UNA DELLE MAPPE CHE USÒ CRISTOFORO COLOMBO
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All’estrema destra continentale compare quella che è stata chiamata “la quarta penisola asiatica”. Che alcuni studiosi hanno ipotizzato essere il Sudamerica. In verità la forma, sia pure distorta verso destra a causa della proiezione, raffigura esattamente il Nordamerica, comprendendo l’istmo centroamericano. Evidentemente l’America c’era, ma si faceva ancora molta confusione, pensando che fosse un proseguimento dell’Asia. Il tutto faceva parte di quelle che venivano chiamate al tempo le “Tre Indie”. Per cui Colombo non sbagliava parlando di Indie occidentali. Per di più sapendo che fra l’America e le altre Indie c’era un vasto oceano. (R.M.)

Oggi è ancora possibile farsi un’idea di come Cristoforo Colombo arrivò a scoprire l’America. Nella Beinecke Rare Book & Manuscript Library dell’Università di Yale è infatti custodita unamappa realizzata nel 1491 dal cartografo tedesco Henricus Martellus, e secondo gli esperti si tratterebbe proprio di quella utilizzata dall’esploratore genovese per progettare il suo famoso viaggio verso le Indie. Come tutte le cartine dell’epoca, la mappa è coperta di annotazioni che illustrano caratteristiche geografiche dei territori, così come usi e costumi delle popolazioni che li abitano. Testi che potrebbero rivelare particolari fondamentali su quello che sapeva Colombo quando organizzò la sua spedizione, ma che in oltre 500 anni sono ormai divenuti illeggibili. Un nuovo progetto, finanziato dal National Endowment for the Humanities del governo americano, ha deciso di riportare alla luce questi testi perduti, utilizzando una tecnica chiamata multispectral imaging. La mappa di Martellus rappresenta l’Europa, l’Africa e l’Asia, ossia tutto il mondo conosciuto prima che Colombo scoprisse accidentalmente il continente americano.

Si tratta di una grossa cartina di 1,2 metri x 2, completamente coperta di scritte oggi illeggibili: note geografiche, annotazioni prese da Il Milione di Marco Polo, indicazioni su dove trovare perle e mostri marini, e descrizioni degli abitanti di paesi lontani. Un piccolo box nel nord dell’Asia (ancora parzialmente leggibile) descrive ad esempio la popolazione dei Balor, un popolo che vive “senza vino o grano, sostentandosi di carne di cervo, e cavalcando cavalli simili a cervi”. Per recuperare tutte queste informazioni, estremamente interessanti per comprendere la genesi dell’impresa di Colombo, nei prossimi mesi un team di ricercatori sarà a lavoro sulla mappa con il multispectral imaging, tecnica che consiste nel riprendere immagini a determinate frequenze di luce, compreso l’ultravioletto e l’infrarosso, che vengono poi ricombinate e processate digitalmente per portare alla luce particolari prima invisibili. Ci vorranno diversi mesi prima che i ricercatori inizino a decifrare i testi perduti, perché bisogna procedere per tentativi ed errori, utilizzando combinazioni differenti di immagini per ogni parte della mappa. Quando il lavoro sarà finito, probabilmente entro il prossimo anno, l’immagine finale sarà resa pubblica sul sito web della Beinecke Digital Library di Yale.

di Simone Valesini
16 settembre 2014

cartina Enrico Martello

Si tratta di una grossa cartina di Enrico Martello completamente coperta di scritte oggi illeggibili con indicazioni su dove trovare perle e mostri marini.

locazione: Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University.

decorazione

 

Enrico Martello e il trucco delle tre carte

 

Brano in cui si parla di Enrico Martello, tratto dal libro “Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari”. Dal capitolo XI intitolato “Il trucco delle tre carte”.

