Era il 12 ottobre 1492 quando Cristoforo Colombo sulle tre caravelle approdava nell’isola nelle Bahamas che battezzò San Salvador. Quella spedizione nelle Americhe nasconde aspetti affascinanti su cui la storiografia scolastica non si sofferma.
Sul punto di naufragare a causa di una tempesta al ritorno dal primo viaggio nel Nuovo Mondo, il 14 febbraio 1493, Cristoforo Colombo scrive su una pergamena, "con la brevità che il tempo richiedeva, come lasciò le terre che aveva scoperto e in quanti giorni e con quale itinerario le aveva raggiunte.
La scoperta dell'America ha cambiato il corso del mondo. La narrazione si concentra spesso sugli uomini, ma dietro il viaggio di Colombo ci sono donne il cui contributo fu fondamentale.
Cristoforo Colombo è un personaggio che ha attraversato i libri di storia di ogni singolo studente in tutto il mondo e allo stesso modo ha attraversato l’immaginario collettivo forse più di chiunque altro. Attraverso i secoli, le gesta delle sue imprese hanno solleticato la fantasia di mille scrittori, studiosi e pseudo scrittori, che lo hanno descritto in mille modi, dando diverse versioni a cominciare dal luogo dove si pensa sia nato.
Francisco de Bobadilla è uno sconosciuto comandante dell'ordine di Calatrava, di cui era Gran Maestro Ferdinando d’Aragona, che giocò un ruolo centrale nella conquista e nella colonizzazione del Nuovo Mondo sotto gli ordini dei Re Cattolici, che lo mandarono a Santo Domingo per indagare sui fratelli Colombo sull'isola di Hispaniola, l’attuale Haiti e Repubblica Dominicana.
Mentre qualcuno celebra e altri maledicono il giorno della supposta “scoperta” dell’America vale la pena di conoscere proprio in occasione del 12 ottobre, che commemora quella data fatidica, quale fu il destino del navigatore, a dispetto dei suoi quattro viaggi con i quali cambiò il cammino del mondo.
Cristoforo Colombo morì il 20 maggio 1506 – si dice all'età di 54 anni – a Valladolid, allora città della Corona di Castiglia. La causa della morte di Cristoforo Colombo fu, presumibilmente, dovuta a complicazioni derivate dalla gotta o da artriti sofferte per anni. Dopo la sua morte, il suo corpo fu trattato con un processo di descarnazione , cosa comune all'epoca: tutta la carne veniva rimossa dalle ossa per una migliore conservazione del cadavere.
l re e i cortigiani erano lontani da Valladolid. I francescani del vicino convento vegliavano su di lui. Praticamente nessuno sapeva della sua morte. Colombo era stato, tra il 1475 e il 1506, il precursore di un'epoca di coraggiosi navigatori scopritori e di ossessioni scientifiche.
«Colombo partì da Palos senza sapere dove andava, quando arrivò non sapeva dove fosse e quando tornò non poteva dire dove fosse stato; ed è stato tre volte». Questa l’idiozia di fondo che accompagna da sempre la “scoperta dell’America”e i viaggi di Cristoforo Colombo.
Il 17 aprile del 1492 si firmavano fra Cristoforo Colombo e i re di Spagna, Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, le “Capitolazioni di Santa Fé". Era l’accordo finalmente raggiunto per varare la spedizione del 3 agosto 1492 e il documento con il quale si concedeva a Colombo tutto quanto aveva richiesto.
Viene dalla Spagna un documento, che appare per due motivi rivelatore e sensazionale. In fondo a destra dello stemma che pubblichiamo si può ancora vedere un ulteriore spazio araldico di tre colori, che rappresenta lo stemma di famiglia di Cristoforo Colombo. Già questo particolare potrebbe dimostrare che Colombo non era un “signor nessuno”, come vorrebbe la tradizione.
La cappella "Molino dei 14 Reyes Incas" si trova nella Casa-Hacienda Tres Molinos nel distretto di San Cristobal de Acomayo, Cuzco. Qesta cappella, dove riposano i resti della famiglia Escalante, è caratterizzata da una serie di murales a tema incaici risalenti al XIX secolo, attribuiti a Don Taddeo Escalante, pittore di Acomayo.
Nell'ordine la firma di Colombo in una nostra ricostruzione grafica, la tetraktis di Pitagora e una versione della tetraktis che rimanda al cosmo, all'uovo filosofale (l'uovo di Colombo?) e all'oro dei saggi.
Un predestinato, un esperto navigatore cosciente del suo approdo nel Nuovo Mondo o un folle visionario; Cristoforo Colombo (Cristóbal per gli spagnoli castigliani) per decenni rimane ancora sospeso tra questi estremi. Ragazzo precoce, a 14 anni intraprende una intensa carriera di navigazione commerciale che lo porterà a frequentare tutti i maggiori porti d’Europa. Del 1479 è il suo primo soggiorno in Portogallo, a Lisbona. L’anno successivo, dopo un viaggio nei mari del nord sposa la nobile Filipa Moniz Perestrello, figlia di Bartolomeo Perestrello, navigatore ed esploratore di origini italiane, noto per aver scoperto l’isola di Porto Santo, appartenente all’arcipelago di Madera ed esserne stato governatore.
La scoperta dell'America va anticipata di almeno un anno rispetto alla tradizionale data del 12 ottobre 1492. Con ogni probabilità Cristoforo Colombo sbarcò nel Nuovo Mondo quanto meno nel 1491, quando ancora regnava papa Innocenzo VIII, al secolo il genovese Giovanni Battista Cybo, che morì il 25 luglio 1492. E' quanto ipotizza la nuova ricostruzione compiuta dal giornalista, scrittore e storico Ruggero Marino che ormai da più di trent'anni si dedica agli studi su Cristoforo Colombo, come testimoniano i suoi quattro libri sull'argomento ed il suo sito www.ruggeromarino-cristoforocolombo.com
Per la cronaca, a contendersi i natali del più grande navigatore di tutti i tempi o per lo meno il più leggendario, sono decine di paesi e città: in Liguria, oltre a Genova, abbiamo Savona e Cogoleto, poi ci sono anche Chiusanico, Cuccaro Monferrato, Piacenza, Bettola e Terrarossa di Mocònes, Sanluri (Sardegna), senza dimenticare Calvi in Corsica e poi Spagna, Portogallo e, addirittura, Polonia.
