Dai Sumeri ai Maya, quante somiglianze.
Solo incredibili somiglianze, in due parti del mondo così distanti fra loro, tra un manufatto funerario longobardo che si trova nel Museo di Torino e un tumi, il coltello sacrificale usato dai peruviani.
Una rara immagine di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il pontefice "sponsor" di Cristoforo Colombo e possibilmente anche suo padre.
Al centro Alessandro VI del Pinturicchio nelle cosiddette Stanze Borgia.
Chiamata anche Cattedrale di Santo Domingo o Basilica Minore di Santa María de la Encarnación, detiene il titolo di cattedrale più antica d'America.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato di recente che le Americhe furono scoperte dai musulmani nel XII secolo, quasi tre secoli prima che Cristoforo Colombo vi mettesse piede. "I contatti tra l'America Latina e l'Islam risalgono al XII secolo.
Uno studio pubblicato dalla rivista Antiquity, realizzato da ricercatori dell'Università dell'Islanda, indica che i Vichinghi furono i primi ad arrivare in America . Analizzando la struttura cellulare del legno in varie fattorie e manufatti dell'epoca, gli scienziati hanno concluso che circa un quarto del legno utilizzato era importato , probabilmente, dal Nord America. I ricercatori rivelano che i coloni norvegesi in Groenlandia (985-1450 d.C.) facevano molto affidamento sul legno importato per la costruzione navale e oltre ad altri indizi significativi. Questa scoperta è fondamentale, poiché sono state rinvenute specie come la cicuta e il pino cembro, che non sono originarie della Groenlandia o dell'Europa, ma di origine nordamericana . Queste specie legnose sono state individuate in costruzioni risalenti al 1000 d.C., supportando la teoria secondo cui i Vichinghi facevano viaggi regolari in quello che oggi conosciamo come New England, Nuova Scozia, Quebec e Ontario.
I Vichinghi avevano la capacità tecnica e nautica di attraversare l' Atlantico e mantenevano anche una rotta commerciale regolare tra la Groenlandia e il Nord America. Secondo lo studio, le aziende agricole d’élite della Groenlandia avevano accesso al legname importato dal Nord Europa e dall’America, con riferimento alle saghe vichinghe che menzionavano questi contatti. Come la Saga dei Groenlandesi e quella Saga di Erik, "Il Rosso", che descrivono tentativi di stabilire insediamenti permanenti a Vinland, situato nel Nord America.
Un elemento chiave in questa storia è l'insediamento nell’Anse aux Meadows , in Canada. Questo sito archeologico ha fornito prove tangibili della presenza vichinga in America, intorno all'anno 1021, sulla base dell'analisi degli eventi solari registrati negli anelli degli alberi.
L'insediamento vichingo dell'Anse aux Meadows è stato al centro dell'interesse sin dalla sua scoperta più di 50 anni fa. Studi recenti hanno utilizzato un evento solare del 993 d.C.. per datare con precisione la presenza vichinga in America. Questa tempesta solare ha lasciato un segno di radiazione sugli anelli degli alberi, fornendo uno strumento accurato per datare il taglio degli alberi da parte dei Vichinghi nel 1021.
La datazione dei manufatti in legno rinvenuti nell'Anse aux Meadows ha permesso agli scienziati di fissare una data esatta per la presenza vichinga nelle Americhe, confermando che questi esploratori europei stavano già abbattendo alberi in Canada secoli prima della "scoperta" di Colombo . Il geografo Ulf Büntgen, dell'Università di Cambridge, ha sottolineato l'importanza di questi ritrovamenti nel confermare l'accuratezza delle saghe vichinghe.
AUTORE: JENNIFER VALQUI
Redattore web della sezione Mondo del quotidiano La República. Esperienza nella scrittura e nella correzione di bozze di articoli scientifici.
De acuerdo con National Geographic, investigadores de la Universidad de Islandia han demostrado, a través de un análisis de madera en Groenlandia, que otro grupo realizaba viajes regulares a América del Norte, principalmente en Estados Unidos y Canadá. Estos hallazgos sugieren que ellos mantenían una ruta comercial constante entre Groenlandia y América en busca de riquezas. Un estudio publicado por la revista Antiquity, llevado a cabo por investigadores de la Universidad de Islandia, señala que los vikingos fueron los primeros en llegar a América. Los investigadores revelan que los colonos nórdicos en Groenlandia (985-1450 d. C.) dependían en gran medida de la madera importada para la construcción de barcos y otros proyectos significativos. Al analizar la estructura celular de la madera en diversas granjas y proyectos de la época, los científicos concluyeron que aproximadamente una cuarta parte de la madera utilizada era importada, probablemente desde América del Norte. Este hallazgo es crucial, ya que se encontraron especies como cicuta y pino piñonero, que no son nativas de Groenlandia ni de Europa, lo que indica su origen norteamericano. Estas especies de madera fueron identificadas en construcciones que datan del año 1000 d. C., lo que apoya la teoría de que los vikingos realizaban viajes regulares a lo que hoy conocemos como Nueva Inglaterra, Nueva Escocia, Quebec y Ontario. Los vikingos tenían la capacidad técnica y náutica para cruzar el Atlántico, también mantenían una ruta comercial regular entre Groenlandia y América del Norte. Según el estudio, las granjas de élite en Groenlandia tenían acceso a madera importada del norte de Europa y América, en referencia a las sagas vikingas que mencionaban esta conectividad. Estas, como la Saga de los Groenlandeses y la Saga de Erik, 'El Rojo', describen intentos de establecer asentamientos permanentes en Vinland, ubicados en Norteamérica. Un elemento clave en esta historia es el asentamiento de L'Anse aux Meadows, en Canadá. Este sitio arqueológico ha proporcionado pruebas tangibles de la presencia vikinga en América, alrededor del año 1021, basadas en el análisis de eventos solares registrados en los anillos de los árboles. El asentamiento vikingo de L'Anse aux Meadows ha sido un foco de interés desde su descubrimiento hace más de 50 años. Estudios recientes utilizaron un evento solar de 993 d. C. para datar con precisión la presencia vikinga en América. Esta tormenta solar dejó una marca de radiación en los anillos de los árboles, lo que proporcionó una herramienta precisa para fechar la tala de árboles por los vikingos en 1021. La datación de artefactos de madera excavados en L'Anse aux Meadows ha permitido a los científicos fijar una fecha exacta para la presencia vikinga en América, lo que confirma que estos exploradores europeos ya estaban talando árboles en Canadá siglos antes del 'descubrimiento' de Colón. El geógrafo Ulf Büntgen, de la Universidad de Cambridge, destacó la importancia de estos hallazgos para confirmar la exactitud de las sagas vikingas.
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Si continua all’infinito con la scoperta dell’acqua calda. I Vichinghi prima di Colombo? Pacifico. Quale conseguenza per l’umanità e l’Occidente in particolare? Nessuna. Chi fu il primo? Non lo sapremo mai. Chi è stato il definitivo grazie al quale il mondo si è completato? In questo caso nessun dubbio: Cristoforo Colombo. E perché nessuno aggiunbge che la vedova di due dei navigatori vichinghi venne a Roma dal papa e si fece suora? E che Colombo partì a colpo sicuro con mappe o libri che risalivano alla biblioteca di Alessandria? Gli studiosi continuano a giocare con i legnetti, ma non si accorgono del trave della dirompente verità storica.
Così erano fatte le prime imbarcazioni che, dopo la scoperta del continente americano, andavano dall'Europa alle Americhe.
Ecco come si presentavano le Americhe prima della conquista da parrte degli spagnoli.
Il 31 marzo 1492 fu firmato il Decreto dell'Alhambra che avrebbe posto fine alla pratica dell'ebraismo nel regno spagnolo. Agli ebrei furono concessi solo quattro mesi per scegliere tra una vita cristiana in Spagna o una vita ebraica in esilio.
Due civiltà che per la storia non si sono mai incontrate.
Prima di Cristoforo Colombo gli africani arrivavano nelle Americhe? Ben due secoli prima che Cristoforo Colombo “scoprisse” il Nuovo Mondo recenti prove suggeriscono che gli africani occidentali avevano già viaggiato oltre l’Atlantico per raggiungere l’America.
Nel 1493 Cristoforo Colombo tornò in Europa dopo il suo famoso viaggio nelle Americhe. Solo un anno o due dopo, tra i soldati francesi in Italia scoppiò una pestilenza che si diffuse rapidamente in altre parti del continente e venne chiamata il "grande vaiolo ".
Il 6 gennaio 1494, nasce formalmente la città di La Isabela, la prima degna di quel nome che gli spagnoli costruirono nel Nuovo Mondo. Era sull'isola di Hispaniola durante il secondo viaggio di Cristoforo Colombo. Il primo insediamento, Fort Navidad, fu distrutto dai ciguayos del capo Caonabó.
L'Ateneo Mercantil de València ha inaugurato la mostra sul disegno della firma di Cristoforo Colombo. E’ composta da 10 pannelli che riassumono in modo molto visivo lo studio condotto da Gabriel Songel, professore e ricercatore presso l'Universitat Politècnica de València.
Un bellissimo fonte battesimale in marmo si può ammirare nella cappella battesimale della Cattedrale di Barcellona. La leggenda narra che lì furono battezzati i sei indigeni che Cristoforo Colombo portò con sé dopo il suo primo viaggio in America.
La famiglia Senior, Senneor o Seneor e il loro entourage formarono un importante gruppo finanziario. Sono intervenuti anche in politica. In questo gruppo spiccava la presenza di un buon numero di parenti personali di Abraham Senior: il suo parente Andrés Cabrera (maggiordomo del re Enrique IV di Castiglia), la moglie di Andrés, Beatriz de Bobadilla (dama dell'allora principessa Isabel) e Alonso de Quintanilla, Ragioniere Maggiore dei Conti, al quale l'infante Alfonso aveva affidato la fondazione di una zecca a Medina del Campo.
Tutti aspettavano il momento in cui il Faro di Columbus si sarebbe acceso e la sua luce sarebbe stata proiettata nel cielo, a forma di croce. Erano gli anni Novanta e nel Paese non si parlava d'altro. Credevano che questa luce, a forma di croce, potesse essere vista anche in Florida o che, come si credeva accadesse con il Wall China, la struttura del Faro poteva essere vista dallo spazio.
Nella ciurma di Colombo oltre ad un “Anton calabres”, un altro correligionario, Angelo Manetti di Aiello. Curioso il riferimento, a proposito dell famiglia, a Massa Carrara dove approdarono i Cybo e ancora di più l'origine di Aiello che era di proprietà di Alberico Cybo Malaspina.
Il momento storico: l'arrivo della Santa María, della Niña e della Pinta sull'isola di Guanahani, ribattezzata San Salvador è ciò che conosciamo come la “Scoperta dell'America”, l'incontro tra due mondi e l’approdo su un nuovo continente. Per questo disponiamo del Diario di bordo di Colombo nella versione di Las Casas. È una lettura affascinante.
Libro di ore, salmi e preghiere, di Maddalena dei Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico e sposa di Franceschetto Cybo, a sua volta figlio di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo.
Tempietto donato alla Madonna dei Martiri dal Vescovo di Molfetta Giovanni Battista Cybo divenuto Papa Innocenzo VIII.
Una pagina dello stupendo Messale di Innocenzo VIII (1484-1492), il pontefice che fu il "padrino" e lo "sponsor" del viaggio di Cristoforo Colombo.
Uno studio condotto dal professore e ricercatore presso l'Università Politecnica di Valencia (UPV) Gabriel Songel ha rivelato un eventuale modello di spiegazione della firma di Cristoforo Colombo.
Cristoforo Colombo, oltre alla sua strana e misteriosa firma a forma di triangolo, composta di 7 lettere maiuscole per finire con un Xpo Ferens, con i familiari e le sue persone più fidate usava scriversi in codice o in una lingua incomprensibile per gli altri.
