Sulla cronaca genovese de Il Giornale sono comparsi una serie di attacchi concentrici sul libro di Ruggero Marino in una vera e propria adunata da "arrivano i nostri".
Questo articolo è stato scritto mesi fa in risposta ad una intera pagina di articoli, a comiciare da quello del giornalista Rino Di Stefano, che aveva aperto la polemica (che si era trascinata anche nelle "Lettere al Direttore"), contro il libro di Ruggero Marino "Cristoforo Colombo l'ultimo dei Templari". L'autore aveva replicato da tempo, come era stato espressamente invitato a fare. Ma a distanza di mesi, forse per questioni di lunghezza, la risposta non ha visto la luce. Per cui riproponiamo integralmente il testo che, punto per punto, confutava o replicava alle affermazioni del redattore, di Aldo Agosto, Gabriella Airaldi e Dario G. Martini.
Tratto da Liberal n. 34 marzo/aprile 2006
di Franco Cardini
Non avevo e non ho alcuna intenzione di "stroncare" il libro di Marino. Le "stroncature" non mi piacciono e non ne faccio. Semmai, se un libro non mi piace o non mi convince, non lo recensisco ed evito di scriverne. Ma Ruggero Marino, che già in passato mi chiese una sua prefazione a un suo libro su Cristoforo Colombo, ha molto insistito con gli amici di "Liberal" affinché io recensissi anche il suo ultimo libro: era evidente che non ne avevo appunto alcuna voglia: non amo scrivere non dico "stroncature", ma nemmeno recensioni anche solo limitative dei libri che non mi piacciono, o non m'interessano, o non mi persuadono. Preferisco recensire quello che mi è piaciuto e di cui posso dir bene. So perfettamente che tale atteggiamento è, se non eccezionale, quanto meno minoritario fra i recensori: ma io sono fatto così. Avrei volentieri ignorato il suo libro, dal momento che non avrei potuto dirne bene. Ma egli è arrivato a dichiarare - mi dicono gli amici della redazione - che gli sarebbe andata bene anche una recensione negativa, purché ne scrivessi. Il che poteva significare solo due cose: o una sconfinata fiducia nel mio parere e una disposizione ad accettarlo qualunque fosse, al contrario di quanto poi ha fatto; oppure una pervicace volontà di farsi comunque pubblicità, strumentalizzando una recensione di una firma a suo avviso in qualche modo influente ed autorevole (applicando quindi un antico principio mediatico: parlate pure male di me, a patto che ne parliate, tanto più che con il tempo la qualità della menzione si dimentica, ma il suo ricordo permane). Se è così, mi sono lasciato strumentalizzare; e so di fare ancora una volta il suo gioco, rispondendo ad una replica che francamente non meriterebbe risposta né per la qualità degli argomenti usati, né per il tono. E' lui ad avermi ripetutamente cercato, non io lui; è lui ad aver usato in passato il mio nome per sostenere che vi sono storici che lo hanno preso in considerazione (e lamentando che altri non lo hanno fatto). Insomma dovrebbe essermi comunque riconoscente, per la disponibilità e per l'impegno che gli ho dedicato: ho ben altro da leggere che non le sue cose. Viceversa, il piglio risentito della sua replica (che si atteggia appunto a "recensione della recensione", con tanto di delusione per la superficialità del recensore) dimostra ch'egli non ha per nulla compreso lo spirito del mio scritto. Non gli rispondo a proposito delle sue insinuazioni sul lavoro dei docenti universitari, che sfrutterebbero le ricerche degli allievi eccetera. Queste sono chiacchiere indecorose, che non mi abbasso a confutare. Quanto alla "razza padrona" baronale, se mai è esistita (ma oggi non esiste più), io non vi ho mai appartenuto: per indole, e per scelta, ho sempre battuto altre strade. A ogni modo, in ordine a quanto sostiene, preciso quanto segue:
Ho letto anche con divertimento la stroncatura di Franco Cardini sul mio libro "Cristoforo Colombo l'ultimo dei Templari" (Sperling & Kupfer Rai Eri). Perché di stroncatura si tratta. Ma l'ho riletta più volte, soprattutto, con una profonda delusione per il tipo di argomentazioni scelte. A fronte di un lavoro di circa 350 pagine, di cui non si affrontano mai le tesi di fondo e quando lo si fa lo si fa di sfuggita e, mi si perdoni, con fumantina superficialità.
Tratto da Liberal pp. 128-135
Un giorno o l’altro mi deciderò a scrivere un libro autobiografico-professionale sul mio lavoro: e, parafrasando il capolavoro del grande Lévi-Strauss, lo chiamerò Tristi storici. In realtà guadagniamo poco ma, quando facciamo le nostre cose con serietà, con passione e un po' di humor, ci divertiamo un sacco, impariamo tante belle cose, giriamo il mondo con la scusa dei congressi internazionali e insomma - beghe accademiche a parte - i più intelligenti fra noi sono contenti di quel che fanno. Salvo per una cosa: soprattutto in Italia. Unici tra i professionisti (insieme forse con i poeti), non siamo protetti da alcuna «esclusiva». Sarà anche giusto, ma è penoso. Mi spiego meglio. Ricevo di continuo manoscritti da leggere e vengo assalito dappertutto (anche in treno e al ristorante), da giornalisti, ragionieri, penalisti, odontoiatri, stagnari e ciabattini: tutti hanno nel cassetto un dotto saggio storico da farmi leggere e da pubblicare, tutti se la prendono - mentre si rivolgono a uno storico «accademico» magari pessimo, ma pur sempre tale - con gli storici appunto «accademici», che non hanno mai capito questo o hanno sempre nascosto per loro loschi fini la verità su quest'altro. Tali solerti, entusiasti e perspicaci amateurs d'histoire (che spesso, nel loro prezioso cassetto, conservano anche delle belle poesie...) sono convinti d'aver capito tutto su questo o d'essere in grado di svelare il Mistero su quest'altro. Il guaio è (che io e i miei colleghi non siamo in grado di render loro la pariglia. Perché se io confidassi a ciascuno di loro di aver scritto un dotto e risolutivo saggio sulla tecnica della comunicazione nell'era dell'informatica, sulle problematiche della partita doppia relativa ai rendiconti fiscali, sulla genesi della penalistica francese durante la Terza Repubblica, sulla patologia dei premolari superiori nonché sulle nobili arti del riparar tubature o calzature, sarei giustamente trattato da illuso, da velleitario, da presuntuoso, da incompetente maneggione e pasticcione. Perché io capisco perfettamente che tutti i loro mestieri sono complessi e che non basta una vita interamente dedicata a ciascuno di essi per farli davvero bene: ma loro si rifiutano coralmente di pensar la medesima cosa del mio. Per esser buoni storici, basta ricordarsi un po' di Bignami, aver acchiappato qualche idea qua e là, aver letto o anche solo orecchiato un po' di libri qua e là, magari essere abbonati al Giornale dei Misteri, et voilà...