A volte l’araldica può suggerire più di quanto fanno i libri di storia. Non offre certezze, ma indubbiamente possibili percorsi di ricerca e di intrecci familiari.
Ecco alcuni simboli tra i più comuni:
La sigla JHS o TRIGRAMMA (in alfabeto greco JЙΣ) compare per la prima volta nel III secolo fra le abbreviazioni utilizzate nei manoscritti greci del Nuovo Testamento, abbreviazioni chiamate oggi Nomina sacra. Essa indica l'abbreviazione del nome ΙΗΣΟΥΣ ( cioè "Iesous", Gesù, in lingua greca antica e caratteri maiuscoli). La sigma (la esse), che nell'originale greco era scritta nella forma di sigma lunata, molto simile a una "C", da cui le varianti tardo-antiche: IHC oppure JHC, nell'alfabeto latino divenne una S a tutti gli effetti e la H che in greco è una eta (cioè una E) fu scambiata per acca per cui nel Medio Evo il simbolo fu riportato con un significato differente: JESUS HOMINUM SALVATOR (Gesù Salvatore degli uomini). Nel corso dei secoli il simbolo fu arricchito dai copisti con segni e tratti artistici fino ad intrecciare le lettere tra di loro e divenendo più un disegno grafico che un simbolo di qualcosa. Quando si cercò di mettere ordine e chiarezza, intorno al XVI secolo, il tratto superiore che indica in greco che si tratta di una abbreviazione, si combinò con un tratto verticale così da formare una croce o un trifoglio. E' così che la troviamo rappresentata un po' dappertutto: su affreschi, quadri d'altare, miniature, chiavi di volta, paramenti sacri. A volte è rappresentato al centro di un sole raggiante, come sigillo di alcune antiche città, intendendo che l'irraggiamento del cristianesimo è il cemento ideale per ogni società.
ICHTHYS: Il simbolo che stilizza un pesce usato dai primi cristiani. Il termine ichthýs è la traslitterazione in caratteri latini della parola in greco antico ἰχϑύς, "pesce", ed è un simbolo religioso del Cristianesimo perché è l’acronimo delle parole: 'Ιησοῦς Χριστός Θεoῦ Υιός Σωτήρ (Iesùs CHristòs THeù HYiòs Sotèr) Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore Si definisce ichthýs il simbolo di un pesce stilizzato, formato da due curve che partono da uno stesso punto, a sinistra (la "testa"), e che si incrociano quindi sulla destra (la "coda"). La simbologia cristiana dei tempi delle Persecuzione dei cristiani nell'impero romano (I-IV secolo) è molto ricca. A causa della diffidenza di cui erano oggetto da parte delle autorità Imperiali, i seguaci di Gesù sentirono l'esigenza di inventare nuovi sistemi di riconoscimento che sancissero la loro appartenenza alla comunità senza destare sospetti tra i pagani. Veniva presumibilmente adoperato come segno di riconoscimento: quando un cristiano incontrava uno sconosciuto di cui aveva bisogno di conoscere la lealtà, tracciava nella sabbia uno degli archi che compongono l'ichthýs. Se l'altro completava il segno, i due individui si riconoscevano come seguaci di Cristo e sapevano di potersi fidare l'uno dell'altro. il Chi Rho è per antonomasia il monogramma di Cristo (nome abbreviato talora in chrismon o crismon). Esso è un monogramma costituito essenzialmente dalla sovrapposizione delle prime due lettere del nome greco di Cristo, X (equivalente a “ch” nell'alfabeto latino) e P (che indica il suono “r”). Alcune altre lettere e simboli sono spesso aggiunti.
CHI RHO è per antonomasia il monogramma di Cristo (nome abbreviato talora in chrismon o crismon). Esso è un monogramma costituito essenzialmente dalla sovrapposizione delle prime due lettere del nome greco di Cristo, X (equivalente a “ch” nell’alfabeto latino) e P (che indica il suono “r” ma si pronuncia Rho). Alcune altre lettere e simboli sono spesso aggiunti ma non ne modificano il significato originale.
