Gonzaga, e dello zio cardinale. Fu così che si estinsero i Duchi di Massa della famiglia Cybo. Maria Teresa andò in sposa al principe Eugenio Francesco di Savoia, figlio di Carlo Emanuele III. Lui aveva 17 anni, lei 7.
Si videro per la prima volta nell’ottobre del 1732, quando Eugenio Francesco arrivò a Massa per confermare i capitoli matrimoniali. Il vero artefice di qual matrimonio fu Eugenio di Savoia per conto di Carlo VI, bramoso di espandere l’influenza austriaca sull’Italia. L’ambasciatore genovese a Torino, Giovanni Battista De Mari, annotò, infatti: “Voglia o non voglia l’Eminentissimo Cybo, Sua Maestà Cesarea ha ordinato che si eseguisca il matrimonio … I concepiti sospetti della Corte di Vienna dopo la venuta in Italia del serenissimo infante don Carlos sono stati il più forte motivo per cui l’imperatore ha voluto assicurarsi di quelli Stati, consegnandoli a persona dipendente e, forse, con l’idea di dover poi mettere in miglior stato Lavenza presidiarla per sempre di truppe alemanne”.
Allo scoppio della Guerra di Successione Polacca, il principe Eugenio Francesco fu promosso maestro generale di campo della cavalleria, si segnalò in un combattimento contro i francesi a Selling ed in altre azioni ma cadde a Mannheim. Così, a nove anni, l’ultima erede dei Duchi di Massa si ritrovò vedova. Ancora una volta l’Aquila Austriaca tornò ad aguzzare il becco guardando Massa. A Maria Teresa si propose il figlio del Principe di Darmstadt, governatore imperiale a Mantova, ma sfuggendo alle mire imperiali, successo ebbe Francesco III d’Este, Duca di Modena.
Le nozze furono celebrate il 16 aprile del 1741, quando Maria Teresa Cybo non aveva ancora compiuto il sedicesimo anno d’età. S’accorparono i possedimenti estensi al Ducato di Massa ed alla Contea di Novellara, e l’ultima dei Cybo divenne moglie dell’ultimo degli Estensi di Modena. Maria Teresa morì nel 1790. Dal suo matrimonio era nata Maria Beatrice, un secondo figlio era vissuto solo cinque mesi. Maria Beatrice, ereditiera di Modena, di Reggio-Emilia, di Massa e di Carrara andò moglie a Ferdinando di Lorena, arciduca austriaco, figlio di Maria Teresa, e quindi fratello dei due imperatori Giuseppe II e Leopoldo II.
L’Austria aveva finalmente conseguito il risultato desiderato.
Innocenzo VIII, il papa di Colombo, fu anche vescovo di Molfetta. Una cittadina che respirava il clima delle crociate, dei pellegrini e dei martiri anche della vicina Otranto. Con un “ospedale” per l’accoglienza e il riposo di quanti si recavano o tornavano da Gerusalemme. Dove era particolarmente sentita, grazie alla Basilica di Santa Maria dei Martiri, la devozione mariana con un’immagine della Vergine Eleousa riportata dalla Terrasanta. Alla quale si aggiungeva una riproduzione del Santo Sepolcro, edificata con pietre, che la leggenda vuole provenienti sempre dai luoghi della passione di Cristo. Praticamente una seconda Gerusalemme, in tempi in cui il Santo Sepolcro era nelle mani degli infedeli. Tanto è vero che papa Giovanni Battista Cybo concesse l’indulgenza plenaria, “propter innumera miracula”, a chi si fosse recato in pellegrinaggio al santuario.
Caterina fu la quinta figlia di Franceschetto Cybo (1449-1519), figlio naturale di Giovanni Battista Cybo, che fu papa Innocenzo VIII dal 1484 al 1492, e di Maddalena de' Medici (1473-1519), figlia di Lorenzo il Magnifico e sorella di Giovanni de’ Medici, divenuto papa Leone X nel 1513. Già nel 1513, a 12 anni, Caterina fu promessa sposa di Giovanni Maria Varano (1481-1527), creato nel 1515 duca di Camerino da papa Leone X, zio di Caterina. Il matrimonio fu rimandato per la contrarietà di Maddalena de' Medici, che avrebbe voluto che la figlia sposasse Sigismondo da Varano, nipote di Giovanni Maria: morta la madre nel 1519, Caterina sposò Giovanni Maria nel 1520.