È stato un grande lavoro di squadra e di cooperazione internazionale quello portato segno dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio che hanno consegnato nelle mani del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano l'incunabolo che contiene la preziosa lettera in cui Cristoforo Colombo racconta alla corte di Spagna e ai finanziatori dell'impresa l’arrivo sulle coste americane.
Avraham ben Shmuel Zacut “Zacuto” (1452-1515) nacque a Salamanca, l'attuale Spagna, in una religiosa famiglia ebrea sefardita. Studiò diritto ebraico e astronomia, divenendo rabbino di Salamanca e, contemporaneamente, professore di astronomia. Ha inventato un nuovo tipo di astrolabio e un nuovo metodo per determinare la latitudine in mare, che si sarebbe rivelato vitale per navigatori e marinai.
I viaggiatori polinesiani navigavano senza bussola o altri strumenti nautici. Tuttavia, leggendo le stelle, le onde, le correnti, le nuvole, i gruppi di alghe e i voli degli uccelli marini, sono riusciti ad attraversare vaste aree dell'Oceano Pacifico e a fondare centinaia di isole, dalle Hawaii a nord all'isola di Pasqua a sud-est fino alla Nuova Zelanda nel sud-ovest.
A proposito della schiavitù dei nativi americani. Dal libro “La scoperta dell’Europa”. Negli anni finirono per arrivare così tanti indigeni che un'ordinanza del 1653 prevedeva di raccogliere tutti coloro che vagavano per la Castiglia e di costringere coloro che li avevano portati a pagare il viaggio di ritorno nel Nuovo Mondo.
Saint Cuby (in Cornovaglia, notare l’y greca, come nell’origine della famiglia Cybo di papa Innocenzo VIII il pontefice “sponsor” di Colombo ) o Saint Cybi (in gallese ) era un vescovo, santo e re della Cornovaglia del VI secolo, che operò principalmente in quella terra e nel Galles del Nord: la sua biografia registra due vite medievali con leggere varianti, in due forme (latine) scritte intorno al 1200.
Il comune di Malaga Benalmádena ospita nel suo territorio una delle costruzioni più curiose non solo della provincia, ma dell'intero paese. Stiamo parlando del castello di Colomares, che nonostante l'aspetto di antica fortezza, è stato costruito nel 1987.
Il 1492 è universalmente riconosciuto come uno degli anni più significativi della storia. Lo sbarco di Colombo sull’Isola di Guanahaní, ribattezzata San Salvador, avvenuto il 12 ottobre, avrà un impatto che si ripercuoterà su tutto il globo, negli anni a venire. Un anno convenzionalmente considerato, dai più, come lo spartiacque tra la Storia medievale e moderna.
Pubblichiamo a puro titolo di cronaca l’ennesima notizia sulla “scoperta” dell’America da parte dei Vichinghi, precedente il viaggio di Cristoforo Colombo del 1492. E allora? Certamente vero e non nuovo. E allora? Cosa ne è derivato all’umanità da quella “scoperta”? I Vichinghi si sono mai resi conto dell’importanza di quelle nuove terre?
La croce è uno dei simboli più conosciuti al mondo. Nel corso della storia, ci sono state molte variazioni della croce, ognuna con un significato storico o culturale. La croce greca, la croce latina, la croce celtica e la croce di Gerusalemme sono solo alcuni esempi dei diversi tipi di croci creati nella storia della nostra fede.
La croce è un simbolo molto diffuso. La si usava anche nell'America precolombiana. Una coincidenza più che plausibile. O la croce diffusa nel Nuovo Mondo nasconde qualche mistero?
Continuiamo a mostrare l'usanza dei nativi americani di adornare le orecchie con dei vistosi e bellissimi monili circolari. Che ancora una volta richiamano quelli della misteriosa dama di Elche, trovata in Spagna e di cui non si riesce a identificare la provenienza.
Due immagini realizzate in epoche passate, in luoghi molto distanti tra loro ma con una somiglianza incredibile. Un disco ritrovato in Perù del VI o VII secolo e l'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci.
Chi è approdato per primo nelle Americhe? E’ un quesito che a quanto pare, pur non avendo nessuna importanza, continua ad appassionare. Chi sia stato il primo in assoluto non lo sapremo mai. Per quanto mi riguarda e per quanto se ne sa, anche prima dei Vichinghi, io dò la palma ai Cinesi.
Né Juana, la figlia dei Re Cattolici, era pazza né sua madre vendette i gioielli per finanziare il viaggio di Colombo in America. Tutte leggende smantellate da María e Laura Lara Martínez in un saggio: Mentiras de la historia de España, edito da Espasa. Un libro in cui le due scrittrici e storiche, che sono anche sorelle, smantellano alcuni dei cliché sopravvissuti nel tempo.
Poiché la storia della scoperta dell'America è una storia esclusivamente occidentale non si parla mai dei neri, se non in funzione della tratta degli schiavi. Eppure nel XIV secolo esisteva il grande impero del Mali, con caratteri quasi rinascimentali, il cui re Mansa Musa viene ancora oggi considerato l'uomo più ricco dell'intera storia umana.
Tempo fa avevamo fatto un accostamento, probabilmente per qualcuno azzardato, fra la misteriosa e affascinante Dama di Elche, rinvenuta in Spagna, e la mega-scultura di un artista peruviano nella zona vicino Cusco, che rappresenta l’imperatore Tupac Amaru.
Nel 2021 il medievista Paolo Chiesa, dell'Università degli Studi di Milano avanzò l'ipotesi che quando Galvano Fiamma (nell'immagine), nell'ancora inedita Cronica universalis (1340? III, 275 = ms. coll. privata, XIV s., ff. 258v–259v), parla di una terra que dicitur Marcklada a ovest della Groenlandia (a sua volta pressoché ignota nell'Europa continentale, all'epoca), stia menzionando l'America.
San Brendan di Clonfert o San Brendano, anche noto come Brendan il Navigatore o il Viaggiatore, raramente Brendano è stato un abate irlandese, del VI secolo. La sua leggenda è raccontata nella Navigatio sancti Brendani scritta da un autore anonimo irlandese del X secolo, dove sono riportati i suoi meravigliosi viaggi apostolici, nella tradizione delle leggende di viaggi irlandesi. Viaggi che lo avrebbero portto anche sulle coste dell’America.
A proposito di somiglianze fra il Nuovo Mondo e gli altri continenti, prima della “scoperta” dell’America del 1492 ad opera di Cristoforo Colombo, rilancio una foto che è comparsa nel mondo virtuale e che mi pare sufficientemente esplicativa di plausibili contatti fra popolazioni lontane, a dispetto di quanto insegna una storia che si ostina a rimanere cieca.
Pico della Mirandola è una delle tante menti incredibili, spuntate come funghi, nell’Alto Medioevo e nel primo Rinascimento: un personaggio criptico e sfaccettato, solo in parte scandagliato. Pico, con le sue tesi, che cercavano una conciliazione fra passato e presente e le fedi di tutti i popoli è la dimostrazione di come quel tempo fu quanto mai esoterico, in una sapienza che comprendeva la conoscenza dell’astrologia, della cabala, dell’alchimia …
Fra i tanti ritratti di Colombo, la maggior parte commissionati (chissà perché …), da uomini di chiesa vi è quello che fa parte della sala del mappamondo, nel bellissimo palazzo a forma di pentacolo, del “gran cardinale” Alessandro Farnese, appassionato mecenate, a Caprarola. Un salone stupendamente affrescato dove, sulla parete di fondo compare una grande mappa geografica che occupa tutto lo spazio. In alto prima del soffitto, ai quattro lati, ritratti di esploratori: la maggior parte hanno avuto a che fare con le Americhe.
Il " Monolito Ponce ", noto anche come " Estela Ponce " o " Estela 8 ", è un monumento alto 3 metri di andesite che si trova nella parte orientale del Complesso Archeologico Monumentale di Tiahuanaco, (sito catalogato come Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco dall'anno 2000).
Mi diverte incrociare manufatti uguali fra i vari continenti in epoche che risalgono a prima della scoperta dell’America. Almeno quella ufficiale del 1492 con Cristoforo Colombo.
La cosiddetta “scoperta” dell’America, che ci è stata tramandata come il frutto di un caso ad opera di un marinaio ignorante e avido di scalate sociali, fu invece un disegno che viene da lontano, preparato in tutti i suoi particolari. Date e numeri compresi, in quella che era una disciplina del tempo, la ghematria. Così non è stato scelto a caso il giorno della partenza ufficiale, il 3 di agosto.
Che ci fa un centauro su un vaso in una civiltà precedente al viaggio di Cristoforo Colombo? La cultura Tiahuanaco (Tiwanaku in inglese) fu un'importante civiltà precolombiana il cui territorio si estendeva attorno alle frontiere degli attuali stati di Bolivia, Perù e Cile.
La presenza degli ebrei in America Latina e nei Caraibi iniziò con la colonizzazione delle potenze marittime di Spagna e Portogallo nel XV secolo. Ci sono stati ebrei in America dal primo viaggio transatlantico di Cristoforo Colombo, che salpò dal porto di Palos il 3 agosto 1492 e arrivò nel "Nuovo Mondo" il 12 ottobre 1492, esattamente 530 anni fa. Non a caso, la data della sua partenza coincideva con il giorno in cui i Re Cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando I d'Aragona ordinarono agli ebrei di Spagna di convertirsi al cattolicesimo, di lasciare il Paese o di essere condannati a morte per disobbedienza alla monarchia.
Dalla tradizione corrente risulta che, nel “primo” viaggio di Colombo del 1492 a bordo della Santa Maria e delle due caravelle, non ci fosse, caso veramente strano, nemmeno un sacerdote. Però in due ricostruzioni che riproducono lo sbarco nel “Nuovo Mondo” è presente un frate.
Una bellissima veduta dei giardini del Belvedere voluto dal papa genovese Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo. In quell'area sorse anche un'altra bellissima costruzione, il Ninfeo di Pio IV, dove ancora una volta fra i mosaici c'è un uccello che sembrerebbe un pappagallo.
Riceviamo e pubblichiamo:
L'Avana Cuba. Cabo Gracias a Dios è un promontorio dell’America Centrale sulla costa del Mar dei Caraibi, tra Honduras e Nicaragua, alla foce del fiume Coco, che segna il confine tra i due paesi, tanto che a nord c’è l'Honduras e a sud c'è il Nicaragua. Cabo Gracias a Dios è sotto la sovranità del Nicaragua.
La spedizione dei navigatori genovesi Vadino e Ugolino Vivaldi ha rappresentato un episodio mitico e ammantato di grande mistero, intrapresa nella primavera dell’anno 1291 con l’intento transoceanico di raggiungere le Indie attraverso la circumnavigazione dell’Africa. La notizia dell’impresa di viaggio dei fratelli Vivaldi ci era giunta, fino ad oggi, soltanto attraverso gli Annales di Genova scritti dal cronista Jacopo Doria, articolata nel seguente passo:
Anche nel sito archeologico di Italica, chiamata la “Pompei sevillana”, a pochi chilometri appunto da Siviglia, in Spagna, città fondata nel 206 avanti Cristo e sede di imperatori vi sono i resti di stupendi mosaici romani.
Che ci fanno questi due pappagalli "americani" in un mosaico romano del II° secolo dopo Cristo a Santa Maria Capua Vetere? Quella del pappagallo è una lunga storia.