Le spoglie dell’Ammiraglio sono state riesumate nel 2003, insieme a quelle del figlio Hernando, dal sepolcro della cattedrale di Siviglia e al contempo sono state recuperate quelle di Diego Colon, il fratello di Colombo. Ma c’è un ma. La contesa, infatti, non si ferma: la Repubblica Dominicana sostiene invece che il navigatore riposi nella Cattedrale di Santo Domingo, in un’urna ritrovata nel 1877 dove si legge la scritta “Cristoforo Colombo”.
Arbol genealogico de los actuales herederos de Cristobal Colon
Il Cordovan Hernando Colón è uno di quei tipi affascinanti del Rinascimento spagnolo. Figlio di Cristoforo Colombo e il cordovese Beatriz Enríquez de Arana, è cresciuto a Valladolid, nella corte, e mantenuto un rapporto unico con l'imperatore Carlos I. La sua figura, di grande bibliofilo, non ha mai smesso di interessare e ora torna in libreria per mano dello scrittore Manuel J. Valdivieso Fontán (Siviglia, 1965). L'autore lo prende come personaggio protagonista del suo nuovo romanzo , intitolato 'Hernando Colon, il bibliofilo che ha affrontato l'imperatore' e ha appena rilasciato il sigilloAlmuzara . Valdivieso spiega che dietro a questo romanzo ci sono otto anni di intense ricerche e lo sforzo di approfondire attraverso una favola letteraria i meccanismi del potere in Spagna dell'epoca, che gravitava attorno alla conquista dell'America e ai grandi viaggi dell'inizio. 16 ° secolo.
Manuel J. Valdivieso spiega che " a chiunque abbia una certa cultura il nome di Hernando Colón è familiare a Siviglia, dove la Biblioteca colombiana ha un peso importante". Ma fa notare che la decisione di indagare sul personaggio e portarlo nella narrazione è nata in un raduno di caffè, in cui il professor Pablo Emilio Pérez-Mallaína ha spiegato che Hernando non ha mai smesso di essere visto come un nuovo arrivato dalle grandi famiglie sivigliane del tempo. «Quel pensiero ha preso piede in me, perché ho visto ritratta la Siviglia del mio tempo, che non ha cessato di essere una vetrina per le sue oligarchie provinciali, alle quali oggi si aggiungono i politici ”, spiega il romanziere. "Inoltre, questo mi ha portato a chiedermi se, in sostanza, i potenti si siano comportati nel 1500 in modo molto diverso rispetto all'anno 2000 ", aggiunge.
Da quella curiosità è nato questo romanzo, scritto in prima persona e in cui il personaggio di Hernando stesso ritrae la sua vita, appassionata. "In un certo senso è un 'road movie' del Rinascimento , poiché Hernando Colón all'epoca girò tutta l'Europa ", spiega Valdivieso. Nel romanzo compare il profilo bibliofilo del figlio minore dell'Ammiraglio, anche se Valdivieso ricorda che era molto di più. " Hernando divenne famoso come uno dei grandi cosmografi del suo tempo e ebbe un ruolo di primo piano nelle arti e nella scienza", spiega lo scrittore. Il lavoro affronta anche l' impegno principale della sua vita, che è stato quello di difendere il lavoro dei Colóne il suo lignaggio , che era nuovo e quindi visto come un nuovo inizio, ei problemi che questo comportava con l'imperatore Carlo I , che, secondo Valdivieso, "lo aveva come amico ma gli aveva anche tagliato le ali " quando i loro interessi si incrociavano . Secondo il romanziere, Hernando Colón era "un uomo con talenti e difetti, con molte sfumature, testardo e che allo stesso tempo attrae e respinge". Attraverso le pagine del romanzo compaiono città come Córdoba - dove è nato e da cui è stato portato via quando aveva quattro anni - o Valladolid , dove si è formato. Anche Siviglia , una grande metropoli del commercio con le Indie in cui si stabilì nella sua vita adulta, o altre importanti nella vita di Hernando Colón come Roma . E i molti scopi che il personaggio ha affrontato durante la sua vita sono collegati, come creare un'accademia di matematica o fare una descrizione geografica del regno. Ha fallito in molti dei suoi progetti , come nelle sue cause legali con la Corona , ma, come dice Valdivieso, "fondamentalmente il fatto cheil suo ricordo è ancora vivo , soprattutto quello del fratello maggiore Diego, è una dimostrazione del suo trionfo e che ha lasciato un potente soffio di vita ", qualcosa che è palpabile in questo romanzo in cui la sua voce letteraria è ricreato Hernando. La sua avventura vitale e intellettuale attraverso più di 500 pagine ricche di storia, aneddoti e riflessioni.
Due di Cordoba: Beatriz Enríquez e Pérez de Oliva
Promossa dall’Associazione culturale Anassilaos congiuntamente con lo Spazio Open, con il patrocinio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, si è tenuta da remoto la conversazione sul tema “La Leggenda nera di Cristoforo Colombo, il Dossier Bobadilla” , del Dott. Fabio Arichetta, socio della Deputazione di Storia patria per la Calabria e della Società italiana di Storia dell’Età moderna, disponibile sul sito facebook di anassilaos e su You tube. La distruzione delle statue di Cristoforo Colombo, avvenuta negli ultimi tempi, non costituisce certamente una sorpresa, perché da qualche tempo la figura dell’esploratore è diventato un simbolo negativo. Siamo dinanzi ad una pericolosa deriva, una visione manichea della storia, combattuta attraverso la distruzione delle statue, gesti avallati dal politicamente corretto, che diviene a tutti gli effetti atto contro la ragione. Ma da dove nasce la leggenda nera su Cristoforo Colombo? Nasce dal dossier redatto da Francisco Bobadilla che a seguito delle notizie che giungevano dalla nuova colonia Hispaniola, aggravate dalla presunta arroganza e cattiva gestione di Colombo e dalle ribellioni e dagl’intrighi orditi dai nemici del genovese, ispirati dal Fonseca, vescovo di Burgos, costrinsero Ferdinando e Isabella di Castiglia a nominare un inquisitore con ampia autorità, che riferisse, con precisione di elementi, sulle presunte responsabilità dei fratelli Colombo. Francisco Bobadilla fu nominato il 26 maggio 1499 governatore generale, dell’isola Spagnola, in sostituzione di Cristoforo Colombo, che fu arrestato e incarcerato.