... C’è uno scienziato, in particolare, verso la seconda metà del Quattrocento, che può essere considerato un altro degli ispiratori del viaggio colombiano e che, in qualche modo, potrebbe mettere d’accordo i molteplici aspetti delle annose controversie. Si tratta di Enrico Martello. Tolomeo aveva chiuso le superfici d’acqua fra litorali conosciuti o “incogniti” riducendole a bacini chiusi? Aveva fatto del mare Indicum, posto sotto l’Asia, una replica orientale del Mediterraneo? Lo schema ormai obsoleto, come abbiamo visto, era già stato rotto. Così il globo del germanico Henricus Martellus è un ulteriore gradino verso la certezza. Le acque della terra, come per Cresques e fra Mauro, anche sotto la sua mano si gonfiano, come in un diluvio. Circondano di un turchese intenso la sua mappa. Bisognava compiere un ulteriore passo in avanti. Ed ecco l’Est dilatarsi a comprendere un vasto spazio d’acqua azzurra, oltre il Gange e l’Indicum, come veniva chiamato l’ Oceano Indiano. Popolandosi di un’infinità di isole più o meno grandi. Fra i litorali spagnoli e quelli della Cina l’estensione configura un vero oceano, il mitico uroboro, il serpente che, nell’immaginario del Medioevo, circondava il globo, mordendosi la coda. Segno dell’“eterno ritorno” fra Oriente e Occidente. All’estremità della mappa in direzione Nord-Est, al largo dell’ultima India, ecco materializzarsi la solita isola, che non può essere il Giappone e che potrebbe essere già una parte dell’America. Non è il solo rebus di questa rappresentazione cartografica. (NOTA 1 – Nebenzhal Kenneth, op. cit., pag. 23. Il manoscritto miniato datato Firenze 1489 è conservato presso la Yale University, in America.) Martello era probabilmente originario di Norimberga, probabilmente aveva conosciuto il cardinale Cusano intimo del Toscanelli. Venne in Italia dal 1480 al 1496, ebbe a che fare con i Medici, con Lorenzo il Magnifico e con papa Innocenzo VIII, per il quale confezionò un mappamondo. Evidente che la mappa fiorentina doveva avere corrispettivi in Vaticano gelosamente custoditi. Le distanze sono ingannevoli, apparentemente non corrispondono a quelle reali, ma il criterio di proiezione potrebbe rispondere a regole che ignoriamo. Non è detto nemmeno che siEnrico Martello mappa globo volesse fare conoscere con esattezza la posizione delle terre da scoprire. La cartografia era al centro di una guerriglia quanto mai intensa di spionaggio. Copiare o diffondere i contenuti delle mappe era passibile della pena capitale. Ed è singolare che lo stesso Martello abbia confezionato, sempre nell’anno 1489, un’ altra versione, meno aggiornata, del suo mappamondo fiorentino. In questo caso molto meno esplicito per quanto riguarda l’oceano orientale. Quasi che una carta dovesse in parte rivelare e l’altra nascondere. L’Asia, difatti, arriva al margine della rappresentazione, proiettandosi ad Est in un minuscolo lembo di mare. Tutte e due le mappe, tuttavia, assumono un’importanza fondamentale poiché, oltre a presentare un’Africa perfettamente navigabile fino all’estremo Sud, prima della scoperta ufficiale, configurano un’India più vasta e diversa, per quanto ci consta, da tutte le altre sin qui rappresentate. Qual è la novità? Soprattutto rispetto all’imperante “geografia” di Tolomeo per la quale, ad ogni buon conto, oggi tutti «concordano sul fatto che i suoi dati numerici sono stati corrotti nei secoli dalla tradizione manoscritta?». ( NOTA 2 – Cosmografia, Lucchetti Editore Stella Polare Editrice, Bergamo 1990, pag. X nota 12. La terra tolemaica si perdeva ad Oriente con il toponimo Sinarum Regio. L’ultima delle penisole che si proiettavano nel mare Indicum era il Chersoneso aureo, l’ultimo grande golfo era il Sinus Magnus. Oltre quei limiti ancora terre incognite.)

Con Martello, oltre al riaffermarsi dell’idea di una circumnavigabilità dell’orbe, nell’oceano che sconfina oltre l’Asia extragangetica, al di là del fiume Gange, appare quella che si potrebbe definire una misteriosa “quarta penisola” asiatica. Una parte di continente, che si aggiunge alla concezione tolemaica. Sia pure in una ricostruzione distorta verso Sud-Ovest, così come distorta verso Sud-Est si presenta nell’altro emisfero l’Africa. In una convergenza dovuta presumibilmente ad esigenze cartografiche. La conformazione però di questa inedita “quarta penisola” ha un aspetto tutto sommato familiare. Si presenta con una forma che ha il sapore del “deja vu”. Basta fare una semplice verifica: posizionare il planisfero di Martello davanti a uno specchio. Ed ecco apparire, come in un sortilegio, l’America del Nord. Né più né meno come la conosciamo oggi. Un’America, che si distende fino all’istmo centroamericano. Con la gobba dell’odierno Honduras e comprendente il Nicaragua. Per interrompersi proprio là, dove Colombo pensava di trovare il passaggio verso le Indie. Si materializza un Mondo Nuovo, che concilierebbe il globo prossimo venturo con le credenze antiche, che rispetterebbe la trinità geografica. L’Asia e l’America costituirebbero un “corpo” unico. La terra incognita verso la quale veleggiare esiste, ma sarebbe semplicemente un’appendice immediata delle Indie già note, il Pacifico verrebbe completamente abolito. Ogni dubbio sembrerebbe risolto. ( NOTA 3 – Almagià Roberto, Cristoforo Colombo visto da un geografo, Olschki Editore, Firenze 1992, pag. 167-168. «Se si dà a quella quarta penisola delineata dal Martello in modo del tutto congetturale una diversa direzione, immaginandola proiettata verso sud-ovest e ampliata a sud in una più vasta massa, si ottiene una rappresentazione non dissimile da quella ricavata dagli schizzi attribuiti a Bartolomeo Colombo. La stessa penisola appare disegnata a un dipresso nello stesso modo, in un altro documento cartografico famoso, il globo di Martino Behaim del 1492».