ALFREDO BIURRUN - Raramente i grandi eventi commemorativi lasciano un'eredità che corrisponda a ciò che viene celebrato, ma nel 1892 è quasi successo . Il IV Centenario della scoperta dell'America ha avuto le solite manifestazioni in questo tipo di celebrazione: mostre storiche, inaugurazioni di monumenti, congressi..., ma poco si ricorda oltre le repliche della Niña, della Pinta e della Santa María, costruite dagli Stati Uniti e dalla Spagna, che hanno allestito alcune mostre navali. Tuttavia, il progetto di uno dei più prestigiosi architetti dell'epoca presentato per questo centenario, mai realizzato, sarebbe stato una pietra miliare con il superamento in altezza della Torre Eiffel e un'enorme eredità storica della commemorazione.
Strappare alla Francia il merito di aver costruito l'edificio più alto del mondo era ciò che intendeva l'architetto Alberto de Palacio , nella cui carriera si trovano opere come il primo ponte trasportatore del mondo (Puente de Vizcaya), la costruzione della Banca di Spagna, la stazione di Atocha o il Palacio de Cristal del Retiro a Madrid. L’occasione era fornita dalla ricorrenza del viaggio di Cristoforo Colombo . La sua idea di “monumento colossale in memoria di Cristoforo Colombo” consisteva in un globo di 200 metri di diametro installato su uno stand alto 100 metri . Una costruzione che avrebbe dovuto essere coronata da una riproduzione di una delle caravelle di Colombo con la quale sarebbe arrivato ad un'altezza superiore a quella della Torre Eiffel a Parigi.
In Spagna è stata rinvenuta questa bellissima e misteriosa statua a mezzo busto in pietra battezzata “La dama di Elche”. La cui provenienza resta ignota, come incerta la sua datazione. Forse greca, iberica o cartaginese si dice. Mentre in genere viene collocata tra il V e il III secolo a.C. Pure supposizioni. Resta il fascino da Gioconda e la elaborata acconciatura, in particolare l’ornamento delle orecchie. Che si ritrova nell’opera dello scultore Michael de Titan, che ha scolpito sulla roccia, vicino Cusco, l’immagine di Tupac Amaru, l’ultimo sovrano inca del Perù, barbaramente ucciso dai conquistatori spagnoli. Nell’enorme scultura il re porta degli orecchini più semplici, trattandosi di un uomo, ma ugualmente e fortemente simili a quelli della “dama di Elche”, illeggiadriti per una donna. Che gli “indiani” siano venuti in Europa prima della scoperta dell’America? Una traccia dei popoli di Atlantide? Ancora supposizioni.
Nel cuore di Torino, nella centralissima Piazza Castello e a pochi passi dalla Biblioteca Reale e dal complesso del Palazzo Reale di Torino si trova uno dei simboli più curiosi del capoluogo piemontese: si tratta del dito mignolo di Cristoforo Colombo situato sotto i portici della Prefettura. Realizzato in bronzo si tratta di un medaglione in altorilievo raffigurante Cristoforo Colombo, l’esploratore più conosciuto di tutti i tempi. La caratteristica del medaglione è di avere un dito mignolo particolarmente in evidenza mentre sullo sfondo è presente un mappamondo e una caravella in ricordo della scoperta dell’America.
uante coincidenze! Una valanga fra la famiglia Cybo del papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista, Giobatta Cybo e Cristoforo Colombo! Come questa costruzione a Messina, un monumentale ospedale voluto dall’ arcivescovo Innocenzo Cybo, discendente del pontefice dal nome omonimo.
Due statue, pressoché identiche, di Cristoforo Colombo e uno strano gemellaggio fra Italia e Perù. La prima infatti si trova a Lima, capitale dello stato sudamericano.
Quando, alla fine del ‘400, gli ebrei che vivevano in Spagna e Portogallo furono cacciati dalle terre dove vivevano da generazioni, ciò fu solo l’inizio di una lunga persecuzione: infatti, anche quando questi fuggirono nel Nuovo Mondo che Cristoforo Colombo aveva appena scoperto, l’Inquisizione continuò a dare loro la caccia. Ma in questo contesto ci furono anche storie di riscatto e di ebrei che lottarono per ottenere libertà e giustizia. Di questo parla Jewish Pirates of the Caribbean, saggio del 2008 edito da Knopf Doubleday Publishing Group e scritto dallo storico e giornalista Edward Kritzler, deceduto esattamente il 20 settembre di 10 anni fa. Kritzler, americano di nascita ma emigrato in Giamaica, ha analizzato un fenomeno storico poco conosciuto, quello della pirateria ebraica tra il ‘500 e il ‘600.
Nella prima parte del libro, viene approfondito il contesto storico immediatamente successivo alla cacciata degli ebrei dalla Spagna e dal Portogallo: molti conversos, ebrei costretti a diventare cristiani ma che di nascosto continuavano a praticare riti ebraici, emigrarono in Sudamerica e nei Caraibi dove l’Inquisizione era meno influente, sebbene anche lì diede loro la caccia; se scovati, agli ebrei potevano subire 3 diversi destini: l’esilio, la conversione o la morte sul rogo. In molti si arruolarono tra i marinai di Colombo o di conquistadores come Cortez, più tolleranti verso gli ebrei rispetto alla maggior parte degli europei del loro tempo. Nel Nuovo Mondo, molti ebrei diventarono mercanti di successo, che venivano tutelati dalle autorità pur dovendo continuare a nascondere la propria identità.
Le prime testimonianze di pirati ebrei non vengono da oltre l’Atlantico, ma dall’Impero Ottomano e dal Marocco, dove erano meno discriminati che in Europa. Basti pensare che il luogotenente del Capitano Barbarossa, corsaro al servizio degli ottomani, si chiamava Sinan l’Ebreo, o che Samuel Pallache, celebre pirata marocchino, era figlio di un rabbino. Pallache in seguito emigrò in Olanda, dove morì nel 1616, non prima di aver fondato una florida comunità ebraica.
E qui si passa alla seconda parte della storia: prima gli olandesi, e poi i britannici, si servirono di corsari ebrei sefarditi per attaccare le navi spagnole e sottrarre alla Spagna il suo impero. I pirati in questione lo facevano per vari motivi: arricchirsi, vendicarsi delle persecuzioni subite, ottenere delle terre dove avrebbero potuto vivere con gli stessi diritti dei cristiani.
Nel suo libro, Kritzler analizza con cura tutte le forme di intolleranza presenti nel contesto storico trattato, senza fare sconti a nessuno: oltre alle persecuzioni da parte della Chiesa Cattolica, vengono descritte anche le condizioni degli ebrei nei paesi islamici e protestanti, dove rimanevano comunque sudditi di serie B. E anche gli stessi ebrei, nelle loro comunità, avevano regole molto rigide che in alcuni casi allontanavano quegli ebrei che volevano maggior libertà, e la cercarono oltreoceano.
Alla fine del libro, un quesito rimane nella mente del lettore: chi erano davvero i pirati ebrei dei Caraibi (e del Mediterraneo)? Essi rientravano in categorie anche contrastanti tra loro: da un lato coraggiosi guerrieri, dall’altro avidi criminali; da un lato avventurieri in cerca di libertà per il loro popolo, dall’altro pedine in una lotta per il dominio dei mari. Sta di fatto che il libro getta luce su un capitolo curioso della storia ebraica, che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto.
(Foto: Jean Leon Gerome Ferris “La cattura del pirata Barbanera”, 1920, fonte Wikimedia Commons)
Nel 1493, grazie a una lettera dell'oratore sforzesco Taddeo Vimercati, la corte milanese venne a sapere della scoperta del Nuovo Mondo. L'epistola indirizzata da Vimercati al Duca di Milano, datata 27 aprile 1493, arrivò 6 mesi dopo l'effettivo approdo di Cristoforo Colombo sulle isole delle Antille.
La novità viene riportata allo Sforza, perché bandita pubblicamente nelle calli e nei campi di Venezia, dove vien detto che “per alcuni spagnoli sono trovate certe isole de le quali non si aveva cognizione alcuna abondanti d’oro, spezie e altri boni fructi”. Una testimonianza straordinaria di come venne recepita e divulgata all’epoca la notizia della scoperta del Nuovo Mondo.
Un documento, presentato, letto e contestualizzato da Francesca Vaglienti, ricercatrice di Storia Medievale presso l’Università Statale di Milano, nel video realizzato per l’ultimo convegno del ciclo “Medioevo in Archivio” proposto dall’Archivio di Stato di Milano.
E se il 1492 fosse stato un anno come gli altri e Cristoforo Colombo non fosse mai partito con le sue Caravelle? E se, nel 2020, l’America fosse un continente ancora a noi ignoto? L’America, alla fine, l’abbiamo “scoperta”, ma abbiamo mai pensato a quante cose non sarebbero esistite se così non fosse stato? Vediamole insieme.
Tavola del Nuovo Mondo
I banchetti tutti all’italiana di cui tanto oggi andiamo fieri probabilmente non sarebbero stati gli stessi senza la cara America che – nonostante pizza e ananas e ketchup sulla pasta – ci ha regalato alimenti che giorno dopo giorno allietano le nostre tavole e i nostri palati. “Pomi d’oro” e patate, direttamente dall’America meridionale: due alimenti dapprima guardati con sospetto dagli europei, poi accettati e integrati nell’alimentazione di tutti i giorni. Questi due alimenti erano originariamente ritenuti velenosi o oggetti ornamentali non degni di raggiungere la tavola, ma sono nel tempo entrati a pieno titolo nelle abitudini alimentari di tutti i giorni. Se l’America non fosse stata scoperta avremmo probabilmente sentito anche la mancanza dei peperoni, utilizzati come spezie nell’isola di Haiti.
Saremmo riusciti a vivere senza il cacao? Ebbene sì, l’America – in particolare la cultura Maya e Azteca – ha il merito di aver “inventato” il cacao talmente buono da essere considerato un dono degli dei. Attorno al cacao ruotano miti e leggende, una delle quali narra che una regina azteca, custode dei tesori del regno, fu minacciata di morte dai nemici qualora non avesse rivelato l’ubicazione di tali tesori. La regina non rivelò il segreto e fu quindi uccisa, e dal suo sangue nacque la pianta del cacao ed il suo frutto preziosissimo. Il cacao sudamericano è tuttora uno degli alimenti più misteriosi e affascinanti, forse per le sue proprietà energizzanti, afrodisiache, forse perché è semplicemente squisito.
I have a dream…
Viaggiando avanti nei secoli possiamo notare come l’America abbia impresso la sua firma su tante delle nostre abitudini, dei nostri svaghi o gesti quotidiani. Diversi inventori, invenzioni, abitudini appartengono al Nuovo Mondo, vediamone alcuni. Se non avessimo conosciuto l’America non avremmo probabilmente conosciuto Thomas Edison, abilissimo inventore responsabile di averci consegnato invenzioni come il fonografo o la semplice ma indispensabile lampadina.
Senza l’America forse non avremmo conosciuto Frida Kahlo o Pablo Neruda. Forse il primo sbarco sulla Luna sarebbe stato diverso, o ancora non avremmo avuto il Rock ’n roll e altri generi musicali – e forse l’arduo compito di farci dimenare a ritmo del rock sarebbe spettato al ciuffo del nostro Bobby Solo. Che dire poi della Hollywood Sign sollevata sulla collina di Los Angeles, del cinema dei blockbusters, degli Oscar, dei Vip, delle stelle del grande schermo che ci fanno sognare?
Insomma, senza l’America forse non sarebbero esistite tante di quelle cose che oggi ci hanno reso quello che siamo. O forse saremmo semplicemente stati diversi. Ma è proprio questo il bello delle culture: ci arricchiscono, ci donano bellezze inestimabili che spesso diamo per scontato. Tante volte ci focalizziamo sulle negatività dei nostri vicini dimenticando che forse, senza di loro, le nostre vite sarebbero state un po’ più tristi.