Dietro questa realtà si celava in effetti il conflitto fra il potere ecclesiastico e quello civile-militare che con attenzione e astuzia alimentò le proteste della maggior parte della popolazione accusando Colombo di connivenza con i Genovesi (il fatto non si può accertare, poiché il documento del processo scomparve). Innanzi ai reali Cristoforo e Bartolomeo Colombo si difesero con successo accusando a loro volta il Bobadilla, che fu sostituito da Nicolás de Ovando nel 1501. La chiave di lettura della complessa vicenda risiede forse dalle Capitolazioni di Santa Fé del 17 Aprile 1492 con le quali Colombo aveva ottenuto dalla Corona delle concessioni considerata esorbitanti per il tempo. La Corona non voleva dare a Colombo quanto promesso e a tale scopo inviò nella nuova colonia Bobadilla, affinché ne prendesse il posto. Il dossier Bobadilla è dunque la fonte che alimentò la leggenda nera, un dossier che va considerato con il beneficio del dubbio, perché in buona sostanza servì solamente alla rimozione di Colombo dal momento che tutte le accuse furono archiviate anche se in qualche misura risulta che lo stesso navigatore fu interessato al commercio di schiavi, ahimè fenomeno abbastanza diffuso a quei tempi anche nel Mediterraneo che va comunque contestualizzato nello spirito triste di quei tempi.
Prima di presentare il suo progetto ai re Isabella e Ferdinando Colombo incontrò i grandi di Spagna. Il primo fu don Enrique de Guzman, duca di Medinasidonia, il cui cognome rinvia probabilmente ad ascendenze musulmane. Si recò poi da Don Luis de la Cerda, duca di Medinaceli, anche lui con il Medina nel cognome. Che accettò di finanziare la spedizione con tre o quattro caravelle, purché ci fosse stato il beneplacito delle teste coronate. Ma Isabella aveva ormai ratificato l’esclusiva e il controllo totale di iniziative simili con condizioni, licenze e canoni. In attesa di essere ricevuto a corte Cristoforo Colombo visse due anni pare mantenuto dal Medinaceli discutendo il progetto, finché fu finalmente chiamato da Isabella- In più di 500 anni nessuno si è mai domandato come potesse un umile e avido marinaretto aprire tutte le porte dell’intera Europa: Portogallo, Spagna, si accingeva ad andare dal re di Francia, il fratello Bartolomeo veniva ricevuto dal re d’Inghilterra. A quei tempi operazioni impossibili se non si fosse già qualcuno o inviato da qualcuno. Forse un Papa? La fakenews non si arresta, la menzogna impera, la verità è occultata come fanno gli imbecilli e gli ignoranti con la statua di Colombo.
Fermo Biblioteca civica Romolo Spezioli
Pubblichiamo un ritratto di Colombo mai conosciuto ma che assume una importanza fondamentale in quanto fa parte del complesso di ritratti donati alla Città di Fermo dal cardinale genovese Domenico Pinelli nel 1582. Si ricorda che Francesco Pinelli, nipote di papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, era stato fra i massimi finanziatori e prestatori del denaro occorrente a Cristoforo Colombo, per varare la spedizione del 1492. Domenico Pinelli invece è stato vescovo di Fermo dal 1577 al 1584 e, per l’ottimo ricordo che aveva lasciato di sé, aveva ottenuto anche cittadinanza e titolo nobiliare fermani. Questa donazione è composta di copie eseguite in ambiente fiorentino, in particolare l'originale di quella relativa a Colombo sarebbe stata realizzata a Roma all'inizio del 500 ed è conservata, oggi, al Museo di Como. Date quanto mai vicine ai trascorsi del navigatore.
Alberto e Silvia Silvestro, in un articolo dei Quaderni dell’Archivio arcivescovile di Fermo (il volume 4, n. 7 del gennaio 1989), riferiscono che il Pinelli aveva ricevuto a sua volta questi ritratti dal Cardinale Alessandro De’ Medici. Anche la banca dei Medici fu tra i finanziatori del primo viaggio mentre Lorenzo il Magnifico era consuocero di papa Innocenzo. C’è memoria di una sorta di cartiglio in legno con la scritta “Donazione Domenico Pinelli” che sarebbe stata affissa a muro sotto i ritratti donati, ma che ad oggi non si rinviene. La Biblioteca conserva invece una lettera dei Priori che, datata al gennaio del 1585, ringraziano l’ex vescovo fermano per il dono dei ritratti.
Rispetto al legame tra la famiglia Pinelli e le vicende colombiane, può essere d’interesse il fatto che, ancora nel 1823, un Pinelli (Agostino, nome per altro di tradizione di famiglia), risulta tra gli abbonati al Codice diplomatico Colombo americano (come risulta dal volume pubblicato a Genova, Tip. Ponthenier, 1823). L’importanza delle testimonianze colombiane che Fermo conserva è data anche da una copia della famosa lettera che Colombo scrisse al ritorno dal primo viaggio nel 1493 annunciando la “scoperta”. Da notare anche l’importanza della data di nascita di Colombo riferita al 1445 mentre oggi ci si è accordati, ma molti dissentono, al 1451.
La medaglistica nel Rinascimento era riservata a personaggi di rango e nobili o ad eventi particolari. Una corrente artistica di rilievo si sviluppò nella Firenze medicea. Sorprende che in questa galleria si trovi un ritratto di Cristoforo Colombo, che potrebbe essere anche la prima immagine esistente del navigatore. Che ci fa un umile marinaio in questo prestigioso consesso? A meno che il navigatore non abbia nulla che vedere con Domenico e Susanna Fontanarossa, i presunti genitori genovesi di cui non si trova nemmeno traccia negli scritti dell’ammiraglio, pur così attaccato agli affetti familiari come dimostra il rapporto con i fratelli e con i figli.
La scrittura di Cristoforo Colombo colpisce per vivacità e ritmo sorprendenti, considerata l’età dell’autore, 51 anni nel 1502, data della lettera inviata ai molto nobili Signori Protettori delle Compere del molto Magnifico Ufficio di San Giorgio in Genova; e, d’altra parte, inconsueti rispetto allo stile prevalente dell’epoca, prettamente calligrafico. Colombo incarna la modernità del nuovo secolo, anticipandone, anche nella scrittura, la spinta alla personalizzazione.