Questo simbolo è molto presente nelle chiese, nei paramenti sacri, negli altari…
Ancora gli stemmi creano singolari suggestioni. Papa Innocenzo VIII, oltre ai due figli riconosciuti, ne ebbe molti altri illegittimi a Napoli, al punto che quando divenne papa la statua di Pasquino commentava: “Finalmente abbiamo il padre di Roma”. Non si sa con certezza con quale donna ebbe questi figli, ma alcuni parlano di una Eleonora Capece Galeota. Colombo è come Esposito al sud, figlio di madre ignota e da moltissimo tempo abbiamo avanzato l’ ipotesi che il navigatore ossa essere un consanguineo del pontefice Giovanni Battista Cybo e probabilmente uno dei tanti suoi figli. Ora è curioso che il leone raffigurato in alto a destra in uno dei quarti dello stemma di Colombo sia uguale a quello che figura nel blasone della famiglia Capece. Mentre le onde mare richiamano a loro volta quelle dei De Mari. Una De Mari fu la moglie di Aronne, il padre del pontefice. Onde e leone che sono presenti anche in un blasone della famiglia Marino, gente evidentemente che andava per mare. Chissà che la storia che inseguo da circa 30 anni faccia parte del mio Dna?
Da sinistra lo stemma di Colombo fra i due della famiglia Capece, quello dei De Mari ed infine quello della famiglia Marino originaria di Genova.
Le immagini di una serie di scudi cristiani dei vari ordini cavallereschi.
Gli ordini cavallereschi distinti in base alle croci.
La nonna di Giovanni Battista Cybo, Innocenzo VIII, era una Sarracina Marculla. Quindi una musulmana con un cognome che ritroviamo fra le famiglie nobili napoletane ed uno stemma che presenta analogie con quello dei Saracini di Siena. L’ immagine dei mori la troviamo ancora nell’emblema dei Pucci di Firenze (in origine pare Saracini) e in quello della Sardegna, sulla cui origine non si hanno certezze. In particolare sarebbe interessante trovare un legame familiare fra i rami di Napoli e Siena: non va dimenticato che Aronne Cybo, il padre del pontefice, fu viceré di Napoli e che in quella città il giovane Giovanni Battista ebbe dei figli, mentre a Siena il Cybo fu inviato da Sisto IV per concludere la pace fra quella città e Firenze. Sempre a Siena una leggenda parla di un Colombo studente innamorato di una bella fanciulla di porta Camollia (come vedremo in seguito). Siena era anche la città dei Piccolomini. Pio II era il papa geografo che Colombo postillava mentre il fratello del pontefice, che diventerà poi Pio III e fatto sparire di veleno dopo appena un mese di pontificato, incoronò Innocenzo VIII. Una serie di indizi che potrebbero avere in più di un caso un preciso legame.
Dal Forum Italiano della Commissione Internazionale permanente per lo Studio degli Ordini Cavallereschi, dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano e di Famiglie Storiche d'Italia - Sito ufficiale: www.iagi.info :
Ci fu chi disse che i Cybo provenissero dalla Grecia (intesa genericamente come zona ad oriente dell'Italia, visto che si parla di ben prima dell'anno Mille), e che la banda scaccata di tre file del loro stemma alludesse al primitivo cognome Cubea, volendo vedere con qualche fantasia dei cubi al posto degli scacchi...
Noi propendiamo per una derivazione di questo stemma (magari sotto forma di brisura) dall'arma degli Altavilla, ma si tratta di un altro discorso: rimanendo al nostro tema, un ramo dei tosco-liguri Cybo pare si sia diramato nel 970 in Napoli nella persona di Tomasello, i cui discendenti presero per l'appunto il cognome Tomacelli e l'arma con la banda scaccata, alla quale il ramo ligure avrebbe aggiunto in seguito di tempo il capo di Genova. Nel XII secolo un Riccardo Tomacelli fu almirante delle squadre navali siciliane, e nel 1185 salpò da Messina alla volta dell'Oriente per ottenervi importanti successi in missioni militari. Credo che più o meno a tale periodo si possa far risalire la presenza della famiglia nell'isola, ove fu nota sia come Tomacelli (ed in pieno vigore ancora nel XVIII secolo), sia come Cybo (dove ebbero la contea di Naso).