I Colombo (ma si può considerare veridica l’attribuzione di quegli schizzi?), dunque, per l’Almagià interpreterebbero le nuove terre, né più né meno come Enrico Martello. Il disegno attribuito a Bartolomeo, il fratello di Cristoforo, per la verità, si limita a rappresentare un’estensione terrestre molto circoscritta. Colombo, d’altronde, era molto attento a non diffondere, se non per gradi, le sue conoscenze. Conscio di quanto infido fosse il terreno sul quale si stava muovendo e quali interessi planetari coinvolgesse.) Sempre l’Almagià, in un altro suo studio, (I mappamondi di Enrico Martello e alcuni aspetti geografici di Cristoforo Colombo, Bibliopolis, Firenze 1941, pag. 311), fornisce un’altra interessantissima notizia: la presenza, fra le carte Dell’“insularium Illustratum”, nel Codice laurenziano originale, di una carta del Cipango, esclusa dalle redazioni definitive della sua opera. Una singolare omissione! Carta, fra l’altro ignota, agli studiosi che si sono occupati dell’antica cartografia del Giappone. Forse il Cipango di Enrico Martello non era il Giappone? Non si comprende, però, perché alcuni studiosi vedano in quella massa peninsulare raffigurata dal tedesco, l’America del Sud. Una parte del globo di cui erano sicuramente a conoscenza i portoghesi e quasi sicuramente lo stesso Cristoforo. Il Sudamerica sarà l’unica “novità” nei confronti della quale Colombo, quando la incontrerà, mostrerà una certa sorpresa (vera o falsa?). Certo è che la “quarta penisola”, una volta raggiunta, nella direzione da dove sarebbero arrivate le caravelle spagnole, avrebbe potuto essere facilmente superata nella sua punta estrema meridionale. Sia pure in un effetto deformante, le coste delineate da Martello non lasciano spazio al dubbio. L’America del Nord non sarebbe che un’ulteriore proiezione delle Indie, che da orientali si convertirebbero in occidentali. E sarebbero state il primo approdo per chi, proveniente dall’Europa, navigasse verso Ponente. ( NOTA 4– Questa tipo di interpretazione è avvalorato del mappamondo di Francesco Rosselli del 1508, che si trova a Firenze (“Segni e sogni della terra”, De Agostini, Novara 2001, pag. 147), dove l’America compare distaccata dall’Asia, ma dove Beragua (Veragua), all’incirca l’odierna Panama, una delle terre toccate da Colombo nell’istmo centroamericano, compare sulla “quarta penisola asiatica” insieme ai toponimi della Cina di Tolomeo ed a quelli usati da Marco Polo. A riprova di una confusione non ancora risolta o che non si voleva risolvere.) Di lì la traversata alle altre prossime Indie, già conosciute, sarebbe stata facilissima e quanto mai breve. Collimando con quanto avrebbe professato il navigatore. Secondo quello che ci hanno sempre raccontato e lasciato intendere. Sarebbe il modo più comodo per risolvere l’annosa questione. Colombo avrebbe sbagliato, solo nella misura in cui sbagliavano le carte degli scienziati più accreditati. Le fazioni pro e contro le effettive nozioni geografiche del navigatore potrebbero Claudio Tolomeo mappa globotrovare un salomonico punto d’incontro. Ma è una conclusione che non soddisfa, un compromesso da rifiutare. Che confermerebbe solo gli inganni nei quali sarebbe caduto. Esaminando attentamente molti di questi documenti, come altri ancora, ci si accorge inoltre dell’esistenza di una piccola penisola dalla forma inconfondibile: è la Florida. La “terra fiorita” costituisce da sola un piccolo giallo nel grande giallo. Si afferma «che è forse il più grande irrisolto enigma cartografico del periodo». Si sottovaluta la complessità e la portata degli enigmi. Ufficialmente quella terra fu toccata solo nel 1513. Eppure compare innanzi tempo, come già osservato, nel planisfero (1500) di Juan de la Cosa, che fu uno dei compagni d’avventura prima, degli avversari dopo, dell’Ammiraglio. Lo spagnolo posiziona un’immagine di San Cristoforo proprio là dove, tra Nord e Sud, dovrebbe esserci il passaggio supposto da Colombo. Lo stretto che separerebbe le Americhe e che è “salomonicamente” coperto con l’immagine del santo gigante traghettatore del Cristo bambino, dell’uomo nuovo. La Cosa non fu l’unico che “antivide” la Florida. L’apparizione della terra dell’eterna giovinezza, dove si credeva esistesse la fonte dell’elisir di lunga vita, compare in numerosi altre mappe come quella verdissima di “Cantino”. (NOTA 5 – La mappa si trova oggi a Modena.) Cantino era un agente diplomatico della famiglia degli Estensi di Ferrara, appassionata di misteri geografici. Risiedeva anche lui a Lisbona, dove comprò il prezioso cimelio. Tornando in Italia si fermò anche a Genova, dove vendette una copia a Francesco Catanio (il cognome sembrerebbe un anagramma quasi perfetto di Cantino). Per consegnarla, infine, ad Ercole d’Este a Ferrara. La caccia al vero volto del mondo affascinava tutti i potenti del tempo. Il suo planisfero è bellissimo.