Gudrid Thorbjarnardóttir … the woman who found the New World 500 years before Columbus
In our new series on lesser-known adventurers, we shine a light on the Icelandic explorer who reached America long before big Chris
Passport details
Gudrid Thorbjarnardóttir, AKA Gudrid the Far-Travelled, New World explorer.
Place and date of birth
Iceland, sometime in the late ninth century… but you should never ask a Viking woman her age.
Claim to fame
Gudrid was as well-travelled as her nickname suggests, visiting Norway, Greenland and, later in life, making a pilgrimage to Rome. What makes her truly exceptional, though, is that she sailed to North America in a longship, beating Christopher Columbus to the New World by almost 500 years. According to the accounts recorded in the Saga of Erik the Red and the Saga of the Greenlanders, Gudrid lived in America (known to the Vikings as “Vinland”) for three years. Her son Snorri was the first European to be born there.
Supporting documentation
It’s an almost unimaginable feat of derring-do, considering the hazards and the available technology, but there are pretty good reasons to believe that it stacks up. Since the 1960s archaeological evidence has emerged to confirm the Vinland sagas’ extraordinary accounts of a precocious Norse expedition to the New World. The remains of a settlement were discovered at L’Anse aux Meadows, on the northern tip of Newfoundland, with typical Viking characteristics and preserved artefacts. Remnants of a spindle used for spinning yarn support the idea that a woman was among the would-be settlers.
Distinguishing marks
Sadly, Gudrid will never come to life for us in the way later, better-documented explorers do. However, the glimpses we get from the two sagas suggest Gudrid was not only resourceful but a compassionate traveller, who deserves to be better-known.
Il Viaggio del monaco irlandese San Brandano potrebbe essere stato un precedente, per la via del nord, della scoperta dell’ America. Il racconto, condito di fantasie e di visioni tipicamente medioevali, in alcune parti pare echeggiare un’esperienza vissuta in paesaggi tipici del grande nord. Ma quello che sorprende, almeno per noi, è che sulle vele di quell’ ipotetico viaggio c’era una croce rossa. La stessa che praticamente avevano le imbarcazioni templari e la stessa che comparirà sulle vele di Cristoforo Colombo. Come se quello fosse anche un segnale ormai noto anche alle popolazioni alle quali si andava incontro.
Il culto del sole, comune sotto tutte le latitudini, è di origine pagana. Come per molte altre credenze e riti il cristianesimo se ne è appropriato ed ecco la figura del Cristo-sole, del Cristo-luce. “Oh, si rallegrino pure gli uomini nel Signore, come la terra si rallegra ogni mattina quando sorge il sole a liberarla dalle tenebre. Il Natale è la grande aurora della nostra liberazione; Gesù Cristo nascente è il Sole di giustizia, che sorge nel mondo per allontanarne le ombre della morte.” Innocenzo VIII, come un novello Cristo, collocò il suo stemma al centro di un sole raggiato. Anche l’ attuale papa Francesco Bergoglio ha un soloe nel suo stemma. Da sinistra il Cristo-sole, lo stemma di papa Innocenzo al centro del sole e quello di papa Bergoglio.
“A Castilla y a Leon nuevo mundo diò Colòn”: con questo motto è stata tramandata la “scoperta” dell’America ad opera di Cristoforo Colombo, contribuendo ad alimentare il grande falso perpetrato sulla verità di come andarono effettivamente le cose. In una ricostruzione completamente diversa degli eventi che portiamo avanti da circa 30 anni. Innanzi tutto va rilevato ancora una volta che i viaggi di Colombo nulla ebbero a che fare con Ferdinando d’Aragona come certifica lo stesso motto propagandato dagli spagnoli. In
più c’è da aggiungere che gli emblemi della regina come del re, che non compaiono mai nelle raffigurazioni delle caravelle, erano un fascio di frecce legate fra loro per Isabella ed un nodo gordiano intorno ad un giogo per Ferdinando con la dicitura “tanto monta” che fa riferimento ad Alessandro Magno. Nelle foto le teste coronate spagnole e le loro icone araldiche.
Ad appena 16 giorni dal 25 luglio 1492, data della sua morte, Giovanni Battista Cybo, Innocenzo VIII, effettuava un atto importante elevando la cattedrale di Valencia a sede metropolitana e nominando Alessandro VI arcivescovo di Valencia, dietro richiesta dei re cattolici Ferdinando ed Isabella. Evidentemente il pontefice era in perfette condizioni sia fisiche che mentali, a dispetto di una tradizione che lo vorrebbe pressoché malaticcio e in agonia, sempre che il 25 luglio, giorno in cui curiosamente si festeggia San Cristoforo, rappresenti realmente la data della sua morte, visto che sulla sua tomba è incisa un’altra data. Siamo a pochi giorni dalla partenza da Palos il 3 agosto del 1492 di Cristoforo Colombo e sicuramente la concessione è legata a quell’evento, a coronamento di precisi accordi fra Roma, di cui il navigatore era un inviato, e la Spagna.
LA FIRMA DI CRISTOFORO COLOMBO E QUELLA DEL FIGLIO FERNANDO, CHE RACCOLSE LA BIBLIOTECA PRIVATA PIù IMPORTANTE D' EUROPA, IN UN TEMPO IN CUI I LIBRI COSTAVANO UNA FORTUNA. TUTTI E DUE, IN UN MOMDO DI ANALFABETI, DIMOSTRANO UNA PADRONANZA TOTALE DELLA SCRITTURA E ADDIRITTURA UNA BELLA CALLIGRAFIA. COME TUTTO QUESTO SI CONCILII CON UN NAVIGATORE DI UMILI ORIGINI GLI STUDIOSI NON CE LO HANNO MAI SPIEGATO. ANCHE COLOMBO AVEVA UNA PREZIOSA LIBRERIA. PURTROPPO E' QUASI COMPLETAMENTE SPARITA, RIMANGONO SOLO 5 VOLUMI. MA SIA LUI CHE FERNANDO DIMOSTRANO UN AMORE PER UNA CULTURA UNIVERSALE. IL CHE NON SI ADDICE AL RITRATTO DEL MARINARETTO IGNORANTE CHE CONTINUANO A PROPINARCI PERSINO FIRME ILLUSTRI CHE PURTROPPO DI COLOMBO NON HANNO CAPITO NIENTE. DOPO 30 ANNI DI RICERCA NON ABBIAMO REMORA AD AFFERMARLO. SIAMO STATI UMILI ANCHE PER TROPPO TEMPO.
Nel Mali, in un regno africano medioevale, si tramanda che Abubakari II divenne, nel XIV secolo, il re dell’allora impero del “Mande”, che comprendeva la parte più vasta dell’Africa occidentale.
Dalla costa del continente nero, nel mese di agosto come per Colombo, una flotta di numerose imbarcazioni, costruite nel 1312, prese il largo, nella zona del Gambia, per raggiungere il continente americano 200 anni prima della “scoperta”. Si parla di personaggi iniziati ai misteri fondamentali del mondo mandingo, di tombe incise con segni cabalistici, di un uomo bianco dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, di un Pablo originario di Granada, la città delle tre grandi religioni monoteiste. Sotto la sua guida Abu, appassionato di geografia, si è recato ad Alessandria per essere affidato ad un navigatore arabo allo scopo di scoprire nuovi orizzonti.
Si narra di un Egitto dove nelle librerie del Cairo e di Alessandria (!) sono disponibili opere scientifiche preziose, che sono collezionate e studiate. Fino al giorno del grande varo: i navigli imbarcano ciascuno 40 (!) uomini, ci sono voluti sette (!) anni per prepararli, gli scafi sono lunghi 40 (!) cubiti, ventimila anime si muovono nel vento, l’altra riva “del grande fiume” si sarebbe dovuta raggiungere nel tempo inferiore ad una luna, quasi un mese. Come per Colombo. Anche per gli uomini del Mali è Terra promessa. In ricordo di un vecchio amico arabo viene chiamata “Ibrahim Ismael. Brasil”, proprio come la chiameranno i portoghesi, che si insedieranno in Guinea. Uomini e donne nella nuova terra sono di colore rosso.
L’impero del Mande e il seme dell’umanismo mandingo insegna che in tutti gli uomini esiste lo spirito, un Dna appartenente ad ogni creatura, che l’uomo è, prima di tutto, un essere essenzialmente dotato di principi morali e che se si deve fare una guerra, dev’essere quella della pace. Per creare un Mande nuovo occorre un uomo nuovo. Ancora un nuovo Adamo, questa volta nero. Come canta appunto la voce del “griot” accompagnato dal suo strumento, la kora, per ricordare le parole ormai dimenticate, visto che un famoso proverbio recita: «In Africa, un vecchio che muore è una biblioteca che brucia».
Il testamento spirituale del grande sovrano recita: «Mon expédition marittime vise au progrès universel de la science pour la retrouvailles définitive au sein de la grande famille humaine… L’autre nom de la vie c’est la paix. C’est dans la tolérance, la concorde et l’entente entre peuples que le respect mutuel porte fruit... C’est la culture qui fera ce prodige en trasformant chaque abitant de l’espace géographique mandingue en un exemplaire unique et singulier, réalisé dans toutes ses dimensions, dans toutes ses capacités...». Ancora l’uomo vitruviano, ancora una geografia da realizzare in nome della pace e della fraternità, in nome di quello spirito, che accomuna tutte le genti del mondo: parole degne di un umanista rinascimentale. Il Mali rappresentava, con la sua leggendaria Timbuctù, (NOTA – A Timbuctù era arrivato Ibn Battuta, il Marco Polo dell’Islam, a Timbuctù pare essere giunto il fiorentino Benedetto Dei, che avrebbe influenzato le conoscenze (che vanno sempre di pari passo fra Cristianità ed Islam) dell’ispiratore di Colombo, l’altro scienziato fiorentino Paolo del Pozzo Toscanelli. Dei inoltre è stato a lungo a Costantinopoli, dove si è incontrato con Maometto II, il conquistatore della “seconda Roma” e detentore dei luoghi sacri alla Cristianità in Terrasanta.. Ancora una volta i conti tornano perfettamente. Per comprendere l’intreccio fra i figli di Maometto II e Innocenzo VIII, e di conseguenza Colombo, in relazione proprio alla Terrasanta, rimandiamo al nostro “Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari”.) la città “de 333 (!) saints” (santi), il centro di un impero costruito sul commercio, «il punto di incontro fra le sabbie del Sahara e le acque del Niger dove, fra il XIV e il XVI secolo, sale, oro, cammelli e schiavi si incrociavano in un unico, ricchissimo mercato: il luogo inaccessibile sognato dai viaggiatori europei a cui era vietato avvicinarsi, la città di quell’imperatore Kanka Musa che nel 1324 si fece accompagnare nel pellegrinaggio alla Mecca da ottomila cammelli e due tonnellate e mezzo di oro e lungo il cammino ne distribuì tanto da far crollare il prezzo di mercato fino al Cairo». (NOTA – Caferri Francesca, La Repubblica, le pagine del deserto salvate a Timbuctù, 25 marzo 2007.)
A Timbuctù si conserva ancora oggi una preziosa biblioteca di 25.000 manoscritti, per la maggior parte in lingua araba, un tesoro che l’Onu si sta preoccupando di salvare. Potrebbe riservare sorprendenti verità.
Il Mali è prospiciente il golfo di Guinea. Là gli europei si recano a fare incetta dell’oro. Oro di provenienza solo africana? La “Mina”, la miniera della Guinea, rientra nei possedimenti portoghesi, il cui sovrano è convinto della presenza di terre “famose” all’austro nell’Atlantico. Chi gliene ha dato la certezza? In Guinea si è recato Colombo in una delle sue peregrinazioni prima del 1492. Quali informazioni ha raccolto? O da laggiù è salpato in un viaggio effettuato con i lusitani e cancellato dalla storia? Di qui le rivendicazioni di Giovanni del Portogallo nel 1493, al ritorno ufficiale dalla “scoperta”?