Alla morte di Leone X, protettore di Giovanni Maria, Sigismondo da Varano s'impadronì di Camerino con l'aiuto delle armi dello zio materno Francesco Maria della Rovere. Caterina fuggiva a Civitanova, mentre il marito raggiunse Roma, dove riuscì a organizzare un piccolo esercito con il quale riconquistò Camerino e fece uccidere a tradimento Sigismondo.
Papa Paolo IV fece imprigionare e processare per eresia parecchi ecclesiastici: il Cardinale Giovanni Morone, che poi fu assolto dopo la morte del Carafa da Pio IV e ultimò lo stesso Concilio a Trento. Perseguitò il Card. Pole sotto l’accusa di eresia, soprattutto si scagliò contro i Circoli degli ‘Spirituali’, gli “Alumbrados”, gli illuminati.
Trascorrono i secoli e le generazioni ma la somiglianza fra i Cybo e Cristoforo Colombo rimane una costante.
Evidentemente la conquista di Gerusalemme e la difesa del santo Sepolcro erano nel Dna della famiglia Cybo quanto meno dalla prima crociata fino a Innocenzo VIII, Giovani Battista Cybo, il papa che finanziò Colombo e che verosimilmente era legato a lui da vincoli di sangue. Non è dunque un caso che il navigatore dalla partenza fino alla morte non fa che ripetere che l’oro delle Indie deve servire alla restituzione della città santa alla cristianità. La riprova è la partecipazione di Arano Cybo (stesso nome del padre del pontefice) al fianco di Goffredo di Buglione alla prima crociata. In un ruolo di primaria importanza visto che convinse i vari capitani ad eleggere Goffredo re di Gerusalemme, titolo che si convertì in difensore del Santo Sepolcro. Non è il solo elemento che lega quel lontano evento all’impresa del navigatore. Goffredo di Buglione fondò l’ordine del Santo Sepolcro, di cui portava le insegne. Da tempo insistiamo sul fatto che Colombo era una cavaliere. Quasi sicuramente del Santo Sepolcro, anche se Innocenzo era riuscito ad unire i vari ordini cavallereschi, proprio in vista della crociata, in un unico ordine.
Il Ritratto di Lorenzo Cybo è un dipinto a olio su tavola (126x104 cm) del Parmigianino, databile al 1524 e conservato nello Statens Museum for Kunst a Copenaghen.
Il dipinto è ricordato dal Vasari tra quelli eseguiti da Parmigianino durante il soggiorno a Roma: "il signor Lorenzo Cibo, capitano della guardia del papa e bellissimo uomo, si fece ritrarre da Francesco; il quale si può dire che non lo ritraesse, ma lo facesse di carne e vivo". Lorenzo Cybo era un importante personaggio della corte papale, comandante delle guardie papali e fratello del cardinale Innocenzo, e venne ritratto all'età di ventitré/ventiquattro anni, come chiarisce anche l'iscrizione in basso a destra: "Laurentius Cybo Marchio Massa atque Comes Ferentilli anno M.D.XXIII". La data 1523 in verità è considerata una svista di chi aggiunse l'iscrizione, poiché a quell'anno Parmigianino era ancora in Emilia. Forse l'iscrizione venne apposta per ricordare i titoli del Cybo e la data del suo trasferimento a Roma in occasione dell'elezione di Clemente VII, suo parente da parte di madre.
Il dipinto si conosce da quando nel 1749 si trovava nella collezione del cardinale Silvio Valenti Gonzaga, infatti è incluso nel dipinto che ne ritrae la quadreria di Giovanni Paolo Pannini. L'intera raccolta fu venduta al Amsterdam nel 1763 e in quell'occasiopne finì in Danimarca dove si trova tuttora.
Se ne conoscono varie copie, tra cui una alla Columbia University di New York già della contessa Frenfanelli Cybo.
Il militare è ritratto con la figura eretta tagliata alle gambe, presso un paggio che gli regge la spada, sulla cui elsa egli poggia la destra, mentre la sinistra è sulla fiasca da militare legata alla cintura. Indossa un elegante abito decorato da tagli, secondo la moda più esuberante del tempo, rosso sopra la camicia bianca bordata d'oro e con una casacca nera senza maniche. Indossa un cappello vermiglio con piuma e tagli lungo la tesa, uguale a quello del ritratto di Galeazzo Sanvitale. La barba è lunga, i capelli corti e crepi, lo sguardo intenso e diretto verso lo spettatore. Davanti a lui, su un parapetto, il paggio regge i guanti e un vassoio su cui si trovano due medaglie bronzee e un dado, forse allusione al "gioco del destino" e ai suoi interessi in campo artistico.