L’analisi grafologica rivela una mente acuta, dotata di intuizione e creatività, un’intelligenza raffinata, incline alla curiosità e allo spirito di osservazione, tutt’altro che pacata. Il pensiero, originale, è sempre aperto verso le novità e, nel contempo, complicato dall’ipersensibilità.
La figura emergente dallo studio si caratterizza per indipendenza e autonomia, per forte tensione interiore bilanciata da autocontrollo: l’animo di Cristoforo Colombo si consuma nella contrapposizione di forza d’urto e vulnerabilità. La sua mente è in costante sollecitazione per dar vita a nuovi progetti, audaci e indifferenti al pericolo. Fanno riflettere il suo gusto per i contrasti, l’impazienza e la tendenza alla ribellione, ben visibili nel moto grafico ambivalente e teso: quanta pena per Colombo nel far buon viso a tutto ciò che impediva la realizzazione dei suoi scopi!
Seducente e ardito, delicato e fascinoso, l’Ammiraglio genovese fu uomo intrigante sul versante amoroso; tuttavia, non si può non pensare a quanto difficile fosse per le donne della sua vita il compito di fronteggiare le sue testardaggini e padroneggiare i suoi bruschi cambiamenti d’umore.
La scrittura evidenzia, specie nei tratti finali e accessori delle lettere, alcuni gesti inconsci, sintomatici del tentativo di dare soluzione alle contraddizioni interne di uno spirito messo costantemente alla prova dalla sua stessa natura.
In sintesi: un temperamento reattivo, passionale e deciso, introverso e imprevedibile, fragile e inarrestabile. Un uomo devoto con una profonda fede nel Divino e nel futuro, che lo ha sostenuto nella sfida con il mondo, ma ancor prima nel conflitto con se stesso.
Definendo Colombo “un uomo di indubbio genio”, una lunga biografia a lui dedicata nell’enciclopedia cattolica sottolineò che l’esploratore era “un navigatore audace ed esperto, dotato di una profonda conoscenza dei principi della cosmologia e dell’astronomia, un uomo dalle idee originali, dalla mente fertile e dalla tenacia necessaria per mettere in pratica i suoi arditi programmi”, inoltre “il suo successo nel superare gli ostacoli che si frapponevano fra lui e le spedizioni e il superamento delle difficoltà nel corso dei viaggi hanno fatto di lui un uomo dalle inusuali risorse e dall’incrollabile determinazione”. Cristoforo Colombo fu certamente un uomo della Provvidenza divina, dato ch’essa si servì di lui per aprire il cielo per far entrare nel numero dei beati questo servo di Dio, che fu membro zelante del terzo ordine francescano. Per impulso del Cavaliere Giuseppe Baldi, nelle cui mani si trovano le catene in cui Colombo fu fatto riportare in Spagna per ordine del ministro spagnolo Bobadilla, più di 600 vescovi della Chiesa rivolsero al S. Padre la preghiera di dar ordine perché s’inizi il processo di beatificazione di Colombo. Sono anche già state esaudite in modo che ha del miracoloso alcune preghiere che gli furono rivolte. Ricordiamo un fatto avvenuto nel 1885.
Un ragazzo di Cannes era stato morso da un cane e ne aveva avuto delle conseguenze fisiche così terribili da far temere il peggio. Medici e medicine non poterono aiutarlo. Dopo cinque anni di sofferenze atroci, la madre del ragazzo, che aveva una grande fiducia in Cristoforo Colombo, implorò caldamente il suo aiuto, ed iniziò una novena in suo onore. Alla fine del nono giorno, la sorella del ragazzo, di notte, vide improvvisamente che la stanza del malato era illuminata a giorno; in mezzo a questa luce scorse un uomo alto e forte, in abito bianco, con una cintura violetta, che disse alla ragazza spaventata: “Non aver paura! Sono Cristoforo Colombo e vengo per guarire tuo fratello; alzati e togliti la coperta!”. Poi l’apparizione fece sopra le ferite il segno della S. Croce e scomparve. Il corpo del ragazzo, che era stato così misero e deforme, tutto ad un tratto fu sano e bello, e la biancheria sporca di sangue e di pus, apparve come nuova o appena lavata. Questa è la terza guarigione miracolosa avvenuta.
Deluso e malato, trascorse i successivi due anni a terra. Morì a Valladolid il 20 maggio 1506. Secondo il figlio, Diego, il corpo venne sepolto in quella città, quindi rimosso nel 1541 e tumulato nella cattedrale di Santo Domingo. Quando la Francia occupò Haiti nel 1795, i resti vennero portati a Cuba. Quando nel 1898 gli Stati Uniti liberarono la colonia al termine della guerra ispano – americana, resti che nessuno poteva affermare con certezza fossero quelli di Cristoforo Colombo trovarono finalmente riposo a Siviglia.
Definendo Colombo “un uomo di indubbio genio”, una lunga biografia a lui dedicata nell’enciclopedia cattolica sottolineò che l’esploratore era “un navigatore audace ed esperto, dotato di una profonda conoscenza dei principi della cosmologia e dell’astronomia, un uomo dalle idee originali, dalla mente fertile e dalla tenacia necessaria per mettere in pratica i suoi arditi programmi”, inoltre “il suo successo nel superare gli ostacoli che si frapponevano fra lui e le spedizioni e il superamento delle difficoltà nel corso dei viaggi hanno fatto di lui un uomo dalle inusuali risorse e dall’incrollabile determinazione”.
Cristoforo Colombo fu certamente un uomo della Provvidenza divina, dato ch’essa si servì di lui per aprire il cielo per far entrare nel numero dei beati questo servo di Dio, che fu membro zelante del terzo ordine francescano. Per impulso del Cavaliere Giuseppe Baldi, nelle cui mani si trovano le catene in cui Colombo fu fatto riportare in Spagna per ordine del ministro spagnolo Bobadilla, più di 600 vescovi della Chiesa rivolsero al S. Padre la preghiera di dar ordine perché s’inizi il processo di beatificazione di Colombo. Sono anche già state esaudite in modo che ha del miracoloso alcune preghiere che gli furono rivolte. Ricordiamo un fatto avvenuto nel 1885.