Le punte delle frecce di quei navigatori, scrive Colombo, sono di “guanín". “Guanín” è parola di derivazione africana, significa “lega d’oro”. La lega delle frecce, di cui viene subito fatto un saggio, è identica a quella usata nelle zone africane. Dalle quali evidentemente proviene, visto che gli indios non conoscono il metallo e le loro armi rudimentali ne sono sprovviste. Un flotta di piroghe ha attraversato l’Atlantico? Forse non è stata nemmeno la prima volta nel corso dei secoli. Molte sculture ciclopiche del Mesoamerica conservano inconfondibili volti camusi. Ma i neri nella storia non hanno mai contato nulla, come la loro schiavitù, a dispetto del fatto che ancora oggi l’Africa viene considerata dagli scienziati la culla del primo uomo.
Al ritorno dal primo viaggio in America, prima di raggiungere la Castiglia, Cristoforo Colombo sbarcò a Lisbona, dove iniziò a diffondere le notizie della scoperta che si diffusero rapidamente. Il suo arrivo produsse un grande trambusto, perché il navigatore aveva realizzato il progetto che era stato offerto al Portogallo e che il re aveva rigettato, più interessato a continuare la linea di espansione navigando a sud dell’'Africa, cercando di scoprire una nuova rotta per le isole delle spezie. Ora Colombo stava scoprendo un possibile percorso verso quelle isole remote. Pertanto, il 5 marzo 1493, Bartolomé Díaz gli chiese di informarlo del viaggio, intervistando anche il capitano Álvaro Damon.
Re Juan II (1455-1495) gli mandò un appunto per mezzo di Martín Noroña invitandolo nella valle del Parayso, distante da Lisbona a nove leghe. L'incontro si svolse il 10 e i due rimasero a parlare l’intero giorno. Colombo sostò nella capitale portoghese fino al 13, quando salpò per Siviglia per poi andare alla corte spagnola e informare i monarchi cattolici, Isabella I di Castiglia e Fernando II d'Aragona e V di Castiglia. Quando Colombo arrivò alla corte catalana riferì ai re delle scoperte, ma è possibile che non fosse così chiaro nelle sue spiegazioni come gli era richiesto, forse pensando di mantenere alcuni segreti che gli avrebbero permesso di fare nuovi viaggi. Ferdinando comunque non perse tempo e inviò dispacci alle principali corti europee e soprattutto a Roma, dove chiese un intervento favorevole agli interessi spagnoli, aspettandosi l'appoggio di Papa Alessandro VI (1492-1503), di Borja, di famiglia valenciana. Fernando lo convincerà a riconoscere alla Spagna la proprietà delle terre scoperte. Il 3 maggio Alessandro VI firmò la bolla “Intercetera” che escludeva il Portogallo. A cui seguì una seconda bolla datata 4 maggio dove una linea immaginaria tracciata da nord a sud a cento leghe dalle Azzorre tagliava la terra in due metà.
La “raja” non soddisfece il Portogallo che continuò a insistere nelle sue rivendicazioni. Si rese pertanto necessaria un’ulteriore bolla. I documenti in questione furono scritti in aprile, maggio e luglio, ma furono retrodatati in modo che i portoghesi non pensassero che il papato avesse ceduto alla pressione spagnola. Il 25 settembre 1493 fu infine pubblicata la quarta e definitiva bolla. E fu nel1494 a Tordesillas che si raggiunse finalmente l'accordo finale sulle aree di espansione di entrambe le monarchie.
Lecce sarà la prima città in Puglia ad avere le vie delle Giudecca indicate anche con la traduzione in lingua ebraica, al pari di altre città in Italia.
La presentazione del progetto “La Giudecca si illumina” e l’inaugurazione delle nuove targhe toponomastiche si è tenuta, all’Open Space di Palazzo Carafa, in occasione della Giornata della Memoria, con la quale si commemora ogni anno la liberazione degli ebrei dai campi di sterminio nazista.
L’appuntamento, sponsorizzato da A.N.I.R.I (Associazione Nazionale Insigniti della Repubblica Italiana), rientra fra le iniziative organizzate dal Museo Ebraico “Palazzo Taurino”, inaugurato nel 2016 proprio nell’area dove si presume si trovasse la sinagoga, nel cuore dell’antica Giudecca, ossia dove oggi ci sono alcuni dei monumenti più importanti del capoluogo: la Basilica di Santa Croce, Palazzo dei Celestini e Palazzo Adorno. Nelle sue sale è stata ricostruita la presenza secolare degli ebrei a Lecce e nel Salento, con
particolare riferimento al periodo medievale, precedente alla loro espulsione definitiva dal Regno di Napoli decretata da Carlo V nel 1541.
Tre sono le vie del quartiere ebraico che avranno la denominazione in doppia lingua: Via della Sinagoga, Vico della Saponea (che ricorda l’antica attività dei saponificatori ebrei) e Via Abramo Balmes (in onore del medico nato a Lecce verso la metà del ‘400, di cui si conserva a Zurigo, caso unico nella storia dell’ebraismo medievale, il diploma con cui Papa Innocenzo VIII, che fu vescovo di Molfetta, gli concesse di praticare l’arte ippocratica presso i cristiani).
Sempre all’Open Space, si è tenuto l’incontro intitolato “Gli ebrei in Puglia: itinerari alla scoperta di una memoria cancellata” con gli interventi di Fabrizio Ghio e Fabrizio Lelli, autori della “Guida al Salento Ebraico” (Capone Editore, 2018), Giorgio Gramegna, coautore di “Sinagoga Museo S. Anna, Guida al Museo” e Maria Pia Scaltrito, autrice di “Puglia. In viaggio per sinagoghe e giudecche”.
Nelle foto: La fondazione dove è stato presentato il libro sugli Ebrei nel Salento e a destra una indicazione stradale in doppia lingua.
Un testimone attento del tempo, Plutarco, scrive che «a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, verso occidente, ci sono isole e dietro di loro un continente»; e Plinio (una delle letture di Colombo) nota «che tutto l’Occidente al di fuori delle colonne d’Ercole è ormai osservato ed esplorato».Ma anche piante come il mais o l’ananas, la cui diffusione in Europa è fatta risalire alla scoperta dell’America erano presenti nel Mediterraneo già in epoca romana. Numerose monete romane furono trovate laddove i geografi del tempo ritenevano essere la “terza India”. Equivoco che rimarrà anche dopo la scoperta di Colombo.
Molti profili genetici dimostrano sorprendenti somiglianze fra latino-americani ed ebrei sefarditi in Turchia, secondo il lavoro svolto dal ricercatore Rolando González-José e un team di esperti internazionali. E’ il risultato del confronto fra modelli di DNA di più di 6500 latino-americani con più di 2300 nativi di altri continenti. L'ipotesi è che nel 1492, quando Cristoforo Colombo sbarcò in America, nel momento in cui i re cattolici cacciavano gli ebrei dalla Spagna, ci siano stati molti convertiti che abbiano attraversato l'oceano e per iniziare una nuova vita in America. Fino all’ indagine recente l'impatto demografico degli ebrei sull'attuale popolazione latinoamericana non era noto.
Determinanti sono state le coincidenze tra i frammenti del genoma dei meticci cosmopoliti latinoamericani di cinque grandi città e le comunità di ebrei sefarditi provenienti dalla Turchia. Quando i re cattolici emanarono il decreto, la maggior parte fuggì ad Istanbul, ma altri arrivarono nelle terre appena colonizzate.
Federico II (1194-1250) , lo “stupor mundi”,era un appassionato della caccia e in particolare della caccia con il falco. Fu autore anche di un trattato “Arte venandi”. Curioso che già a quel tempo disponesse, fra gli altri, anche del falco bianco della Groenlandia, terra ancora ignota.
Dharma è un termine che presso le religioni dell'Asia meridionale riveste numerosi significati. Può essere tradotto come "Dovere", "Legge", "Legge cosmica", "Legge Naturale", oppure "il modo in cui le cose sono" o come equivalente del termine occidentale "Religione" [ . La parola Dharma è usata nella maggior parte delle filosofie religiose o religioni di origine indiana: Induismo ( Sanātana Dharma ), Buddhismo (Buddha Dharma), Giainismo (Jain Dharma) e Sikhismo (Sikh Dharma). Il termine deriva dalla radice sanscrita dhṛ traducibile in italiano come "fornire una base", ovvero come "fondamento della realtà", "VERITA’", "obbligo morale", "giusto", "come le cose sono" oppure "come le cose dovrebbero essere".
Spesso nell'arte buddhista cinese e tibetana, nel mozzo della ruota del dharmacakra viene inserito un gankyil o un elemento della cultura cinese, il tàijí (太極), che simboleggia l'intersecarsi di sofferenza e liberazione. Questa "ruota" è, nella precedente iconografia indiana, un'arma sacra, segnatamente di Indra . Questa arma è messa in moto (lanciata) dal Buddha Śākyamuni per colpire gli ostacoli, gli errori, gli attaccamenti che impediscono all'uomo di raggiungere il Nirvāṇa . E come un'arma, questa "ruota" ( cakra ) "colpisce" da uomo a uomo, da paese a paese, da era storica a era storica con gli "insegnamenti" ( dharma ) del Buddha Śākyamuni.
Decisamente curioso come l’icona che rappresenta il “Dharma” sia quasi perfettamente uguale all’insolito rosone presente sulla Chiesa di Santo Stefano di Ferentillo, che avevamo assomigliato ad un timone. Si dà il caso che signori di Ferentillo divennero i discendenti di papa Cybo, Innocenzo VIII, lo “sponsor” di Cristoforo Colombo. Curioso anche che in quel borgo vennero in delegazione dei cinesi. Curioso infine che Colombo scrisse: “Perché la verità trionfa sempre” e che “ Lo Spirito Santo è presente in cristiani, musulmani ed ebrei e di qualunque altra setta”.
Il Cortile del Pappagallo è un luogo davvero magico. Seguiva alla loggia della Benedizione il Palazzo pontificio che da questo lato aveva il suo ingresso principale. Varcatane la soglia, si entrava nella lunga corte “ubi cardinales descendere solent” fiancheggiata, a sinistra, dalla Curia di Innocenzo VIII che la
separava dall’atrio della basilica. Un secondo cortile era quello chiamato “del Maresciallo”. Nell’ala di portico rimasta si scorgono le armi di Paolo lI. Qui era l’ingresso alla parte più intima dell’abitazione pontificia. Oggi ancora è “in situ” la porta con l’arme di Pio II tenuta da due putti, cui lavorò Antonio di Giovanni da Milano. Dopo questa porta, si trova il Cortile del Pappagallo.
La storia del restauro, raccontata da Marina Tomarro ai microfoni della Radio vaticana, inzia con un ritrovamento casuale partito dalla scoperta di una traccia di pittura azzurra all’altezza di venti metri su una delle mura del Palazzo Apostolico in Vaticano. Nasce da lì lo studio e il rilevamento pittorico del Cortile del Pappagallo.
Maria Mari, curatrice del volume “Cortile del Pappagallo – Hortus Conclusus”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, ha spiegato che “questo lavoro in realtà non è nato dallo studio della residenza pontificia, non è partito quindi da uno studio storico. In realtà, la sorpresa è stata questa: quel giorno, volgendo lo sguardo su un prospetto molto alto – venti metri – siamo rimasti impressionati da quel frammento azzurro, perché ci ha ricordato l’azzurro del Giudizio Universale. È da lì che è nata la ricerca storica di capire, in un cortile su fronti esterni, la necessità di dipingere, forse, di nuovo del verde all’interno di un verde vero, naturale, come quello, appunto, del Giardino del Belvedere, delle erbe medicinali, delle vigne papali. Quindi è stato un viaggio affascinante che ci ha portato a questa cinta chiusa, dove abbiamo immaginato Pio IV che, chiuso il quarto lato, godeva di questa bellezza”.