COLÓN
Escudo cuartelado: 1: en campo de sinople un castillo de oro; 2: en campo de plata un león de púrpura; 3: en ondas de azur unas islas de oro; 4: en campo de oro una banda de azur y jefe de gules (Armas «primitivas» de Colón).
Las únicas armas concedidas a Cristóbal Colón lo fueron en el 20 mayo de 1493, cuando los Reyes Católicos le dieron el siguiente escudo:«el Castillo de color dorado en campo verde, en el cuadro del escudo de vuestras armas en lo alto a la mano derecha; y en el otro cuadro alto a la mano izquierda un Leon de purpura en campo blanco rampando de verde, y en el otro cuadrao bajo a la mano derecha unas islas doradas en ondas de mar, y en el otro cuadro bajo a la mano izquierda las armas vuestras que soliades tener, las cuales armas sean conocidas por vuestras, e de vuestros fijos e descendientes para siempre jamas».
No creo que haya nunca sido establecido que Colón, hijo de humilde tejero genovés (según la hipótesis más compartida), tenía armas «propias» y las del escudo son probablemente una ficción, repetida varias veces después para otras familias. Se note también que las armas del 1. y 2. cuartel recuerdan las armas de Castilla y León sin reproducirlas exactamente.
F: Home URL: www.grandesp.org.uk
COLÓN
Escudo cuartelado: 1: las armas de Castilla (en campo de gules un castillo de oro aclarado de azur); 2; la armas de León (en campo de plata un león rampante de gules coronado de oro); 3: en una mar de azur unas islas de oro; 4: en campo de azur cinco áncoras de oro puestas en faja con la traba a siniestra, y colocadas en aspa; el escudo entado en punta con las armas primitivas de Colón (en campo de oro una banda de azur y jefe de gules); por timbre un yelmo rejillado y afrontado con burrelete y lambrequines, y por cimera un mondo centrado y cruzado.
Cuando en 1502, Cristóbal Colón, o quizás más bién su hijo Diego, publicó su Libro de Privilegios, para defender sus derechos como descubridor de las Américas, añadió en frente del libro un escudo de armas, en las que motu proprio, según parece, hizo unos cambios al escudo antes concedido: las armas de los 1. y 2. cuarteles habían sido modificadas para representar Castilla y León, las islas del 3. cuartel se vieron acompañadas de una terra firme en punta, quizás para indicar estas tierras entonces ya descubridas, y el 4. cuartel fue añadido quizás para señalar su dignidad de Almirante y Adelantado mayor de las Indias; las armas primitivas habían sido removidas a un entado. Es posible que la cimera, tan como el lema al que aludiremos, fueron otorgadas en la concesión original, pero no lo he podido averiguar.
F: Home URL: www.grandesp.org.uk
COLÓN
Escudo cuartelado: 1: en campo de gules, un castillo de oro, aclarado de azur; 2: en campo de plata,un león rampante de gules; 3: en ondas de azur y plata varias islas de oro; 4: en campo de azur, cinco áncoras de oro puestas en aspa y con las puntas mirando hacia la diestra del escudo; entado en punta de oro con banda de azur y jefe de gules; bordura general del escudo de oro con el lema en letras de azur: «A CASTILLA Y LEON NUEVO MUNDO DIO COLON.»
Las armas comunemente atribuidas a los Colón, duques de Veragua, con la adición (en época desconocida, pero algo después del siglo XVI por lo menos: no aparecen en la versión de las armas reproducida por López de Haro en su Nobiliario genealógico de los Reyes y Títulos de España de 1622) de la bordura de oro con el lema:« A CASTILLA Y LEÓN DIO NUEVO MUNDO COLÓN», en letras de azur.