Quella che indica come Isabella è Cuba, rappresentata inequivocabilmente come un’isola. A dispetto del fatto che Colombo non lo avrebbe mai compreso, confondendola per tutta la vita con la terraferma. Poco più in là la Florida. Siamo nel 1502! Analogo “errore” nella carta di Nicolò Caveri del 1504-05, che porta la firma di un cartografo genovese: di nuovo nessun dubbio. Sono presenti il Golfo del Messico, lo Yucatan, la Florida. L’elenco potrebbe continuare. In una sequenza di geografi, che dimostrano di sapere molto di più di quanto si dovrebbe sapere. Ora a Genova, ora in Portogallo, ma si potrebbero nominare ulteriori diverse località anche italiane. Altri, come visto, appartenenti a cenacoli insediati anche a Palma di Majorca. Luoghi che riconducono quasi sempre, fra verità e leggenda, all’inquieto peregrinare e alle tante “patrie” di Cristoforo Colombo. L’America del Nord, l’insularità di Cuba e la penisola della Florida erano evidentemente un dato già acquisito con matematica precisione. Da quando? Difficile rispondere con assoluta sicurezza. É certo, tuttavia, che la storia avrebbe riproposto un ostracismo continuo sul fatto che Colombo potesse avere guadagnato il continente. Quando studi posteriori costringeranno gli studiosi all’ammissione, in anni che precedono anche Vespucci, si cercherà di rafforzare la “leggenda nera” di un uomo che, per quanto grande, non era in grado di comprendere nulla. In una sensazionale “scoperta” del tutto inconsapevole. Eppure mercoledì 21 novembre 1492 nel “Diario di bordo” si legge: «Nondimeno egli era propenso a ritenere che il quadrante fosse ancor giusto perché esso segnava il Nord tanto alto come in Castiglia, ma se ciò fosse stato vero l’Ammiraglio si sarebbe trovato all’altezza e in prossimità della Florida. Ma il tal caso, dove sarebbero andate a finire le Isole che egli dice di aver avuto davanti a sé? Soggiunge l’Ammiraglio che la gran calura che trovava lo induceva ancora a esprimere quel dubbio che aveva; però è evidente che se si fosse trovato sulle coste della Florida non vi avrebbe trovato caldo ma freddo …». Si parla di Florida. ( NOTA 6 - Singolare che si faccia menzione, sia pure in un “Diario” rielaborato successivamente (dovrebbe però tenere conto solo dei toponimi originali, come nelle altre circostanze dello scritto, visto che il riferimento costante è alle stesse parole autografe del navigatore), di una penisola ancora da scoprire. Che, nel riassunto del viaggio del 1492, non dovrebbe essere assolutamente menzionata. Non ci pare che si trovino corrispettivi analoghi nel testo relativo alla prima spedizione, molto più dettagliato e fedele degli altri.)