Un ragazzo di Cannes era stato morso da un cane e ne aveva avuto delle conseguenze fisiche così terribili da far temere il peggio. Medici e medicine non poterono aiutarlo. Dopo cinque anni di sofferenze atroci, la madre del ragazzo, che aveva una grande fiducia in Cristoforo Colombo, implorò caldamente il suo aiuto, ed iniziò una novena in suo onore. Alla fine del nono giorno, la sorella del ragazzo, di notte, vide improvvisamente che la stanza del malato era illuminata a giorno; in mezzo a questa luce scorse un uomo alto e forte, in abito bianco, con una cintura violetta, che disse alla ragazza spaventata: “Non aver paura! Sono Cristoforo Colombo e vengo per guarire tuo fratello; alzati e togliti la coperta!”. Poi l’apparizione fece sopra le ferite il segno della S. Croce e scomparve. Il corpo del ragazzo, che era stato così misero e deforme, tutto ad un tratto fu sano e bello, e la biancheria sporca di sangue e di pus, apparve come nuova o appena lavata. Questa è la terza guarigione miracolosa avvenuta.
ROMA – I predoni “Carib” avrebbero invaso i Caraibi del nord nell’800 d.C., centinaia di anni prima, dunque, di quanto si pensasse. Secondo un nuovo studio del Florida Museum of Natural History, ciò aggiungerebbe credibilità a quanto affermato da Cristoforo Colombo, secondo cui quando arrivò nel 1492, i “predoni cannibali” vivevano già sulle isole. Per anni gli archelogi hanno contestato quanto dichiarato da Colombo, ritenevano che non ci fossero prove che la comunità Carib si fosse mai avventurata più a nord della Guadalupa. Gli esperti del Florida Museum of Natural History hanno esaminato i teschi dei primi abitanti dei Caraibi e tra loro hanno scoperto che alcuni appartenevano ai Carib, dimostrando che Colombo aveva ragione.
Pur essendo un navigatore esperto, Colombo non conosceva gli uragani nei Caraibi, che anno caratteristiche molto diverse da quelle delle tempeste che aveva affrontato molte volte nei suoi viaggi. Nelle quattro spedizioni che fece nel Nuovo Mondo - tra il 1492 e il 1504 –più di una volta dovette fronteggiare gli uragani.
Cristoforo Colombo ai comandi di una flotta di 2 caravelle - il Capitano e il Santiago - e 2 navi - la Gallega e il Biscaglia - iniziò il suo quarto viaggio lasciando Cadice il 9 maggio 1502. Dopo essersi fermato alle Isole Canarie, il 25 di quel mese lasciò il porto di Maspalomas, a sud di Gran Canaria, e salpò per le Antille, aiutato, come nei viaggi precedenti, dagli alisei. Il 29 giugno la flotta arrivò a Santo Domingo, sull'isola di Hispaniola. I giorni precedenti, navigando nelle acque dei Caraibi, Columbo si rese conto che si stava avvicinando un uragano. Sapeva dai Taínos che si trattava di un fenomeno naturale particolarmente pericoloso in grado di manifestarsi nel cielo e nel mare.
I nativi usavano il nome fonetico Jurakan - che i conquistatori spagnoli trasformarono nella parola "uragano" - per riferirsi non solo ai cicloni tropicali che si verificano in quella regione, ma a qualsiasi tempesta. Nella loro mitologia, questi violenti fenomeni atmosferici erano creati e controllati dalla dea Guabancex, uno dei modi per identificare la divinità del caos Zeni.
Quel 29 giugno l'ammiraglio cercò rifugio a Santo Domingo. Il neo nominato governatore dell'isola, Nicolás de Ovando y Cáceres (1460-1511) gli proibì invece di entrare nel porto, nonostante Colombo gli avesse detto che si stava avvicinando un pericoloso fortunale. Il governatore era preso in quei giorni dai preparativi di una flotta di 30 navi, che sarebbero partite per la Spagna, cariche di merci preziose e di schiavi. Non solo impedì a Colombo e ai suoi uomini di rifugiarsi nella colonia, ma fu sordo all'avvertimento dell'ammiraglio. Data la situazione, e dopo aver osservato che l'uragano sarebbe andato a nord dell'isola, Colombo prese il comando della flotta dirigendosi verso la parte occidentale, in cerca di un riparo dove poter proteggersi dall’ uragano e salvandosi con i suoi uomini. Sebbene la furia dei venti dell'uragano e le grandi onde arrivarono a liberare le navi dall'ancoraggio riuscirono ugualmente a resistere riuscendo infine a raggiungere una baia.
Molto più sfortunata la flotta che lo stesso giorno 29 Nicolás de Ovando sollecitò a salpare. Santo Domingo fu devastata e l'uragano causò l'affondamento di 25 delle 30 navi , restituendone 4 molto danneggiate al porto. Solo una, l' Ago , riuscì a raggiungere la Spagna. In quel triste episodio morirono oltre 500 marinai spagnoli e un numero indeterminato di schiavi. La competenza e l'intelligenza di Cristoforo Colombo hanno impedito a quel numero di vittime di essere ancora maggiore.
Luis de Santángel Bessant (Valencia, 1435 – Alcalá de Henares, 1498) è stato un politico spagnolo, ministro delle finanze durante il regno di Isabella di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona, è considerato uno dei principali fautori della spedizione di Cristoforo Colombo nel 1492. Nato a Valencia probabilmente nel 1435, da una famiglia originariamente ebraica, da Luis de Santángel e Doña Brianda, poco si sa della sua vita prima del 1486, quando Cristoforo Colombo si presentò ai monarchi spagnoli con la stravagante idea di raggiungere le Indie navigando verso Ovest. La corona spagnola, allora impegnata a combattere i mori nel sud della penisola iberica, rifiutò di appoggiarlo.