di Mordechay Lewy
Ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede
La croce di Gerusalemme, di Terrasanta e del santo Sepolcro può essere facilmente riconosciuta dagli elementi che la compongono: una croce greca (con i bracci di lunghezza uguale) croce potenziata o croce maltese (croce patente), circondata da quattro piccole croci, una tra ciascuno dei quattro bracci. Con i suoi colori, in araldica questa croce rappresenta un'eccezione: oro su argento, due colori metallici che di solito non possono sovrapporsi. Per il mio studio l'attributo importante però non è né il colore né la forma della croce. È invece il numero delle croci, che sono cinque (4+1), a dare a questo simbolo il suo significato. La forma più antica della croce gerosolimitana appare nell'arte protocristiana. Contrariamente all'immaginario popolare o alle rappresentazioni successive romantico-storicizzanti, l'intera epoca delle crociate fino al 1291 non conobbe neppure una croce di Gerusalemme. Quella utilizzata dal regno di Gerusalemme era la "vera" croce, che aveva la forma di una croce patriarcale.
La croce gerosolimitana riapparve all'inizio del XIV secolo in due contesti diversi. La prima apparve in un contesto escatologico, nel Giudizio Universale di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, del 1300. Qui, due angeli, a capo della Militia Christiceleste, reggono una bandiera con la croce di Gerusalemme. Anche la Militia Christi dell'altare di Ghent, realizzato dai fratelli van Eyck nel 1426-1432, segue una bandiera dei cavalieri con la croce gerosolimitana.
Che questo riveli la speranza di riconquistare Gerusalemme appare evidente grazie a una miniatura presente in un manoscritto sulla crocifissione di Marino Sanudo, il Liber secretorum fidelium Crucis. Qui la croce di Gerusalemme appare su una nave che trasporta i crociati. Nel 1332 questo codice (Bruxelles kb, ms. 9404-05) venne donato dal suo autore al re francese Filippo vi, nella speranza che si ponesse a capo della crociata. Il secondo contesto è numismatico-politico. La croce gerosolimitana è impressa su una moneta cipriota del reggente e usurpatore Amalrico di Lusignano, che negli anni 1306-1310 s'impossessò di Cipro. Se dall'epoca carolingia manca una certa continuità, come si può spiegare l'apparizione della croce di Gerusalemme, soprattutto dopo la fine degli stati crociati? Le spiegazioni fornite finora vanno dall'adozione dell'acronimo ih i (IHerusalem e Iesus), allo sviluppo ulteriore della croce patriarcale fino alle tre croci sul Golgota. Per spiegare le quattro piccole croci sono stati indicati i diversi principati crociati o le diverse nazioni che hanno preso parte alle crociate. Recentemente, Giuseppe Ligati ha suggerito di far derivare la croce di Gerusalemme dai sigilli dell'imperatore latino di Costantinopoli.
Anche alcuni stemmi del Latinoamerica conservano ancora oggi singolari segnali. In particolare quelli di Portorico e di Veracruz in Messico. Portorico fu la prima isola avvistata al secondo viaggio di Colombo che la battezzò San Juan Batista, nome che oggi conserva la capitale. Si ricordi che papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il papa che da sempre abbiamo identificato come lo “sponsor” e probabilmente il padre di Colombo, era morto. Per cui il nome dell’isola potrebbe essere l’omaggio reso dal navigatore al pontefice defunto. Più intrigante lo stemma di Veracruz che alcuni vorrebbero fare risalire ad uno sbarco dei Templari. In effetti quelle croci rosse, come quella del Santo Sepolcro e di Gerusalemme nei due emblemi lasciano pensare. Come gli stendardi di resurrezione dell’agnello e la F e la Y, che potrebbero essere la sigla del Christo Ferens Colombo, in quanto Ferens Yesus e non certo Isabella e Ferdinando, il quale non è mai entrato nella partita della scoperta, appannaggio esclusivo della Castiglia. Indizi che si soprappongono agli indizi, in una valanga difficile da ignorare.
Sono tante le famiglie genovesi che nel loro stemma presentano gli scacchi. Ora sono argento e azzurro, ora bianco e rosso in una eco dal sapore templare e in una sorta di clan dagli intrecci sicuramente anche di sangue. Da sinistra lo stemma di Bonifacio IX Tomacelli Cybo, l’antico stemma dei Cybo e quello di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo. Seguono nella prima fascia i Doria e gli Spinola. Sotto da sinistra gli Adorno, i Centurione, i Grimaldi (qua per la verità si tratta di rombi) , i Cybo Malaspina, lo stemma dei Pico della Mirandola e quello normanno degli Altavilla.