Le considerazioni di ordine meteorologico farebbero pensare che la Florida di Colombo, già toccata in viaggi precedenti, si estendeva nelle sue concezioni anche molto più a Nord di quella odierna. (NOTA 7 – Nella carta del 1556 dello spagnolo Girava, nella quale sono raffigurate le due Americhe, in effetti la Florida è situata molto più a Nord, sotto la “Tierra de bacalaos”.) Il 21 novembre è anche il giorno che segnerà la “diserzione” di Martin Alonso Pinzón. Sparirà all’improvviso alla vista di Colombo. Lo spagnolo puntava di sicuro al continente e nella direzione dell’oro indicato dagli indiani. Non troverà il continente, troverà l’oro. Lui, solo lui, mirava unicamente all’oro. L’Ammiraglio, dunque, sarebbe in prossimità della terraferma e ne sarebbe cosciente, fin dalla prima spedizione ufficiale. Senza contare il “predescubrimiento”. Eppure avrebbe mancato, per insipienza, l’approdo più importante. Per quanto non sbagli quasi nulla la storia farà in modo che Colombo abbia sbagliato sempre. Gli interessi della Spagna non consentiranno mai ammissioni di sorta. Perciò Colombo non “può”, soprattutto non deve, sbarcare nelle Americhe. L’approdo finale dovrà restare per lui un miraggio eternamente sfiorato. Puntualmente fallito. Il suo sbarco sarebbe costato troppo, come ricompense pattuite, alle casse dello Stato. Non è l’unico caso in cui si sosterrà che non ha saputo cogliere il bersaglio per pura dabbenaggine. A dispetto della facilità e delle possibilità favorevoli di “scontrarsi” con il Nuovo Mondo. Bisognerà creare per questa eventualità un predecessore. Si individuerà un Amerigo di convenienza, uno stipendiato, un impiegato. Per scoprire, solo secoli dopo, che lo sbandierato primato di Vespucci, circa lo sbarco continentale, era solo un grande falso. Si pensava, difatti, che il fiorentino avesse toccato la Florida nel 1497. Gli studi successivi avrebbero dimostrato che si era trattato di una menzogna. Ma ormai era tardi. La frode (a chi giovava se non alla Spagna?) aveva ormai negato la primogenitura colombiana. In modo che un nome posticcio, quello del fiorentino, venisse attribuito per sempre alle nuove terre. Il destino dei due esploratori italiani, che pure sembrrebbero amici, si sarebbe separato per sempre. Non scriveva forse di Mondo Nuovo il letterato cortigiano Pietro Martire d’Anghiera, amico di Colombo, riferendosi ai viaggi colombiani, prima che quel nome fosse coniato da Vespucci? Pietro Martire aveva ricevuto notizie alla corte spagnola dallo stesso Colombo. Ma le prove, se si preferisce gli indizi, sotto il peso del cinquecentenario broglio, non verranno mai prese in considerazione. Fino a soffocare giustizia e verità. Colombo, tutto sommato, ha già avuto abbastanza gloria come premio per le nefandezze che gli sono state attribuite! Certo la cartografia era confusa, certo è giunta a noi lacunosa e incompleta. Certo le nozioni erano vicine alla verità, ma verità assoluta non potevano essere considerate. Pure i Colombo, fra certezze ed intuizioni, si muovevano in un magma difficile da ricondurre ad una ricomposizione precisa del vero. Vi si avvicinavano per gradi, attraverso la conoscenza superiore a quella di tutti gli altri e all’esperienza. Resta il loro peccato di fondo di essere stranieri in terra straniera, pretendenti ad un Eldorado da colonizzare in esclusiva. Messaggeri di un sogno i cui mandanti verranno fatti sparire, in una incredibile sequenza di morti sospette. Che colpirà soprattutto Roma e Firenze e gli esponenti delle Accademie neoplatoniche. Proprio nel momento in cui il sogno stava per realizzarsi. Con il successo e l’apertura della cornucopia e dei segreti del mondo. C’è da rilevare che molte carte sono state rinvenute in epoca recente. Che uno studio organico sui molteplici interrogativi che vengono a porre non ci sembra sia stato compiuto. Chi d’altronde, in campo scientifico, oserebbe contrapporsi a 500 anni di scienza? Quella scienza che avrebbe ereditato, rafforzato e perpetrato l’errore? Che, dunque, nascerebbe a sua volta nel segno di un inconfessabile peccato originale? Preferibile lasciare Colombo nel suo limbo, meglio nel suo inferno. Meglio interpretare carte e scritture come un retaggio medioevale. Una paccottiglia nel residuato dei secoli bui. Meglio divertirsi con il rebus da quiz a premi: ma Colombo era uomo del Medioevo o del Rinascimento? Tutti, dunque, Ebrei, Musulmani, Cristiani, senza contare Cinesi e Giapponesi, possedevano carte e mappamondi. La maggior parte sono andati perduti. Alcuni sicuramente non sono stati ancora ritrovati. Quello della sparizione di un’infinità di carte e di mappamondi sarebbe un altro capitolo da aprire. Ne esistevano molti di più di quanto si pensasse, la loro diffusione era molto più ampia di quanto si credesse. Le carte illustrate, che avanzavano novità, non erano solo di Portogallo, Spagna, Germania o del Vaticano. Ma solo quest’ultimo poteva disporre di un afflusso costante di nozioni superiori a tutti gli altri poteri terrestri. Fra i maggiori custodi e propagatori della geografia i Musulmani erano stati, a loro volta, per molto tempo gli unici depositari. Come a dire che la “concorrenza” avrebbe potuto precedere la Cristianità. Forse è proprio questo il più grande merito dell’impresa colombiana. Avere piantato la croce, là dove ci si sarebbe potuti inginocchiare, in un dondolio di preghiere, in direzione della Mecca. O agitare addirittura il libretto rosso di Mao...