Proprio lo studio di questa figurazione pittorica, voluta da Papa Pio IV, ha svelato le meraviglie dei suoi affreschi, ormai in parte completamente rovinati, che raffigurano un hortus conclusus, popolato da fiori colorati, piante rare ed animali esotici a ricordare, nella sua bellezza, il paradiso terrestre. “C’è un velo di magia, di mistero, perché noi – ha osservato l’architetto Mari, vediamo la cinta muraria, i tralci della vite, i vasi; non vediamo l’uomo: l’uomo è al centro di questo cortile?
Questo non si sa, perché negli apparati decorativi delle facciate grafite di solito erano rappresentati anche dalla parte umana. In questo cortile – ha concluso la curatrice – questo non si trova. Noi non lo abbiamo trovato e lo stiamo cercando”.
Strane analogie, come ci ha indicato dal Messico Mariana Hernandez Sanchez, si verificano usando la numerologia applicata alle lettere dell’alfabeto ebreo fra le parole “Adonai Yahweh or ’Adonai Jehovah” e il cognome Cibo (o Cybo). Forse si tratta solo di coincidenze ma lasciano pensare. Tanto più che un ricercatore come l’Ammiraglio Barbiero sostiene che Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, sarebbe l’ultimo papa della stirpe mosaica.
Y 10 C 20
E 5 I 10
H 5 B 2
O 70 O 70
V 6
A 1
H 5
Totale 102 Totale 102
La somma fra le cifre finali da 3 numero perfetto e della Trinità.
Dopo la scoperta dell’ America gli spagnoli cercarono a lungo il popolo delle Amazzoni di cui anche Colombo aveva sentito parlare
Le Amazzoni (in greco antico: Ἀμαζόνες, Amazónes) sono un popolo di donne guerriere della mitologia greca. ll nome greco Ἀμαζών (amazòn) è di dubbia etimologia.
La maggior parte degli autori classici, considerano la Ἀ iniziale un'alfa privativa che rende nullo il successivo nome μαζός, versione ionica di μαστός, che vuol dire "seno": il risultato sarebbe quindi "senza seno".
L'etimologia è riferibile al costume tradizionale attestato dalle fonti mitografiche secondo cui le Amazzoni si mutilavano la mammella destra allo scopo di tendere meglio l'arco. Da tutti gli autori viene evidenziata la relazione fra la mutilazione/occultamento degli attributi femminili e il miglioramento delle abilità guerresche reputate qualità chiaramente maschili.
Lo pseudo-Ippocrate riferisce[] che alle donne dei Sarmati, tradizionalmente identificate o collegate con le Amazzoni (si veda in seguito), viene bruciata la ghiandola mammaria destra tramite l'applicazione di un disco di rame arroventato. La pratica viene compiuta nella prima infanzia per impedire lo sviluppo del seno e assicurare maggior forza al braccio che tenderà l'arco.
Un riferimento ad un costume analogo delle Amazzoni viene attestato[ da Diodoro Siculo. Lo storico greco accenna alla mutilazione senza fornire dettagli, ma precisando che il suo scopo è quello di rendere più forti le donne guerriere. Eustazio di Salonicco, ecclesiastico ed erudito bizantino del XII secolo, nel suo commentario all'Iliade cita la pratica della bruciatura del seno nei termini e negli scopi precisati da Ippocrate («ut arcus facilius intendant»), ma riferendola alle Amazzoni del poema omerico.
Un riferimento analogo compare anche nell'Eneide di Virgilio il quale descrivendo Pentesilea, una delle loro regine, annota come il seno della donna sia compresso strettamente da una fascia d'oro («aurea subnectens exsertae cingula mammae»).
Altre fonti invece considerano la Ἀ iniziale come un rafforzativo, e quindi la traduzione sarebbe "grande seno". Questo sarebbe confermato dal fatto che quasi tutte le rappresentazioni di questo popolo mostrano splendide donne con entrambi i seni fiorenti.
Altre fonti ancora lo fanno derivare dal caucasico masa, "luna", e quindi si potrebbe tradurre con "sacerdotesse della luna".
Un'altra interpretazione fa risalire l'etimologia del nome all'iraniano "ha-mazan", che significa "donna guerriero", discostandosi quindi totalmente dal termine greco e dalla pratica dell'amputazione o della bruciatura del seno. La tesi è avvalorata dalla constatazione che non siano mai state ritrovate antiche sculture o pitture di amazzoni prive di una mammella.
Sulla base delle fonti classiche, le Amazzoni vivono nella Scizia, presso la palude Meotide o in un'area imprecisata delle montagne del Caucaso da cui sarebbero migrate, successivamente, sulla costa centro-settentrionale dell'Anatolia (o viceversa da questa in Scizia).
Il saggio di Enrico Guidoni, La Primavera di Botticelli: l’armonia tra le città nell'Italia di Lorenzo il Magnifico (Editore Kappa, 2005) offre una nuova lettura. Né letteratura né filosofia, l'opera di Botticelli va interpretata politicamente: l'idilliaco giardino simboleggia infatti l'Italia, e i nove personaggi mitologici altrettante città italiane.
Secondo Guidoni, il dipinto potrebbe essere la rappresentazione allegorica di un progetto che Lorenzo de' Medici tentò invano di portare a termine: un progetto di coesistenza pacifica tra le maggiori città italiane, legate da accordi segreti (questo il motivo di un'estrema metaforizzazione simbolica dei personaggi), sotto la regia occulta di Firenze e del Pontefice, Innocenzo VIII. Un programma utopistico favorito anche da matrimoni incrociati: tra Maddalena, figlia di Lorenzo, e Franceschetto Cybo, nipote (ma in realtà figlio) del Papa. E tra Piero, altro figlio del Magnifico, e Alfonsina Orsini, della famiglia legatissima al Pontefice.
Un’illustrazione del XIII secolo di un Cacatua, caratteristico pappagallo che si trova in natura solo nel nord tropicale dell’Australia e in isole vicine, sfata il mito britannico secondo cui l’Australia era un continente sconosciuto e rivela come le rotte commerciali attorno al nord del continente fossero fiorenti sin dal medioevo. Il disegno è stato trovato da ricercatori australiani e finlandesi nella biblioteca vaticana, in un manoscritto siciliano del XIII secolo appartenente all’imperatore romano Federico II. Il manoscritto ‘De Arte Venandi cum Avibus’ (L’arte di cacciare con gli uccelli) include 900 disegni di falchi da caccia e di altri animali posseduti dall’imperatore. Fra questi, quattro rappresentano un cacatua bianco, dono a Federico II del sultano d’Egitto al-Kamil, indicando che il volatile aveva gia’ viaggiato dall’Australia all’Egitto prima di essere portato in Europa.
“Questo pappagallo apre una finestra in un mondo di vivaci commerci con il nord dell’Australia”, scrive la coautrice della ricerca, Heather Dalton dell’Universita’ di Melbourne, sulla rivista Parergon. “La scoperta di queste immagini mette in luce il fatto che già nel medioevo i mercanti che solcavano le acque appena a nord dell’Australia erano parte di un commercio fiorente, che si estendeva a ovest fino al Medio Oriente e oltre”.
I ricercatori hanno esaminato i dettagli, come il colore dell’uccello e la spettacolare cresta erettile che lo distingue dagli altri pappagalli. Hanno anche notato che la cresta non era rialzata, come fanno i cacatua quando sono aggressivi, impauriti o sorpresi, o come parte del corteggiamento, e hanno concluso che il pappagallo di Federico “si sentiva calmo e al sicuro” mentre veniva ritratto. I cacatua viaggiano bene con le persone essendo socievoli, sono longevi e quindi sono un regalo ideale, scrive Dalton. In cattività vivono fino a 80 anni e allo stato libero fino a 120.
“Il viaggio attraverso le rotte del commercio avrebbe impiegato anni, e le loro probabilità di sopravvivere erano molto più alte degli altri animali”. Si tratta delle più antiche illustrazioni europee conosciute dell’uccello, che precedono di 250 anni quella che era finora considerata la più antica, di un cacatua in un quadro di Andrea Mantegna (Visibile sullo sfondo in secondo piano) rappresentante la Madonna della Vittoria, che si trova al Louvre. La stessa Heather Dalton aveva già pubblicato uno studio sul cacatua nel quadro di Mantegna, quando fu identificato per la prima volta come tale nel 2014.
El Monumento a la Fe Descubridora
Y arrancamos por uno de los lugares más simbólicos de la ciudad: el Monumento a la Fe Descubridora es uno de esos rincones fundamentales para entender la historia de Huelva. Porque es la ciudad desde donde partieron las naves que llevaron a Cristóbal Colón a descubrir América. Y esos onubenses marineros que lo acompañaron en tan magna hazaña se merecían un reconocimiento, ¿no crees? La inmensa escultura se encuentra en la confluencia entre los ríos Tinto y Odiel, en una zona conocida como Punta del Sebo, y fue obra de la americana Gertrude Vanderbilt Whitney, sucesora del mismísimo Rodin.
El monumento, de estilo cubista, representa a un navegante mirando hacia el oeste y mide nada menos que 37 metros de altura. Fue inaugurado en 1929 y bien merece la pena que te acerques hasta él, a unos kilómetros del centro de la ciudad, para pasear por sus alrededores y admirarlo. Será un primer contacto perfecto con la ciudad.
El Monasterio de la Rábida
Y ya que hablamos del descubrimiento de América, seguimos profundizando un poco más en la historia: nos vamos hasta el Monasterio de la Rábida, otro de los lugares imprescindibles que ver en Huelva. Y para ello lo único que tendrás que hacer será cruzar el río Tinto en dirección a Palos de la Frontera, a tan solo 15 minutos del centro de la capital.
Adéntrate en el monasterio, situado sobre una pequeña colina, y admira la imagen de Santa María la Rábida Nuestra Señora de los Milagros: ante ella rezó el mismísimo Cristóbal Colón –y los marineros que lo acompañaron- momentos antes de iniciar su cruzada hacia el Atlántico y terminar descubriendo América.
El edificio, de estilo gótico-mudéjar, fue levantado entre los siglos XIV y XV, y desde 1856 es considerado Monumento Nacional. En él está enterrado Martín Alonso Pinzón, que acompañó a Colón en su primer viaje a las Américas capitaneando la Pinta, una de las carabelas. Solo unos días después de regresar de aquella primera expedición, falleció, y desde entonces sus restos descansan en este hermoso lugar de Huelva.
Recréate recorriendo sus diferentes espacios y viaja con la imaginación al siglo XV. No será difícil: estarás en uno de los lugares históricos más especiales del sur.
Il dollaro americano nasconde una serie di messaggi di stampo massonico. Curiosamente alcuni concetti si ritrovano nelle monete che poteva coniare Alberico Cybo Malaspina su concessione dell'imperatore. Così come la piramide tronca con un sole raggiante sopra che è anche occhio di Dio e il cielo con le stelle. Nuovo ordine ma anche Mondo Nuovo (la versione in argento) come Nuovo Mondo. D’altronde come vedremo ancora nella simbologia della famiglia che discende da papa Innocenzo VIII, c’è una forte impronta protomassonica.
Francesco Sansovino (1521-1586), figlio naturale del grande architetto Jacopo Sansovino, ancora bambino seguì il padre, che da Roma si era recato a Venezia, dove si rifugiarono in seguito al sacco di Roma (1527). Studiò legge a Bologna e a Padova. Fece parte, per un breve periodo, della corte di Giulio III, prima di ammogliarsi e stabilirsi definitivamente a Venezia, dove condusse una vita ritirata e tranquilla da autore poligrafo, prestando la sua opera alle famose tipografie veneziane, per le quali fece traduzioni, compilò raccolte e annotò alcuni testi classici.