Le tipologie di croce sono molto varie ed articolate. Questa voce ne fornisce una classificazione formale, tenendo presente gli oggetti reali come i motivi simbolici-decorativi. La croce si compone essenzialmente di due bracci, detti rispettivamente montante e traversa, che s'incrociano in modo perpendicolare; in base alla disposizione ed ai rapporti che passa tra gli elementi costitutivi, sono individuate le tipologie: per le definizioni tipologiche spesso si fa riferimento al linguaggio araldico.
La croce cristiana: è il simbolo cristiano più diffuso, riconosciuto in tutto il mondo. È una rappresentazione stilizzata dello strumento usato dai romani per la tortura e l’esecuzione capitale tramite crocifissione, il supplizio che secondo i vangeli e la tradizione cristiana è stato inflitto a Gesù Cristo. Tuttavia si tratta di una forma simbolica molto antica, un archètipo che prima del cristianesimo aveva già assunto un significato universale: rappresenta l’unione del cielo con la terra, della dimensione orizzontale con quella verticale, congiunge i quattro punti cardinali ed è usata per misurare e organizzare le piante degli edifici e delle città. Con il cristianesimo assume significati nuovi e complessi come il ricordo della passione, morte e risurrezione di Gesù; e come un monito dell’invito evangelico ad imitare Gesù in tutto e per tutto, accettando pazientemente anche la sofferenza.
di Sandrino Bruno – da Panorama Numismatico nr.250/Aprile 2010
NELLO STEMMA DELLA FAMIGLIA SPINOLA C’E’ UN MISTERO CHE UNA ATTENTA OSSERVAZIONE DELLE MONETE ORA HA RISOLTO!
Nel catalogo n. 55 dell’asta Varesi di Pavia dell’8 e 9 aprile 2010 ho notato con grande meraviglia un importante nucleo di monete degli Spinola. Per me, piccolo collezionista e studioso delle monete coniate a Tassarolo, questa è stata una bella occasione per poter ammirare dal vero degli autentici pezzi rari nonché poter confrontare e cercare eventuali difetti, errori o varianti proprio in questi tipi di conio (come è successo con il luigino del 1658 con la scritta PALLAT anziché PALAT di cui ho già scritto precedentemente (Un’inedita e curiosa variante in un luigino degli Spinola di Tassarolo, in Panorama Numismatico nr 243, settembre 2009, pp. 19-21)).
Mi sono subito soffermato sul lotto n. 1153 che evidenzia il bellissimo “ongaro della rosa” di Filippo Spinola di Tassarolo in quanto è l’unica moneta che conosco dove sia raffigurato un fiore (la rosa gallica o pendulina) anziché i soliti busti del conte, il volto di una donna, uno stemma, San Nicolao Patrono di Tassarolo o qualche ricorrenza particolare come il martirio di Carlo Spinola in Giappone. Ho continuato a consultare il catalogo e mi ha incuriosito ancora di più il lotto n. 1161 dove è presentato lo scudo di Ronco con al rovescio una pregiatissima esecuzione dello stemma con aquila imperiale e al diritto il conte Napoleone Spinola raffigurato con un fiore, uguale e identico a quello sull’ongaro di Filippo, nella mano sinistra e con un bastone da passeggio nella mano destra, oltre naturalmente alla solita spada al fianco. La domanda che mi sono posto è stata: cosa ci fa il conte di Ronco, marchese di Roccaforte e Rocchetta, signore di Borgo Fornari e Busalla vestito con l’armatura da guerra, spadone sul fianco, con un fiorellino e un bastone “da funghi” come se stesse arrivando da una scampagnata e non in atteggiamento che ne esalti tutta la sua nobiltà e la sua autorità come giustamente rappresentato in altri tipi di conio? E il tutto in una moneta di “prestigio” destinata a pagamenti in altri feudi o addirittura da donare all’imperatore. Cosa potrebbero avere in comune le due monete?