Il bellissimo mausoleo che ricorda ad Agrigento il vescovo Giuliano Tomasello Cybo. Da notare l’Y greca nell’iscrizione tombale rivelatrice dell’origine della famiglia.
La cappella dedicata a San Lorenzo venne fondata agli inizi del ‘500 da Lorenzo Cybo, nipote di Innocenzo VIII (1488-1492). Già affrescata da Pinturicchio e decorata da artisti della bottega di Andrea Bregno, si presenta oggi nella veste acquisita in virtù del radicale rinnovamento intrapreso tra il 1680 e il 1687 dal cardinale Alderano Cybo, realizzato da Carlo Fontana.
La chiesa di Nostra Signora di Loreto o chiesa dei Cinque Campanili sorge su una collina poco fuori dall'abitato di Perti a Finale Ligure, in provincia di Savona, in posizione dominante sulla vallata e molto panoramica.
Titoli clamorosi hanno accompagnato la notizia dell’eccezionale scoperta artistica avvenuta in Campania e più precisamente ad Aversa in merito al ritrovamento della pala d’altare dell’Assunta, custodita nella chiesa di San Francesco, attribuita al celebre pittore di Cento, Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (per una forma di strabismo) uno dei massimi esponenti della pittura italiana del ‘600.
L’annuncio ufficiale di questo capolavoro nascosto,risale al dicembre 2016, quando Massimo Pulini, artista, scrittore, intellettuale, e grande esperto del Guercino, dichiara dopo una serie di accurate indagini che il dipinto «L’Assunta» è opera del pittore ferrarese, erroneamente attribuita all’artista napoletano Bernardo Cavallino. Dipinto, tra l’altro, oggetto più volte di furto.
A dar man forte alla tesi di Pulini sull’attribuzione dell’Assunta, sono proprio alcune note del libro dei conti scritte dallo stesso Guercino nel 1650 in cui specifica che fece una “Asunta in Cielo per Napoli”. Scandagliando numerosi documenti della Chiesa Cattolica e confrontando archivi fotografici, l’esperto è risalito con certezza dell’ubicazione nella chiesa di San Francesco ad Aversa, svelando dopo secoli, il vero autore del dipinto.
L’opera risalirebbe ai lavori di riparazione e di abbellimento eseguiti nel 1645 dalle Clarisse della chiesa di San Francesco di Aversa per cui ebbero il permesso dal Papa di spendere 6000 scudi, per compiere i lavori. La commissione
dell’opera deriverebbe proprio da questa attività. L’eccezionalità del caso è che sia l’unica opera del Guercino dipinta per la Campania.
Ad Aiello Calabro, in precedenza Ajello, nella provincia di Cosenza in Calabria, troviamo un castello, un palazzo ed una cappella della famiglia Cybo. Qui di seguito le immagini e caratteristiche.
Busto del monumento a donna Francesca Lanza-Cibo presente nel museo nazionale a Messina.
Interessante seguire la successione di Conti che si avvicenderanno con la vendita della sola Contea di Naso da parte di Antonio Joppolo al Conte Pier Maria Cibo appartenente all’Ordine della Stella, a cui succederà nel 1620 il nobile Girolamo Cottone Cutelli conte di Bauso, anch’egli appartenente all’Ordine dei Cavalieri della Stella e con stretti legami in seno all’Ordine dei Cavalieri di Malta.
É interessante considerare la successione di Conti che si avvicenderanno con la vendita della sola Contea di Naso da parte di Antonio Joppolo al Conte Pier Maria Cibo appartenente all’Ordine della Stella, a cui succederà nel 1620 il nobile Girolamo Cottone Cutelli conte di Bauso, anch’egli appartenente all’Ordine dei Cavalieri della Stella e con stretti legami in seno all’Ordine dei Cavalieri di Malta.