 

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Enrico Martello visto dalla Treccani

treccani

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

di Claudio Greppi

MARTELLO (Hammer), Enrico (Heinrich). – Nacque in Germania e intorno al 1490 operava a Firenze, probabilmente in contatto con la bottega cartografica di Francesco Rosselli. Scarsissime le notizie sulla sua vita; lo stesso nome tedesco che gli viene attribuito deriva dalla traduzione a posteriori di quello latino, con il quale si firmava: «Henricus Martellus Germanus». Per ricostruire la sua personalità è necessario quindi affidarsi alle sue opere, che sono tra le più significative degli ultimi due decenni del Quattrocento, a cominciare dalle sei importanti raccolte, due «Tolomei» e quattro isolari, a cui nel 1940 Almagià dedicò un fondamentale studio, nel quale il M. è definito «un cartografo assai bene informato della produzione cartografica del suo tempo, un diligente compilatore capace di utilizzare abilmente le sue fonti, introducendo anche miglioramenti, aggiunte, correzioni, ed infine un eccellente disegnatore» (p. 302). Il luogo e la data di morte del M. non sono noti. La prima raccolta (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 7289) è un classico Tolomeo, in piccolo formato, nella tradizione di Piero del Massaio e soprattutto di Niccolò Germanico, con la traduzione latina di Jacopo Angelo e le 27 carte della serie originale, senza aggiunte di carte moderne né di testi; è databile intorno al 1480 e da considerare una prima presa di contatto con la tradizione cartografica dell’umanesimo fiorentino. La seconda raccolta (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur., XXIX.25) è sicuramente successiva al 1488: si tratta di un isolario, che comprende il celebreLiber insularum archipelagi dell’umanista fiorentino Cristoforo Buondelmonti, composto intorno al 1422, oltre a una silloge originale di carte geografiche e nautiche, intercalate a descrizioni tratte da vari autori antichi e moderni, fra cui spicca un mappamondo in proiezione omeotera, che riporta le scoperte portoghesi fino al 1488, quando Bartholomeu Dias raggiunse il Capo di Buona Speranza.