Sono state registrate ben 97 opere, fra edite e inedite, scritte da Francesco Sansovino in un trentennio. Gli argomenti sono i più disparati: dalla storia alla medicina, dalle tecniche amorose all'agricoltura, dalla grammatica alla politica al diritto.
Fu anche un valido critico letterario di grande finezza, pubblicando per esempio le Lettere sopra le dieci giornate del Decamerone (1543) e analoghi scritti su Dante, Petrarca e Ariosto.
Gli uomini dalle lunghe orecchie, ovvero gli indiani Panozi da pan = tutto e othi = orecchi, fanno parte dell ‘immaginario mostruoso medioevale e delle meraviglie delle varie Indie. Sono rappresentati sui muri di certe commanderie templari dove avevano il nome allusivo di “atlanti”. Qualcuno fa riferimento ai nobili Inca, chiamati dagli spagnoli, "orejones", grandi orecchie, per via dei dischi usati a mo' di orecchini, che le ampliavano enormemente. Come potrebbero essere i conterranei di Orejona, la regina-dea venusiana raffigurata sulla "porta del sole" di Tiahuanaco".
Né deve meravigliare che fossero raffigurati nel timpano centrale del narcete della Basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay (1150). Assodato che i Vichinghi si erano insediati già da un secolo e mezzo in America, al momento dell'edificazione della basilica. Ma è anche noto che “indiani” erano giunti più volte nel vecchio continente a bordo delle loro imbarcazioni". India" era, in genere il mondo esotico al di fuori di quello conosciuto dagli antichi. Inoltre, i Romani sapevano bene che la terra era rotonda, e, come Colombo, pensavano che le "Indie" fossero non solo ad est, ma anche ad ovest. Colombo nel 1477 scrisse che “uomini del Catai raggiunsero Galway navigando verso oriente..." Riguardo al raggiungimento precolombiano delle coste europee da parte di nativi americani a bordo di imbarcazioni vi è almeno un solo episodio certo: gli schiavi di Ariovisto dati da questi in regalo a Roma in segno di amicizia, ma si trattava di un evidente disgraziato naufragio di "americani" (esquimesi o pellerossa) sballottati dalle correnti atlantiche.
"Le cronache” di Otto di Freising , riportate da Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, nel 1461, prima dei viaggi di Colombo, parlano di "Indiani" giunti in canoa a Lubecca, Germania, al tempo del'imperatore Federico Barbarossa, XII secolo.
Anche la strana abitudine di deformare i crani umani, allungandoli in un costume il cui significato è ancora avvolto nel mistero pare unire civiltà molto distanti fra loro. Li ritroviamo Africa, in Egitto, in Francia, in Latinoamerica.
La dama di Elche, rinvenuta in Spagna, con il suo bellissimo busto ha rappresentato da sempre un enigma ancora non risolto. Come una misteriosa Gioconda di pietra. A che tipo di cultura appartiene? Gli studi la fanno risalire al quarto secolo avanti Cristo. Ma la certezza della provenienza, anche se non è la sola trovata in terra iberica (come la dama di Cabezo Lucero), non c’ è mai stata. Mentre c’ è chi si spinge a ritenerla un reperto che potrebbe risalire agli Atlantidei. In effetti qualche somiglianza con le acconciature delle donne indiane Hopi come con busti precolombiani c’ è, specie per quanto riguarda l’addobbo delle orecchie.
I totem sono in realtà alberi genealogici. Poiché il rango sociale aveva grande importanza agli occhi di popolazioni quali gli Haida, i Tsimshian e i Kwakiutl, i capi tribú usavano le raffigurazioni del Lupo, dell'Aquila, dell'Orso e dell'Orca per sfoggiare i loro legami di parentela con la mitologia degli indiani. Allora, come oggi, il genio degli scultori piú dotati si riconosceva nella stilizzazione realistica. Nelle loro mani, semplici tronchi di cedro si trasformano in figurazioni simboliche tratte dalla vita e dalla leggenda.
«Quando venivano unite le une alle altre» scrisse una volta la pittrice Emily Carr, parlando dell'opera di un ignoto scultore Kwakiutl «costituivano la storia di un gruppo umano.»
I totem avevano soprattutto la funzione di ricordo. Cominciando dalla sommità, dominata di solito da un corvo o un'aquila, un indiano poteva scoprire tutti gli ascendenti e le gesta del proprietario del palo. Poi, identificando altri personaggi mitici scolpiti nel legno, poteva rievocare spaventosi racconti su Tsonoqua, la selvaggia donna dei boschi..., Tseakami, il grande cedro divenuto uomo..., Yehl il corvo, che scoprì l'uomo in una conchiglia.
Eppure questi “alberi parlanti” restano stranamente silenziosi sulle loro origini. Sebbene i totem siano simili a sculture presenti nel Pacifico meridionale e molto diversi dalle opere d'arte di altre tribù nordamericane, gli etnologi sono quasi concordi nel pensare che i primi 'indiani' del Nord-Ovest giunsero dall'Asia attraverso lo stretto di Bering circa 10.000 anni fa. Insediatisi su una costa resa prospera dalle immense ricchezze che offrivano la foresta e il mare, quegli indiani diedero origine a una cultura quanto mai raffinata. Intorno al 3000 a.C, i cosiddetti “mangiatori di salmone” vivevano in case comunitarie costruite con assi di cedro ed erano diventati abilissimi nella lavorazione del legno. L'età d'oro per gli scultori di totem fu il XIX secolo, quando gli indiani sostituirono gli strumenti di pietra e di osso con utensili di ferro provenienti dall'Europa.
Nella ricerca di indizi che possano avvalorare l’ipotesi di contatti fra i continenti molto prima delle cosiddette “scoperte” ufficiali, che in genere tali sono solo per la nostra cultura occidentale, non si può fare a meno di rilevare la incredibile somiglianza di certi manufatti come questi totem scolpiti nel legno i primi tre. Il primo e il terzo sono i classici “moai” dell’isola di Pasqua, al centro una scultura africana e a destra un ciclope in pietra di Tula in Messico. Qualcuno ha detto che tre indizi fanno una prova. Circa i cosiddetti “pre-contatti” gli indizi sono una valanga.
Il mortaio è un recipiente di vario materiale resistente, cavo all'interno, usato in chimica, in medicina e in cucina per triturare e polverizzare sostanze mediante un apposito pestello. Usato largamente in tempi antichi è sorprendente come fosse identico per l’uso e la forma in culture del tutto diverse e lontane, quasi la conoscenza fosse comune. Derivata da scambi risalenti all’alba della civiltà? Nelle foto da sinistra come erano i mortai in pietra in India, Egitto (al centro), Europa, in Latino America e in Siria.
Monumento posto all’ingresso dell’Ospizio Marino Padre Ludovico da Casoria con san Francesco d’Assisi che in atto benedicente impone le mani su tre famosi terziari: da sinistra a destra Dante, Cristoforo Colombo e Giotto. Il monumento, che si trova a Posillipo a Napoli, fu voluto da padre Ludovico da Casoria e fu scolpito da Stanislao Lista nel 1882 per il settecentesimo anniversario della nascita del santo d’Assisi. Nell’altra immagine il santino litografia allegato e risalente all’epoca della realizzazione della scultura. L’Ospizio fu eretto nel 1875 ed accoglieva prevalentemente gente di mare in gran parte pescatori. C’è un sottile filo rosso, che sotto il saio di san Francesco, unisce questi grandi personaggi?
di Claudia Viggiani
Le tombe dei papi Medici sono collocate sulle pareti del coro della chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma. Sulla parete sinistra è sistemato il Monumento funebre di papa Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, nato nel 1475 a Firenze da Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini. Morto improvvisamente a Roma nel 1521 di broncopolmonite, a soli 46 anni, senza lasciare nessuna indicazione sulla sua tomba, Leone X fu temporaneamente tumulato nella basilica di San Pietro, nei pressi del pilastro della Veronica per essere trasferito nella chiesa della Minerva solo in seguito alla morte di suo cugino, papa Clemente VII.
Sulla parete destra è posto il Monumento funebre di Clemente VII, già Giulio de’ Medici, figlio naturale di Giuliano – fratello di Lorenzo il Magnifico – e Fioretta Antoni, nato a Firenze il 26 maggio 1478, un mese dopo la morte del padre, ucciso nella congiura dei Pazzi. Tenuto a battesimo da Antonio da Sangallo, al quale Lorenzo de’ Medici lo affidò per i suoi primi anni di vita, Giulio fu successivamente accolto nella casa dello zio che lo fece crescere con i propri figli e in particolare con Giovanni, che prima di diventare papa, lo portò con sé a Roma, aiutandolo nella carriera ecclesiastica, fino a favorirne la sua elezione al pontificato nel 1523. Morto nel 1534, all’età di 56 anni, in seguito ad un avvelenamento provocato, o da funghi, oppure, come più probabile, da arsenico, Clemente VII fu sepolto nel coro della chiesa della Minerva nel sepolcro progettato, come quello del cugino Leone X, da Nanni di Baccio Bigio, ed elaborato forse da un’idea di Antonio da Sangallo il Giovane.
Era stato lo stesso Clemente VII nel 1533 a commissionare i due sepolcri e a chiedere che essi fossero disposti sulle pareti del coro della chiesa nella quale si era recato così tante volte prima di diventare papa e anche dopo, da ritenerla la chiesa di famiglia a Roma. Clemente VII e Leone X appena giunti nella città papale e per tantissimi anni avevano infatti vissuto nel rione Sant’Eustachio, inizialmente, nel rinnovato palazzo messo a loro disposizione dalla cognata-cugina Alfonsina Orsini, in piazza dei Caprettari e, successivamente, in Palazzo Medici, oggi interamente modificato e conosciuto come Palazzo Madama. La grandiosa chiesa della Minerva – per la quale i lavori di sistemazione della facciata e di rafforzamento della navata laterale destra nonché di ricostruzione del convento, furono finanziati nel 1453 da Francesco Orsini, celebre capitano al servizio dei sovrani di Napoli, del papa, di Firenze e di Venezia – aveva inoltre un coro molto grande, che ben si prestava ad essere trasformato in una grandiosa cappella funeraria di famiglia, pronta ad accogliere le imponenti sepolture papali. Nel monumento a Leone X la statua del pontefice fu scolpita da Raffaello da Montelupo; i bassorilievi con l’Incontro tra Leone X e Francesco I, il Battesimo di Gesù e il Miracolo di San Giuliano, cosi come le due statue di Profeti furono portati a termine da Baccio Bandinelli che ottenne la commissione grazie agli esecutori testamentari di Clemente VII, i cardinali Ippolito de’ Medici, Innocenzo Cybo, Giovanni Salviati e Niccolò Ridolfi e contro la volontà di Michelangelo Buonarroti che non avrebbe mai voluto vedere il Bandinelli attivo a Roma al sepolcro del papa che, poco prima di morire, gli aveva commissionato il celebre Giudizio Universale in Cappella Sistina.
Nel sepolcro di Clemente VII, a realizzare la statua del papa fu invece Nanni di Baccio Bigio mentre le sculture dei Profeti ai suo lati e i rilievi sull’attico raffiguranti la Pace tra Clemente VII e Carlo V, San Benedetto incontra Totila e San Giovanni nel desertofurono compiuti dallo stesso Baccio Bandinelli. Peccato che per esaudire le disposizioni testamentarie, velocemente e con pochi soldi messi a disposizione da Alessandro de’ Medici, le due maestose tombe siano state lasciate quasi ad uno stato iniziale, senza troppe rifiniture, iscrizioni e decorazioni.