Maria Maddalena De Medici, La Figlia Preferita Di Lorenzo Il Magnifico, Andò Sposa A Francescetto Cybo, Il Figlio Di Papa Innocenzo Viii, Giovanni Battista Cybo. Gli Storici Dicono Che L'Origine Greca Della Famiglia Del Pontefice È Una "Fakenews" E Che La Y Greca Presente Nel Cognome Sarebbe Subentrata Solo Grazie Ad Alberico Cybo Malaspina, Che Voleva Rendere In Qualche Modo Illustri I Natali Della Sua Famiglia. Ancora Una Volta Le Ricerca Conferma Invece Che La Provenienza Dalla Grecia E' La Pura, Assoluta, Incontrovertibile Verità. Come Attesta Questo Ritratto Di Maddalena Dove In Alto Si Legge Chiaramente Cybo, Come Anche Sulla Tomba, Successivamente Rimossa In San Pietro, Di Bonifacio Ix Tomacelli Cybo Di Cui Siamo Debitori A Giovanni Tomasello Cybo (Nel Post Seguente). Quanta Storia Da Riscrivere Compreso Il Rapporto Fra La Stessa Maddalena E Franceschetto!
A sinistra la tomba di Bonifacio IX, Pietro Tomacelli, che si trovava in San Pietro prima della ristrutturazione con la costruzione della nuova Basilica. Risale al XV secolo. L’immagine, cortesemente segnalata da Giovanni Tomasello Colonna, è tratta da un volume del 1780 andato all’asta da Sothebis a Londra. Da notare la dizione “genere Cybo” con l’y greca di molto precedente alla volontà di Alberico Cybo Malaspina a cui viene invece attribuito il cambiamento della i in y greco. Evidentemente il discendente di Bonifacio IX e di Innocenzo VIII non fece che ripristinare quella lettera, che indicava chiaramente l’origine greca della famiglia contestata da molti. Non a caso il Padre di Innocenzo VIII, Arano, Aronne o Abramo era nato a Rodi, isola greca, isola di cavalieri. A destra l'incoronazione del Papa.
La storia di una trasfusione di sangue per allungare la vita di Innocenzo VIII, grazie al sacrificio di tre bambini ebrei, è una delle tante notizie-bufala, che costellano la storia di Giovanni Battista Cybo. La classica fake-news d’annata e dannata fa parte dell’opera di “damnatio memoriae” di un pontefice, al quale succedette il Borgia, che fece di tutto per cancellarlo, il cui spessore e la cui statura, mano mano che le ricerche vanno avanti, si dimostrano sempre più sorprendenti. Dopo 500 anni e più risalire la corrente non è facile, ma da quando abbiamo cominciato possiamo dire che il pontefice è quanto meno resuscitato, con buona pace degli storici, colpiti da una svista sesquipedale (arroganza nostra? No, cecità altrui) in funzione soprattutto della scoperta dell’America.
I discendenti di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il pontefice che aiutò e forse padre di Cristoforo Colombo, riparò a Massa. Purtroppo gran parte di quello che costruirono, castello compreso ed altro, è andato quasi completamente distrutto o del tutto cancellato, come è il caso della chiesa di San Pietro, crollata nel 1671, dove si trovava la bellissima collegiata edificata in omaggio a Maria Teresa Cybo.
Palazzo Marcosanti (fine XIII secolo), che sorge a Poggio Berni, è uno dei complessi fortilizi più antichi e meglio conservati dell'entroterra riminese. Storicamente è noto come Tomba di Poggio Berni poiché nel Medioevo il termine Tomba indicava una costruzione fortificata eretta in genere su un'altura o comunque in luogo idoneo alla difesa. La sua origine malatestiana, è attestata nel trecento, da alcuni documenti con attribuzione ai beni Malatestiani e da un fregio, in cotto, rappresentante la tipica scacchiera malatestiana ad ornamento di un arco a sesto acuto che dà sul cortile interno.
Nel 1418 la Tomba di Poggio Berni è tra i beni elencati come dote di Laura, detta Parisina, figlia di Andrea Malatesta signore di Cesena, andata in sposa a Nicolò III Marchese d'Este; Parisina venne uccisa nel 1425, sospetta di corrispondenza amorosa con Ugo suo coetaneo e figlio naturale del marito. Due anni più tardi il bene torna ai Malatesta. Nei successivi tre secoli, il Papato entrò più volte in possesso del Castello succedendo ai Nardini e alla casata dei Montefeltro. A Cristoforo Nardini, morto nella battaglia di Colle Val d´Elsa del 1479, succedette il figlio naturale Pietro che si macchiò di varie scelleratezze e neanche la sua morte bastò a placare l'ira di Papa Innocenzo VIII che con Bolla Papale del 12 dicembre 1489 fece imprigionare a vita tutti i membri della famiglia. Dopo tre anni, il 23 maggio 1492, la segregazione dei Nardini venne commutata con la donazione alla Camera Apostolica di quasi tutti i loro beni fra i quali spiccano il Fortilitium e la vasta tenuta di Poggio Berni con tutti i diritti di giurisdizione già concessi a questo possedimento da privilegi papali ed imperiali.