Per prima cosa ho riletto e ricontrollato le descrizioni e le figure degli stessi coni nel libro dell’Olivieri Monete e medaglie degli Spinola, in altri testi simili e in innumerevoli riviste numismatiche per scoprire qualcosa su questi dettagli ma non ho trovato nulla. Allora ho interpellato l’amico marchese Oberto Spinola di Tassarolo e dopo un attento esame ed un’ampia discussione la sentenza è stata unanime. Si tratta dei simboli del misterioso ordine dei Rosacroce, uno dei successori dei cavalieri templari, il cui emblema è rappresentato proprio da una rosa e da una croce. Nell’ongaro c’è la rosa il cui gambo e rami formano la X mentre nello scudo di Napoleone, oltre al fiore, magia delle magie, proprio l’intersezione della spada e del bastone formano una croce.
Questi oggetti “fuori luogo” apparentemente non c’entrano nulla nel contesto della moneta. Almeno per noi o per i comuni utilizzatori del tempo erano difficilmente interpretabili, mentre avevano una loro sottile funzione subliminale per qualcuno. Non sono nemmeno tanto chiari come nel caso del dollaro di Washington. È più semplice ed immediato riscontrare gli errori e le varianti potendosi eseguire numerose comparazioni.
Nelle monete di Filippo di Tassarolo è ricorrente nella figura dello stemma un giglio anziché la classica spina in quanto anche questo fiore è il simbolo della confraternita già ricordata. A conferma di questa tesi non ho potuto fare a meno di continuare il discorso sui Templari a Tassarolo con il marchese Oberto il quale, alla fine, mi ha permesso di raccontare o meglio precisare alcuni dettagli riguardo la storia della sua stirpe mostrandomi un albero genealogico da lui stesso redatto (fig. 3).
Gli Spinola hanno origine nella Regione della Mark (contea del Sacro Romano Impero in Germania) nel VII secolo. L’arrivo della famiglia, già col titolo di visconti, a Genova nel 950 è storia conosciuta così come la partecipazione del famoso Guido alla prima Crociata nell’XI secolo. E’ probabilmente Lui, secondo il mio parere, uno dei primi adepti all’ordine dei cavalieri templari.
Si è sempre creduto che la spina dello stemma fosse proprio l’origine del cognome Spinola. Da secoli infatti si discute sulla derivazione di questo nome e anche gli storici più illustri sono sempre stati concordi sulla “spina” della corona di Cristo Crocefisso portata in Italia dagli Spinola durante le crociate. La “spina” dello stemma altro non sarebbe che la croce templare che nei secoli è stata costantemente modificata dando origine alla croce dell’ordine di Santiago (sorto a protezione dei pellegrini che si recavano a Santiago di Compostela) il cui braccio inferiore è stilizzato a forma di spada. Questo particolare simbolo si nota benissimo negli stemmi originali non sbiaditi o consunti. Da notare che nello stemma della Contea di Mark non c’è la spina, mentre è presente in quello degli Spinola di Genova.
Non ancora soddisfatto mi sono fatto accompagnare in castello dove sono ben visibili degli affreschi riproducenti la croce di Santiago, nascosti nel XIII secolo con intonaco e librerie, per non destare sospetti e sfuggire all’inquisizione iniziata dal re di Francia Filippo IV, e rinvenuti fortunatamente alcuni anni fa durante dei lavori di restauro.
Ho scritto questo articolo con vera soddisfazione e, mi sia consentito, con un pizzico di orgoglio perché sono convinto di aver interpretato al meglio la numismatica proprio come studio scientifico delle monete in tutte le sue forme e di aver scoperto, in questi specifici tipi di conio, notizie storiche assolutamente nuove ed interessanti, partendo proprio da alcuni messaggi occulti.
Non è facile trattare delle arme usate dal casato Malaspina. Occorre infatti considerare che l’araldica oggi ha regole ben definite, ma non così era nei secoli in cui tale famiglia si impose ed iniziò a ramificarsi. In quelle lontane epoche l’adozione di questo o quello stemma era lasciato in gran parte all’arbitrio degli interessati, che non sempre rispettavano quelle che, in seguito sarebbero diventate norme di rigida osservanza.