Almagià ha riconosciuto in questo codice la copia di lavoro del M., che raccoglieva informazioni e sperimentava nuove soluzioni cartografiche, come mostrano le veline incollate, i segni a matita sulle carte e i buchi di spillo sui tracciati costieri, a uso di copie successive. Anche i testi sono oggetto di numerose correzioni e aggiunte, fra le quali le trascrizioni di interi passi di opere di Pio II, oltre che di Tacito, Plinio, Solino, Isidoro. Il lavoro copre probabilmente una buona parte degli anni Ottanta e testimonia della presenza del M. a Firenze in quel periodo. Kristeller segnala del M. il ms. 1475/Ma.Bond della University of Minnesota Library di Minneapolis, che contiene il Liber insularum di Buondelmonti. Nella terza raccolta (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XIII.16) si trova ancora un Tolomeo, questa volta di grande formato (cm 57,5 x 42), che oltre al testo di Tolomeo, nella traduzione di Jacopo Angelo, e alle 27 carte della tradizione contiene anche altri testi e numerose carte moderne, alternate a quelle antiche, firmate, a c. 1v: «Henricus Martellus Germanus fecit has tabulas». L’opera, completata prima del 1496, anno della morte del destinatario (il condottiero Camillo Maria Vitelli), comprende alcune tavole moderne dell’Europa di notevole contenuto innovativo, fra le quali spiccano quelle della Germania (cc. 102v-103r), della penisola balcanica (cc. 120v-121r) e soprattutto la grande carta dell’Italia (cc.Martin Behaim globo 1492 110v-111r) che misura, aperta, cm 57,5 x 108,5. Questa, secondo Almagià, «supera di gran lunga qualunque prodotto precedente» (1929, p. 10), soprattutto per la raffinatezza del disegno, l’abbondanza dei centri abitati e la ricchezza dell’idrografia. Le altre raccolte comprendono tre isolari, lussuose riproduzioni del codice di lavoro rimasto a Firenze, conservati alla Biblioteca dell’Università statale di Leida (Vossianus Lat., F.23, cc. 2-61v), alla British Library di Londra (Additional Mss., 15760) e al Musée Condé di Chantilly (Mss., 698). I primi due, come ilLaurenziano, comprendono anche nuove versioni del mappamondo nella proiezione omeotera: quello di Londra, in particolare, è certamente il più celebre dei lavori del M. e il primo a essere conosciuto; giunse alla British Library nel 1821, proveniente dalla collezione Saibante-Canonici. La novità principale dei mappamondi del M., oltre alla registrazione delle scoperte portoghesi nell’Atlantico estese fino al Capo di Buona Speranza, sta nell’estensione dell’ecumene verso Oriente fino a comprendere l’intera massa continentale asiatica, con la localizzazione dei toponimi ricavati dalle relazioni di Marco Polo e di Niccolò de’ Conti, nonché dalla Historia di Pio II. A queste opere del M. si aggiunse nel 1962 la straordinaria scoperta di un grande planisfero, fatta grazie a una donazione anonima di cui ha beneficiato la Yale University Library a New Haven, CT, subito rivelata al mondo degli studiosi di cartografia da parte del curatore della biblioteca, A.O. Victor, dopo che i due maggiori esperti, R.A. Skelton e R. Almagià (questi proprio nell’anno della sua morte), ne avevano assicurato l’autenticità. Quella che ora viene chiamata la mappa di Yale consiste in un dipinto a tempera su 11 fogli di carta incollati, delle ragguardevoli dimensioni di cm 108 x 190. Dato il pessimo stato di conservazione della mappa, i toponimi e i cartigli sono quasi illeggibili, ma si possono tuttavia ricavare le indicazioni principali anche dal confronto con gli altri planisferi conosciuti sia della produzione Martello-Rosselli sia di quella successiva. La proiezione usata qui dal M. è di nuovo la seconda di Tolomeo, ma più estesa nel senso della longitudine, con i meridiani estremi ancora più incurvati. Inoltre questa volta sono tracciati l’equatore e i tropici, e, soprattutto, l’intera cornice della mappa è graduata (mentre la consueta cornice decorata è stata incollata tutto intorno all’insieme dei fogli): per cui si possono individuare esattamente i limiti dello spazio terrestre rappresentato, che risulta esteso da 85° Nord a 40° Sud in latitudine e da 5° Ovest a 270° Est in longitudine: è la prima mappa con la descrizione dei gradi di longitudine. I 50 gradi guadagnati sul margine orientale consentono di estendere ulteriormente la dimensione dell’ecumene, fino a 230° circa, e di collocare all’estremità della mappa, a latitudini temperate, la grande isola di «Cipango», che fino a questa scoperta compariva soltanto negli isolari. Le innovazioni sono tali da far ipotizzare che il planisfero sia stato prodotto dopo quelli fin qui considerati e possa essere il coronamento del lavoro iniziato con l’Isolario Laurenziano. Molte caratteristiche della mappa di Yale rinviano a un possibile confronto con un altro prodotto della cultura cartografica tedesca della fine del Quattrocento: il globo di Martin Behaim del 1492, che prima di quest’ultima scoperta costituiva l’unica rappresentazione completa del mondo prima di Cristoforo Colombo.