Il 16 luglio 1492 Innocenzo VIII cede il Fortilizio di Poggio Berni a Giovanni della Rovere d´Aragona, padre di Francesco Maria, il futuro Duca di Urbino.
L’analisi dei registri di bolle e brevi ha permesso di riscontrare lacune Nei Registra Supplicationum, che per il pontificato di Innocenzo VIII sono lo ripeto non del tutto completi. Qui di seguito riporto una tabella che censisce alcuni frutti della ricerca. Si tratta di tutti quei documenti che sono citati negli antichi Indici dei Registri Lateranensi di Innocenzo VIII, ma che oggi sono andati perduti. Ciò accadde probabilmente a seguito del trasferimento degli Archivi papali a Parigi, disposto da Napoleone.
Pierleone Leoni, conosciuto anche come Piero Leoni (o Lioni) e Pier Leone (o Pierleone) da Spoleto (Spoleto, 1445 circa – Firenze, 9 aprile 1492), è stato un medico, filosofo e astrologo italiano. Di famiglia aristocratica spoletina, studiò probabilmente a Roma. Fu qui che ebbe modo di entrare in contatto con la cerchia di artisti e filosofi che gravitavano attorno a Lorenzo de Medici, a Firenze. Iniziò ad avere contatti e una fitta corrispondenza con Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Venne considerato dai suoi contemporanei uno dei più valenti uomini di scienza esistenti all'epoca. I più illustri personaggi e sovrani dell'epoca, come il duca di Calabria, il re di Napoli, Ludovico il Moro, forse anche il papa Innocenzo VIII, richiesero le sue cure, tanto che divenne il medico personale dello stesso Lorenzo de Medici.
Verso il 1485 Lorenzo de’ Medici commissionò ai più affermati miniatori di Firenze tre lussuosi Libri d’Ore da destinare alle figlie quale dono di nozze. Di questi piccoli libri di preghiere, il primo, oggi custodito a Monaco, fu donato a Lucrezia, che andò sposa a Jacopo Salviati. Il secondo, attualmente alla Biblioteca Medicea Laurenziana, era destinato a Luisa, promessa sposa di Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici e morta prima delle nozze. Il terzo, infine, era il dono nuziale per Maddalena, maritata al conte Franceschetto Cybo, figlio naturale del pontefice Innocenzo VIII. I tre Offizioli medicei sono dunque la toccante testimonianza del gesto d’amore di un grande signore del Rinascimento nei confronti delle giovanissime figlie. Secondo gli storici Maddalena de’ Medici, nata a Firenze il 25 luglio 1473, fu la figlia prediletta di Lorenzo il Magnifico. Il suo matrimonio con Franceschetto Cybo, figlio di papa Innocenzo VIII, fu di fondamentale importanza per la casata fiorentina: permise al Magnifico di acquisire ulteriore prestigio e, al contempo, di rinsaldare i rapporti con il pontefice. Anche grazie a queste nozze, il secondogenito di Lorenzo, Giovanni, sarebbe poi divenuto papa col nome di Leone X. In occasione delle nozze, Maddalena ricevette in dono dal padre il piccolo, raffinatissimo libro di preghiere attualmente custodito in Inghilterra, nella collezione Rothschild del Waddesdon Manor. Il codice, destinato a superare per bellezza e splendore i libri commissionati per le altre figlie, è oggi privo della legatura originale, andata perduta secoli fa: dopo approfondite ricerche storiche e filologiche, e grazie a una accurata descrizione trovata nell’inventario di Lorenzo, la Franco Cosimo Panini Editore ne ha ricostruito l’aspetto più verosimile in ogni dettaglio, riportando così alla luce lo straordinario gioiello dedicato a Maddalena de’ Medici. Sono ben ventisette le miniature che ornano le Ore Medici Rothschild: le dodici pagine dedicate al Calendario, secondo una tradizione diffusasi in Italia su modelli d’Oltralpe, sono illustrate con pittoresche scenette raffiguranti i lavori dei mesi; le sette straordinarie pagine dei frontespizi, riccamente dipinte, sono un autentico tripudio di colori, mentre altre otto carte sono impreziosite da grandi iniziali istoriate. Ricorre con frequenza la figura del pavone, simbolo della famiglia Cybo, ed è ben riconoscibile anche l’araldica medicea, rappresentata dal broncone e dall’anello diamantato. L’apparato illustrativo è frutto del lavoro di più artisti, tra cui spicca la figura del grande miniatore fiorentino Mariano del Buono.