Madrid, 19 set (EFE) .- C'è stato un lungo conflitto che ha visto protagonisti il re Fernando il Cattolico in un primo momento e poi l'imperatore Carlo V e i discendenti di Cristoforo Colombo. Più di tremila seicento pagine in seguito alla controversia che ha visto la corona spagnola disputare con i due immediati eredi di Colombo: suo figlio Diego e suo nipote Luis. L'opera, a cura di Anunciada Colòn, è stata ora pubblicata con il patrocinio della Fondazione Mapfre e la collaborazione iniziale del Consiglio superiore per la ricerca scientifica (CSIC) e fornisce dati affascinanti su un processo il cui vero antecedente è nelle storiche Capitolazioni di Santa Fé (1492), quando Isabel de Castilla e Fernando de Aragón fanno a Colón una serie di concessioni.
"I monarchi cattolici - spiega il professor Pérez-Prendes, uno specialista di diritto indiano - avevano concesso a Colon una serie di privilegi, personali e trasmissibili ai suoi eredi con un mayorazgo (testamento). Quindi quando l'ammiraglio muore, nel 1506, suo figlio Diego rivendica i diritti di suo padre ".
Fernando el Católico ascolta Diego Colón ma sa che soddisfare ciò che è stato concordato con lo scopritore significa consegnare l'America nelle mani di un uomo e in quelle di tutti i suoi discendenti generazione dopo la generazione. Per cui rivolgendosi a Diego afferma "Per amor tuo lo farei, ma non posso farlo per i tuoi figli e successori."E Diego risponde: "Signore, è giusto che io soffra pene per bambini che non so nemmeno se avrò?" Il re, abile e astuto, si libera di Diego Colón mandandolo come governatore sull'isola di Hispaniola". Ma con lui viaggia un gruppo di persone che gli renderà impossibile la vita. Cinque anni di soprusi subiti e verrà giubilato. Diego tornerà alla Corte e continua a presentare memoriali per rivendicare i suoi diritti. Ferdinando il cattolico muore nel 1516 e spetta a Carlo I di Spagna occuparsi del problema.
Nel 1520 l’ imperatore rinvia Diego a Hispaniola, dove rimane per altri tre anni e torna infine in Spagna. Quando muore, nel 1526, la sua vedova, María Álvarez de Toledo, continua la lotta (si definisce "la sfortunata Virreina") in nome del primogenito, Luis. La vicenda si conclude nel 1541: il cardinale Juan García de Loaysa propone due incarichi per risolvere la disputa. Luis accetta i titoli di Duca di Veragua, Marchese di Giamaica e Ammiraglio del Mare dell'Oceano. Doctor in History of America, Annunciata Colón de Carvajal, sorella di Cristóbal (1949), erede dei titoli, ha dichiarato che la sua motivazione a riesumare il "conflitto" era "dare la versione completa di un processo molto citato ma molto poco conosciuto ".
Tra le novità fornite dal libro, Colón de Carvajal evidenzia gli oltre duecento documenti aggiunti l'ampio memoriale della difesa colombiana le ultime due lettere che l'ammiraglio scrisse al re prima di morire e l'evidenza che il fratello di Diego, Fernando, era il grande “Deus ex machina” del processo. I due professori che hanno curato l’ opera ritengono che la Corona avrebbe dovuto essere più equa con l'eredità. Pérez-Prendes è schietto: "Le ragioni di Stato per le quali il re avrebbe dovuto infrangere la parola data avrebbero potuto essere meno meschine". Un messaggio finale per quelle nazioni, nazionalità e persino province che affermano di essere la culla del Grande Ammiraglio: "Colombo non era soggetto a nessuno dei regni che costituivano la Corona dei Re Cattolici. Era genovese e addestrato come marinaio in Portogallo". EFE
Intervista ad Edward Wielson-Lee, autore del libro ”Memoriale dei libri naufragati”
Sebbene non sia mai stato legalmente riconosciuto, Hernando ha avuto una relazione molto stretta con suo padre, ha viaggiato con lui durante il quarto e ultimo viaggio di Colombo nel Nuovo Mondo. Se Cristóbal voleva conquistare il mondo, Hernando cercò di catturarlo attraverso la creazione di una biblioteca universale che comprendesse tutti i libri, spartiti, pasquine e stampe esistenti nel mondo. Di tutte le culture, in tutte le lingue.
Ma non solo aveva questo straordinario progetto. Ha anche realizzato mappe, ricoperto cariche pubbliche, è stato un grande viaggiatore e ha scritto una biografia di suo padre che per secoli è stato l'unico riferimento che abbiamo avuto su Colombo.
La sua biblioteca è molto importante per capire quel tempo, perché scrisse ossessivamente in ciascuno dei suoi libri dove e quando li aveva acquistati e quanto li aveva pagati. La sua è una vita davvero straordinaria. Il figlio illegittimo di Cristoforo Colombo che cerca di costruire una biblioteca universale.
Non solo aveva questo straordinario progetto di costruzione di una biblioteca universale, ma era uno dei più importanti cartografi del suo tempo, ha iniziato un dizionario, ha realizzato un'enciclopedia geografica della Spagna, ha formato la più grande collezione di stampe musicali e spartiti del suo tempo e quello che si ritiene essere il primo giardino botanico del mondo. Allo stesso tempo, era una persona davvero unica che, in qualche modo, viveva - proprio come suo padre - ossessionato dal suo destino e dal suo posto nella storia.
Proprio come Christopher voleva fare il giro della Terra, Hernando voleva inglobare il mondo della conoscenza e, come suo padre, pensava che chiunque avesse completato quel grande compito avrebbe avuto un potere enorme . E non si sbagliava: come sappiamo ora l'informazione è una fonte di potere. Possiamo dire che era una specie di visionario. In realtà, penso che la loro intera biblioteca e tutti i loro cataloghi siano precursori di Google, una sorta di algoritmo per cercare di navigare nell'immenso mondo dei libri. E per fare qualcosa di utile devi essere in grado di classificarlo e dargli un ordine. Ha usato molti metodi, ma forse il più ambizioso era in effetti The Book of Epitomes: cercava di ridurre ogni libro a un piccolo riassunto e quindi rendere le ricerche di una copia particolare più efficienti e veloci. in Danimarca, presso dove è stato per 350 anni senza saperlo.