Fra i due autori c’è un’evidente comunanza di cultura dovuta alla frequentazione di ambienti che riportano al triangolo Firenze-Lisbona-Norimberga e all’ultimo decennio del Quattrocento, periodo al quale è da ascrivere anche la mappa di Yale. Non è noto dove la mappa sia stata prodotta: non sembra che ne derivi alcun modello realizzato in Italia nel primo decennio del Cinquecento, mentre dal confronto con il globo di Behaim si può forse ricavare l’impressione che la forma distorta dell’Africa abbia a che fare con un ritorno del M. in Germania. È tuttavia in ambiente tedesco che si trova un documento con una corrispondenza precisa con la mappa del M., che può forse rappresentare il principale indizio di un allontanamento del M. da Firenze: la celebre mappa che Martin Waldseemüller (o Martinus Ilacomylus, 1470-1525 circa) allegò nel 1507 alla Cosmographiae introductio stampata presso il Collegium Vosagiensis di Saint-Dié-des-Vosges, in Lorena, dovuta alla collaborazione con l’altro umanista renano, Mathias Ringmann (Philesius), che comprende le Quatuor navigationes pseudovespucciane. Si tratta senza dubbio di uno sviluppo ulteriore del modello concettuale del M., che consisteva nel sovrapporre alla struttura tolemaica dell’ecumene le novità derivanti dai viaggi di scoperta. L’attenzione del M. per le regioni «nostri temporis […] a rege Portugalli nuper repertis» (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur., XXIX.25), dimostrata fin dagli anni fiorentini, è ora rivolta al Mundus novus di Amerigo, che per la prima volta riceve il nome «America». La presenza in Italia del M. si colloca dunque fra il programma enunciato nel 1474 dall’astronomo Johannes Müller di Königsberg in Franconia (noto come Regiomontano) e la revisione della traduzione di Tolomeo dovuta nel 1521 a Willibald Pirkheimer. «Tra i progetti di pubblicazione di Regiomontano vi era quello di allestire una Mappa mundi, con tavole moderne della Germania, dell’Italia, della Spagna, della Francia e della Grecia. Ma più in generale questo progetto cartografico – a cui il Regiomontano voleva unire delle descrizioni particolari “ex auctoribus plurimis” – fa pensare al Tolomeo e agli isolari di Enrico Martello, dove appunto le tavole moderne sono precedute da descrizioni tratte dalle più varie fonti» (Gentile, 1992, scheda 78).

Fonti e Bibl.: J. Del Badia, La bottega di Alessandro Francesco Rosselli merciaio e stampatore, in Miscellanea fiorentina di erudizione e storia, 1894, vol. 2, pp. 24-30; R. Almagià, Monumenta Italiae cartographica, Firenze 1929, p. 10; S. Crinò,L’atlante inedito di Francesco Rosselli, in Comptes-rendus du Congrès international de géographie. Amsterdam…, Leiden 1938, II, pp. 153-157; R. Almagià, I planisferi di Francesco Rosselli dell’epoca delle grandi scoperte geografiche, in La Bibliofilia, XLI (1939), pp. 381-405; Id., I mappamondi di E. M. e alcuni concetti geografici di Cristoforo Colombo, ibid., XLII (1940), pp. 288-311; Id., On the cartographic work of Francesco Rosselli, in Imago mundi, VIII (1951), pp. 27-34; I. Luzzana Caraci, L’opera cartografica di E. M. e la «prescoperta» dell’America, in Riv. geogr. italiana, LXXXIII (1976), pp. 335-344; Id., Il planisfero di E. M. della Yale University e i fratelli Colombo, ibid., LXXXV (1978), pp. 132-143; S. Gentile, Firenze e la scoperta dell’America. Umanesimo e geografia nel ’400 fiorentino (catal.), Firenze 1992, schede 8, 78; Id., Toscanelli, Traversari, Niccoli e la geografia, in La cultura geografica e cartografica fiorentina del Quattrocento, in Riv. geogr. italiana, C (1993), p. 117; M. Milanesi,Presentazione, in La cultura geografica e cartografica fiorentina del Quattrocento, ibid., pp. 15-32; L. Rombai, Tolomeo e Toscanelli, fra Medioevo ed Età moderna: cosmografia e cartografia nella Firenze del XV secolo, in Il mondo di Vespucci e Verrazzano: geografia e viaggi. Dalla Terrasanta all’America, a cura di L. Rombai, Firenze 1993, pp. 16 s.; D. Woodward, Starting with the map: the Rosselli map of the world, 1508 ca., in Plantejaments i objectius d’una història universal de la cartografia, Barcelona 2001, pp. 71-90; S. Gentile, Umanesimo e cartografia: Tolomeo nel secolo XV, in La cartografia europea tra primo Rinascimento e fine dell’Illuminismo, a cura di D. Ramada Curto - A. Cattaneo - A. Ferrand Almeida, Firenze 2003, pp. 3-18; P.O. Kristeller, Iter Italicum, V, p. 274.

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