Di fatto, non soltanto ogni ramo della famiglia adottò elementi araldici differenti da quello di provenienza, ma, addirittura, li modificò nel corso dei secoli. Conosciamo perfino casi in cui lo stesso personaggio, in successivi anni, adottò arme diverse, pur non abbandonando mai l’elemento distintivo del casato, vale a dire lo spino. Tuttavia, prima di passare a dare qualche informazione sugli stemmi dei Malaspina, appare utile qualche precisazione. Lo "stemma" araldico comprende, oltre allo scudo, che è l’elemento principale, anche altri elementi secondari (elmo, cimiero, svolazzi, motto, ecc.) i quali non sempre compaiono. In questa sede ci limitiamo a trattare dello scudo. Esso in origine era di forma sannitica, in seguito comparve anche in forma ovale. Nelle illustrazioni che accompagnano queste note ci si attiene allo scudo sannitico. Sembra assodato che, prima della storica divisione del 1221 (la quale diede origine alle due grandi diramazioni dello spino secco e dello spino fiorito), lo stemma malaspiniano fosse di assai semplice fattura: uno spino secco (di color nero) in campo d’oro. Lo spino aveva tre rami sul lato destro e due su quello sinistro (vedi fig. 1). Si badi bene che, in araldica, le parole "destra" e "sinistra" hanno valore inverso a quello comunemente inteso: infatti, per definire la "destra" e la "sinistra", occorre porsi idealmente nella collocazione di chi porta lo scudo, ossia, in altri termini, sulla visuale opposta a chi lo osserva. Dal 1221 il ramo dei marchesi che governavano i territori posti sulla sponda destra del fiume Magra conservarono lo spino secco (salvo le modifiche di cui accenneremo), mentre i Malaspina che governavano sulla sponda sinistra del fiume adottarono lo spino fiorito. Quest’ultimo in genere non è nero ma verde, ha i rami specularmente disposti rispetto all’altro e, in più, ogni rametto è ornato alla sommità da tre piccoli globi argentei o bianchi, che simbolizzano la fioritura. Più o meno in quel tempo compare nell’arma l’aquila bicipite nera in posizione di volo abbassato (ossia con le ali dispiegate); essa simbolizza il Sacro Romano impero, di cui i Malaspina erano vassalli. Detta aquila talvolta occupa il terzo superiore dello scudo (vedi fig. 2), talvolta la metà e talaltra abbraccia lo scudo intero (vedi fig. 3). I Malaspina dello spino secco introdussero ben presto nel loro scudo la figura del leone bianco rampante ed incoronato. Tale privilegio fu loro concesso da Luigi IX re di Francia, quale riconoscimento per l’aiuto fornito da Corrado Malaspina alla spedizione d’Egitto (vedi fig. 4). Altre modificazioni furono introdotte per quanto riguarda il colore del campo: mentre i Malaspina dello spino fiorito divisero il campo in due colori, confinando l’oro nella metà superiore dello scudo, e colorando di rosso quelle inferiore (vedi fig. 5), i Malaspina dello spino secco (ma non tutti i rami) introdussero una fascia rossa nel mezzo del campo, di guisa che l’oro rimane nel terzo superiore ed in quello inferiore. Come abbiamo già osservato, molte altre modificazioni si ebbero anche successivamente.
The Merovingians ruled much of present-day France and Germany between the fifth and seventh centuries. The beginning of this time coincides with not only the Grail stories, but with the era of King Arthur, who was so central to many of these tales. There was never any question that the Merovingians were the rightful rulers of the Franks.
Designs were invented to help recognise one man from another. How far back this idea was first put into practice is not known but from the first half of the twelfth century (1100-1150) knights began to use designs on their flags and shields to identify themselves in battle and in tournaments. The designs commonly passed down from father to son and became means of identifying an entire family and not just a single person. Designs were not only used by knights for military purposes. Designs were used by ordinary people for marking their territory or possessions. They were also used as seals on documents to prove their authenticity. The use of designs in the early twelfth century we now call heraldry. It may have begun at this time because of the popularity of tournaments where a knight in armour could only be recognised by some kind of design on his flag or shield. It may have become popular during the Crusades for identifying those men who associated themselves with a particular knight.