Il cardinale veneziano Michiel Giovanni nel concistoro, del giugno 1499 si distinse richiamando l’attenzione sul dovere della lotta al Turco. Al rientro da Roma, l’ambasciatore veneto Paolo Cappello informò, nel settembre 1500, che il M. «buta lacrime per il Turcho», pronto, se non fosse «per le podagre» che lo affliggono, a propagandare per ogni dove la crociata, a battersi di persona «per far ben a la cristianità e a la Signoria».
Intanto però, annoverato tra quanti «non voriano marani» incardinalati, si trovava sempre più a disagio in una Roma dove imperversava la banda famelica e malavitosa dei parenti di papa Borgia. Avvelenato, il 23 nov. 1501, a Viterbo, Giovanni Lorenzi e di certo trucidato, il 27 genn. 1502, il fratello di quello Angelo; avvelenato da un famiglio, il 20 luglio 1502, il cardinale Giovanni Battista Ferrari; morto anch’egli di veleno, il 22 febbr. 1503, il cardinale Giambattista Orsini. Ormai toccava al Michiel che morì alle 3 dell’11 apr. 1503 nel suo palazzo romano, di certo avvelenato.
Tra i sospettati dell’avvelenamento fu indicato il cardinale Pier Luigi Borgia. Il 24 aprile, al posto del MIchiel fu piazzato nel patriarcato di Costantinopoli il nipote del papa, Giovanni Borgia, col che furono girati a questi proventi già del Michiel. Sulle sue grandi ricchezze, tuttavia, il papa Alessandro VI, con sua gran rabbia, non riuscì a metter mano. Scomparso il 18 ag. 1503 Alessandro VI, nulla ostacolò l’indagine sull’assassinio della cui esecuzione materiale (la somministrazione della polvere cosiddetta canterella) fu reo confesso il maestro di casa Asquino di Colloredo. Il 16 marzo 1504 l’avvelenatore fu decapitato in piazza Campidoglio; nel frattempo, durante la detenzione, aveva rivelato di aver agito su commissione del papa Alessandro VI e del Valentino, il quale fu perciò ritenuto in «honesta prexon» per poco tempo.
Giovanni Lorenzi nacque a Venezia intorno al 1440, da Francesco, di famiglia di modeste condizioni; aveva almeno un fratello, di nome Angelo. Il registro di prestito e una lista coeva di bibliotecari della Biblioteca apostolica Vaticana (Vat. lat., 3966, c. 128v) lo indicano come "Ioannes de Dionysiis", ma quasi sempre è menzionato come "Ioannes Laurentius".
Quando Fano fu ceduta alla Chiesa ottenne la ‘libertas ecclesiastica’. Ottenuta la libertà la città cercò di mantenerla ma gli eventi precipitarono. Dopo l’uccisione del governatore pontificio Paolo Cybo, il sanguinario Cesare Borgia, figlio di Papa Alessadro VI, fece di Fano uno dei capisaldi del suo Ducato di Romagna.
Girolamo Calagrano nacque a Ceva in data imprecisata verso la metà del sec. XV. Abbracciò lo stato ecclesiastico e riuscì a entrare al servizio del cardinale genovese Giovanni Battista Cybo. Ne divenne uno dei più fidati collaboratori. Conclavista del Cybo nel conclave aperto nell'agosto 1484 dopo la morte di Sisto IV, l'elevazione del suo patrono al pontificato il 29 agosto segnò il suo ingresso ufficiale nella Curia romana.
“Papa Benedetto XVI ha aperto a Twitter: e tutti ne hanno elogiato la tempestiva lungimiranza. E sai la novità. Fu Pio II a interessarsi a quella diavoleria della stampa ideata da Johann Gutenberg, mentre gli illuminati principi del Rinascimento la ritenevano una schifezza e il duca d’Urbino vietava a quei libracci unti d’inchiostro su carta di stracci l’ingresso nella sua aulica biblioteca tutta oro e pergamena.