Il padre era al centro di tutto ciò che Hernando era. Probabilmente era la persona che lo conosceva meglio. Ci si può immaginare com'è vivere con qualcuno per un anno in una piccola cabina su una nave naufragata, aspettando ogni giorno che arrivi la morte. Senza dubbio, provoca una conoscenza molto particolare dell'altro. E allo stesso tempo c'era il problema dell'illegittimità, che da un lato implicava che non poteva ereditare la fortuna del padre o i suoi titoli e dall'altro gli faceva sentire il profondo bisogno di dimostrare che era degno di essere suo figlio. Presumibilmente, l'unico modo per ottenerlo era fare qualcosa che potesse emulare i risultati di suo padre e renderlo suo figlio spirituale, dal momento che non lo era davanti alla legge. In realtà quasi tutto ciò che sappiamo di Christopher viene da suo figlio. Credo che la biografia di Hernando, che è la base della storia che abbiamo conosciuta per centinaia di anni, sia quasi completamente vera, ma non è completa. Hernando era una persona molto meticolosa e il suo libro contiene molti riferimenti a documenti grazie ai quali siamo stati in grado di verificare che stava dicendo la verità.
Trascura e nasconde anche la visione che Colombo aveva di se stesso come messaggero di Dio, che è evidente durante il quarto viaggio, quando trascorsero così tanto tempo insieme, né spiega se suo padre verso la fine della sua vita aveva compreso di non aver mai raggiunto le Indie orientali, ma un nuovo continente. Ma non possiamo dimenticare il contesto in cui è stato scritto, che è estremamente emotivo: quasi 30 anni dopo la morte di Colombo e in un momento in cui la sua reputazione era stata distrutta da diversi personaggi che affermavano di essere arrivati in America prima di lui.
La biografia e la biblioteca furono ereditati da suo nipote, figlio di suo fratello Diego (il figlio legale di Cristoforo Colombo), ma andarono in un convento dove Bartolomé de Las Casas li usò per scrivere la sua famosa Storia delle Indie.Quindi furono trasferiti nella cattedrale di Siviglia, dove rimasero chiusi, perché regnava l'Inquisizione e l'idea stessa di una biblioteca così unica e diversificata era estremamente sospetta. Lì furono dimenticati e trascurati per secoli.
Oggi fanno ancora parte della cattedrale, ma puoi visitarla solo se sei accademica o per eventi specifici. Hernando è una figura affascinante e quando scrivi una biografia trascorri così tanto tempo immerso nella vita di un altro che ti senti molto vicino. Sento che lui e io abbiamo molto in comune. Ovviamente, non avrei potuto scrivere questo libro se non fossi un maniaco del libro. Con personaggi come Columbus, non è raro che molti vogliano "catturarlo". È vero che ci sono pochi documenti, ma ciò non significa che non siano convincenti. C'erano alcuni dubbi, ma ho trovato documenti che confermano la loro paternità. Quindi siamo sicuri che sia nato a Genova.
Il 12 ottobre 1492, approssimativamente a 24 gradi e 6 primi nord e 74 gradi e 29 primi ovest, la storia dell'umanità cambiava per sempre. Cristoforo Colombo era giunto all'isola di San Salvador. Non importa davvero discutere se le rotte navali per le Americhe fossero state percorse in precedenza oppure no (sicuramente sì). Da quel momento quelle rotte sarebbero rimaste sempre aperte, collegando il mondo nuovo a quello vecchio.
E il mondo nuovo costringeva gli abitanti di quello vecchio a ripensare tutto. La catalogazione del sapere ne veniva stravolta: nuovi popoli, nuove lingue, nuove piante, nuove rotte, nuovi equilibri di geopolitica tutti da creare. Di questi equilibri e di questa riorganizzazione del sapere Cristoforo Colombo (1451-1506) introiettò ben poco. Anzi si sentì profondamente «tradito» dalla sua stessa scoperta. Rivolte di indigeni e di coloni, ammutinamenti, i contrasti con i monarchi di Castiglia e di Aragona che pure lo avevano finanziato. Senza contare che di fronte alla enormità del cambiamento, da lui stesso innescato, Colombo, stremato dai viaggi, si appoggiò a idee millenaristiche e a profezie di fine dei tempi che l'ammiraglio scrisse nel suo Liber prophetiarum.
Eppure mentre Cristoforo Colombo si perdeva nelle rotte del sapere che lui stesso aveva tracciato un altro Colombo, Fernando, suo figlio (seppur illegittimo), di questo enorme cambiamento provava a tenere le fila. Le vicende di Fernando sono narrate da Edward Wilson-Lee, storico della letteratura transitato sia da Oxford sia da Cambridge, in un saggio che si legge quasi come un romanzo ed è intitolato Il catalogo dei libri naufragati (Bollati Boringhieri, pagg. 340, euro 30). Di Fernando Colombo (1488-1539) si è sempre parlato come di un estroso personaggio, un bibliofilo maniacale e un matematico di una certa bravura che si applicò al complesso - per l'epoca - calcolo della longitudine. Wilson-Lee, con un'analisi certosina di quel che resta dei quindicimila libri che componevano la Biblioteca Colombina voluta da Fernando - un investimento enorme di denaro che nessuno aveva osato prima - ripercorre le rotte intellettuali di quest'uomo, cresciuto nel culto e nell'adorazione del padre, che a partire dalla sua permanenza alla raffinata corte spagnola e passando per le esplorazioni che condusse col genitore (nel quarto viaggio nelle Americhe) intuì che era necessario un sistema nuovo per catalogare il sapere.
Fernando pensò di superare il canone librario pensato da Tommaso Parentucelli, ovvero Papa Niccolò V. Allargò la sua biblioteca ben oltre lo spazio dei testi classici od ecclesiastici. Divenne a esempio uno dei più grandi collezionisti di stampe. Inventò nuovi sistemi di catalogazione e di disposizione dei libri. Mentre lavorava a questo ambiziosissimo progetto prese contatto con un enorme numero di intellettuali e viaggiatori, dal grande umanista Pietro Martire sino ad Amerigo Vespucci, passando dai più rinomati cartografi che strappò al Portogallo per metterli al servizio della corona spagnola (fu un lavoro a metà tra l'intelligence spionistica, la corruzione e il corteggiamento culturale). Questo senza contare la sua costante corrispondenza con Albrecht Dürer, Erasmo da Rotterdam, Aldo Manuzio. Animato dal sogno rinascimentale, mutuato dalla cabala e condiviso con Pico della Mirandola, che l'uomo controllando le parole potesse diventare padrone dell'universo, si dedicò ai dizionari, allo stendere elenchi di qualunque tipo. Aveva visto il padre sconfitto dal caos del nuovo mondo, lui il caos cercò di governarlo in ogni modo. In pratica, quello che secoli dopo Borges ha sognato nella Biblioteca di Babele Fernando Colombo ha cercato di realizzarlo a Siviglia con la più vasta biblioteca privata della sua epoca. La prima con una vera mappa interna per aiutare gli studiosi. Dopo la sua morte però, nonostante un consistente lascito il progetto, forse davvero troppo avanti per i tempi è lentamente affondato. Oggi sopravvivono solo quattromila volumi e l'ordine originario è naufragato. Ma il sogno, forse addirittura più grande di quello di Colombo padre, resta. Oggi che il sapere è tutto in rete e sempre meno catalogabile ci rendiamo conto di quanto fosse importante il tentativo di Fernando. Ma tra la biblioteca perfetta e Babele, per il momento, ha vinto Babele.