Si può anche ipotizzare che i rifacimenti del coro, compiuti nel Seicento e nell’Ottocento, abbiamo comportato la distruzione e poi la ricostruzione dei due monumenti funebri, che risultano troppo modesti per i due figli di una delle casate più potenti in Europa nel Cinquecento, ambiziosi e raffinati mecenati, circondati da una folta schiera di letterati e artisti, che animarono un ambiente colto e ricercato, pervaso da interessi umanistici e antiquari. La loro carriera episcopale fu poi contrassegnata da funeste guerre, dai terribili contrasti con Martin Lutero e dal dilagare della Riforma protestante, dallo scisma della chiesa d’Inghilterra proclamato da Enrico VIII e dall’orribile e prolungato saccheggio di Roma ad opera delle truppe imperiali di Carlo V che nel 1527 distrussero la città e lo spirito di papa Clemente VII, infrangendo il mito dell’inviolabilità di un luogo sacro.
Strano che questi due potenti papi e tutti gli eventi che hanno caratterizzato le loro vite sino alla morte, non siano ricordati da epigrafi o da complessi architettonici memori di tali esistenze.
Oltre alla piramide di Caio Cestio a Roma esisteva un’altra piramide in ambito vaticano. Che cambiò di luogo fino a essere posta in borgo dove era ancora presente durante il pontificato di Innocenzo VIII, Giovanni battista Cybo, il papa “sponsor” di Colombo. Si trovava nella zona di borgo, più o meno dove si apre ora via della Conciliazione. Finché non fu rimossa da papa Borgia nel 1499. Sarebbe interessante conoscerne il perché.
Da Enrico Calzolari autore del libro "Lunigiana terra di Templari" e "Lunigiana e rotta atlantica dei Templari" riceviamo e pubblichiamo:
A Volastra (Cinque Terre) vi era la chiesa di San Lorenzo dei Templari, con il simbolo della cavalcatura in facciata. All'interno, nel corso dell'ultimo restauro, è stata ritrovata una croce pomellata. La chiesa è stata poi dedicata a Nostra Signora della Salute. All'estremità del sagrato è stato abbandonato un cippo contenente nella parte alta due cavalieri con cotta da guerra e mani giunte, in preghiera di fronte al fiore della vita, che è in questo caso rappresentato dalla pianta di mais giovane. Al di sotto vi è la rappresentazione della bandiera della flotta da guerra templare, con teschio e tibie incrociate, che, alla chiusura amministrativa dell'Ordine, è stata adottata dai pirati, sapendo che era considerata una bandiera imbattibile sui mari ( i Templari erano anche maestri di arti marziali).
Prove della conoscenza del mais esistono a Barga, a Tuscania, a Caramanico Terme, nella facciata della chiesa dedicata a San Tommaso Becket (sia pianta giovane sia la pannocchia). Prove della conoscenza del cacao esistono a Tuscania ed a Caramanico Terme, all'interno della chiesa (sia la cabossa intera sia la cabossa tagliata a metà con i grani del cacao). Nessuno ha mai identificato il cacao. Perché negare che la pianta giovane del mais (con 9 ramificazioni - 6 + 3 )sia rappresentata nel cippo di Volastra, peraltro vandalizzato?
Io non sapevo della notizia della coltivazione del mais nella diocesi di Acri, con tanto di pergamena datata al 1257, pubblicata da parte di Loredana Imperio (LARTI).
Una sequenza di immagini fra i vari continenti di esseri con le teste adorne di piume. Possibile che anticamente ci si vestisse uguali senza che vi siano stati contatti fra le varie popolazioni? Basta guardare agli abbigliamenti odierni. Diversissimi da paese e paese per avere la risposta più logica. Lo stesso potrebbe dirsi per l’uso dei tatuaggi oggi tornati di moda. Proprio perché le mode trasmigrano da una località all’altra grazie oggi al tam tam mediatico. In alto un capo indiano fra due statuette azteche in basso una testa etrusca, una ceramica in Iraq e un sileno a Pompei. Vedi anche: http://www.pianetagaia.it/blog/post/1122/popoli-tatuati
L'ananas, in spagnolo piña, frutto tipico del Latinoamerica, dalla pronuncia esattamente uguale alla pigna, nostrana, con la quale potrebbe confondersi, rappresenta uno dei tanti misteri relativi ad una trasmissione di conoscenze fra i due mondi in tempi antecedenti alla cosiddetta “scoperta” dell’America. La troviamo difatti disegnata negli affreschi di Pompei, nelle teche del museo egizio del Cairo, dove l’ha fotografata Adriano Forgione, in una statuetta romana rinvenuta da Elio Cadelo in un museo di Ginevra. Così come girando nel Museo del Palazzo Massimo alle Terme di Roma si può fare l’ennesima incredibile scoperta. Su un pavimento del secondo piano si può notare, difatti, qualcosa di molto particolare. Il mosaico, datato agli inizi del I secolo dopo Cristo, riproduce un cesto di frutta che nasconde un vero enigma. Vi sono riprodotti, partendo da sinistra, alcuni fichi, delle mele cotogne, un grappolo di uva nera, alcune melagrane e un alimento impossibile: appunto un ananas.
La presenza di questo succoso frutto ha lasciato senza parole, perché la pianta dell'Ananas sativus, appartenente alla famiglia delle Bromeliacee, arrivò nel vecchio continente solo dopo i viaggi di Cristoforo Colombo. Quindi prima della scoperta dell'America gli Occidentali non potevano conoscere questo frutto tropicale. Il Museo nazionale romano è uno dei siti archeologici più importanti di Roma, ospita collezioni riguardanti la storia e la cultura della città in epoca antica. La struttura si trova negli ambienti del convento costruito nel Cinquecento nelle terme di Diocleziano. Impossibile parlare solo di coincidenze, è evidente, anche se non si sa come, che i romani all'inizio del I secolo dopo Cristo conoscessero l'ananas. Il mistero dell'ananas è un vero rebus che ha aperto la strada a varie ipotesi, come riportato da Wikipedia. Si è pensato alla possibilità di scambi commerciali oltreoceano o di importazioni dall'Africa occidentale, dove l'ananas è coltivato. Un'ipotesi vorrebbe che l'artista avrebbe cercato di raffigurare una pigna, ornandola con un ciuffo di foglie, ottenendo un risultato ingannevole per i posteri. Altra possibilità è che il mosaico sia stato sottoposto ad un restauro integrativo che ha portato all'introduzione dell'anomala presenza. Sono le solite “pezze” messe a contraddire una presenza inspiegabile. Come ultima curiosità varrà la pena di ricordare che il papa “sponsor” di Colombo, Innocenzo VIII, creò in San Pietro una fontana proprio con una grande pigna romana (vedere in altra pagina del sito), oggi situata nel cortile omonimo. Ancora una coincidenza o un gioco sottile di allusioni?
«Per gli Aztechi l' VIII giorno, il “Coniglio”, era governato da Mayauel, dea della Luna associata al Pulque, bevanda inebriante ricavata da un cactus* [ma] immagini del coniglio che estrae dalla luna l'elisir dell'immortalità sono presenti già nella Cina Han intorno al I secolo a.C. o poco prima» (David H. Kelley).
In entrambi i sistemi calendariali, i giorni sono associati agli elementi (acqua, fuoco, terra, metallo e legno) e agli animali (cervo, cane, scimmia, etc.) anche se non vi è sempre esatta corrispondenza - variabile in base alla fauna locale - . Un giorno legato al “Giaguaro” del calendario maya coinciderebbe con la “Tigre” di quello cinese, allo stesso modo il “Coccodrillo” mesoamericano troverebbe rispondenza nel “Drago” asiatico. L'impiego del programma informatico INTERCAL ha confermato l'elevata relazione sistemica tra il calendario maya ed il calendario cinese. Sono state notate anche somiglianze linguistiche: i termini che riflettono ordini vigesimali di grandezza in alcuni dialetti maya e le parole che riflettono ordini decimali di grandezza in alcuni dialetti cinesi risultano (quasi) intercambiabili. Analogie di questo tipo suggeriscono che i calendari mesoamericani e cinesi possano avere avuto la stessa origine e non si siano sviluppati in maniera indipendente. Possono esserci stati contatti tra i popoli del Messico/Guatemala ed alcune popolazioni eurasiatiche tra il I ed il II secolo d.C.
(*) Le raffigurazioni del coniglio legato alla luna compaiono per la prima volta in Mesoamerica intorno al VI secolo d.C.
[A destra una rappresentazione della ruota dello zodiaco cinese e al centro il disegno della Piedra del Sol azteca, non maya come erroneamente riportato nella didascalia dell'articolo di riferimento (http://www.theepochtimes.com/n3/2150907-mayan-calendar-similar-to-ancient-chinese-early-contact/)]
Le similitudini appaiono sorprendenti ancora una volta anche con il calendario egizio (immagine a sinistra), come ci ha fatto notare Bruna Rossi.
S.L.
La piana di Nazca, in Perù, con le sue misteriose linee e i disegni impressi nel terreno arido e in parte pietroso, è un enigma irrisolto sul quale in molti si sono scervellati, anche con studi durati tutta la vita: Non hanno tuttavia fornito la risposta definitiva. Naturalmente si parla persino di piste di atterraggio per extraterrestri. Siamo stati a Nazca in tempi in cui il mistero non aveva ancora avuto la diffusione planetaria dei nostri giorni e abbiamo conosciuto il dottor Chiabrera, il collezionista delle pietre di Ica, che aveva raccolto in un suo personale museo.
Buchi nella terra che nessuno sa spiegare. Strane sequenze di perforazioni del terreno in una convergenza di usanze rimaste misteriose che ancora una volta unbiscono Oriente ed Occidente. Si trovano vicino alle misteriose linee di Nazca in Perù. Come in Egitto nel deserto. O addirittura a oltre 50 metri sotto il livello dell’acqua nel lago di Qarum nella zona occidentale del paese. Quando sono state fatte? Chi le ha fatte e perché? Tutti interrogativi sino a questo momento rimasti senza risposta.
A Firenze, nella Cappella dei Magi, a palazzo Medici Riccardi, si può ammirare il capolavoro di Benozzo Gozzoli affrescato sulle pareti. Nel quale si nasconde, in un misterioso secondo piano, un personaggio dalle pelle scura e con tre piume in testa: un inconfondibile indio americano. Questo decenni prima della “scoperta” ufficiale nel 1492 del continente americano.
Anche le mura parlano un linguaggio comune fra Oriente e Occidente. Mura antichissime, mura megalitiche che si ritrovano in località agli antipodi fra di loro. Le architetture mutano e si sono diversificate sempre nel corso dei secoli alle varie latitudini, possibile che in un’era lontana si siano seguiti gli stessi identici criteri senza una conoscenza comune? Possibile che si tratti di una coincidenza o non piuttosto di contatti realmente avvenuti? Ne mostriamo solo alcune come esempio, da quelle italiane di Alatri, del Circeo e di Amelia, l’antica Ameria in un nome che richiama suggestivamente il continente americano. Contrafforti ciclopici si ritrovano anche nell’antica Grecia (a sinistra sotto), in Giappone (nella seconda fascia a destra) e nel Perù (le ultime due due foto). Da notare infine, nelle mura degli Incas, l’incredibile perfezione degli incastri. Combaciano al punto tale che non vi può penetrare la punta di un coltello, mentre le pietre sembrerebbero tagliate come un burro. Cosa che sarebbe difficile, se non impossibile, anche oggi. Come hanno fatto se non avevano alcuna tecnologia a detta degli esperti? Mentre a guardarle con attenzione viene un pensiero azzardato, ma forse nemmeno troppo. E cioè che quel tipo di costruzioni perfette in Latinoamerica siano state esportate e replicate nei nostri territori per essere imitate dagli europei in modo molto più grezzo e artigianale. D’altronde i Greci non hanno combattuto con gli atlantidei?