Una notte del 1492. Con l’oscurità e la stanchezza di due giorni e mezzo di navigazione la guardia fu stabilitae gli uomini si tuffarono in un sonno pacifico, senza rendersi conto di quale destino aveva preparato per loro.
Erano passati cinque mesi da quando Cristoforo Colombo, i suoi ufficiali e il suo equipaggio avevano lasciato la cappella del convento di Santa María de la Rábida, a Palos de la Frontera (Huelva, Spagna) e aperte le vele della Santa Maria, Santa Clara (la Nina) e la Pinta per affrontare l’ oceano in un viaggio che avrebbe cambiato il corso della storia.
Era il 1474 quando un astronomo fiorentino, Paolo dal Pozzo Toscanelli, inviò una mappa a Colombo con l’ incitamento a navigare verso est attraverso. L'idea era quella di evangelizzare l'Estremo Oriente e la possibilità di acquisire sufficienti ricchezze per allestire una crociata con la quale recuperare Gerusalemme e il Santo Sepolcro. Quando alla fine ricevette l’ assenso del re Ferdinando d'Aragona e della regina Elisabetta I di Castiglia affrontò una nuova serie di sfide. Pochi navigatori erano disposti a rischiare la vita in ciò che percepivano come una folle assurdità e ancora meno armatori erano disposti a rischiare le loro navi.
Intorno alle 2 del mattino, il giorno di Natale, Colombo si svegliò sorpreso dal suono della forza dell'acqua e dalle grida che proveniva dal zona del timone. Corse sul ponte per vedere che l'ufficiale in servizio aveva affidato il la nave ad un ragazzo. La guida inesperta aveva portato la nave ad incagliarsi, aprendo fatali crepe sotto la linea di galleggiamento.
Colombo fece un tentativo di salvare la nave tagliando l'albero per alleggerire il crico, ma fu inutile. Le acque salirono sempre di più e la nave che aveva guidato una delle spedizioni più audaci di tutti i tempi finì per riposare sul fondo del mare.
Il re dell'isola Guacanagarix, il capo di una delle cinque tribù Taino che abitavano Hispaniola, che provava un grande affetto per Colombo e i suoi uomini, scoppiò in lacrime quando sentì la notizia e mandò tutto il suo popolo ad aiutare a recuperare ciò che era perduto e per rendersi in qualsiasi altro modo utile. Offrì loro vitto e alloggio e li accolse come uno di loro.
Nel giornale di Cristoforo Colombo si legge:
“Lui con tutte i suoi uomini ha pianto così tanto (dice l'Ammiraglio): sono persone di amore e senza avidità, e adatte a tutto, che certifico alle Vostre Altitudini che nel mondo credo che non ci siano persone migliori o terre migliori: amano i loro vicini come se stessi, e hanno il linguaggio più dolce e mansueto del mondo, e sempre con risate. "
Nei giorni seguenti, l'equipaggio e gli uomini della tribù smantellarono la Santa Maria e portarono il legno a terra. Con cui costruirono un forte, che chiamarono "Fuerte Navidad", poiché il naufragio era avvenuto proprio nel giorno di Natale: nsceva anche la prima colonia del "Nuovo Mondo".
Molto è stato detto di Cristoforo Colombo negli ultimi anni e per alcuni le vicende del suo governo potrebbero oscurare i suoi successi. Tuttavia, tra ciò che è noto e ciò che andrà perso per sempre nelle sabbie del tempo rimane un uomo la cui vita serve da esempio per coloro che vivono con alte aspirazioni.
Il giovane che navigava con sogni di terre sconosciute al ritmo della sinfonia di vele montate dagli alisei e con lo scafo di una nave che tagliava le acque dipinge un ritratto di ciò che lo spirito umano può realizzare quando osa sognare.
"Nessuno dovrebbe temere di svolgere alcun compito in nome del nostro Salvatore, se è giusto e se l'intenzione è puramente per il Suo santo servizio".
Secondo i dati dell'epoca, la prima visita di Cristoforo Colombo a Valladolid ebbe luogo l'11 agosto 1486. Cristobal Colón soggiornò nel monastero di Nuestra Señora del Prado, l'attuale sede del Ministero della Cultura della Junta de Castilla y León. La leggenda narra che in questo convento esistesse una Vergine che il navigatore pregava affinché i monarchi cattolici sostenessero la sua idea di viaggiare "nel nuovo mondo". La Vergine si trova attualmente nella chiesa di San Nicola e porta il nome di Colombo o della Scoperta. Diverse Furono le visite che Colombo fece in città dove visse persino per un periodo in un palazzo che Luis de la Cerda, duca di Medinaceli, in via di Teresa Gil. Il 13 settembre 1905 fu inaugurato il monumento a Colombo: Cristoforo Colombo morì il 20 maggio 1506 sempre a Valladolid. I suoi ultimi giorni trascorsero nell'ormai scomparso convento di San Francisco, che si trovava nell'attuale Zorrilla Theatre, in Plaza Mayor. Sul pavimento dei portici, di fronte al teatro, si trova attualmente una lapide in omaggio al navigatore. Secondo gli studi dell'antropologo Marcial Castro, Colombo fu sepolto nella cappella di Luis de Cerda del convento. I suoi resti furono trasferiti sull'isola di La Cartuja, sull'isola di Hispaniola, a L'Avana e, infine, a Siviglia.
La Museum House of Columbus fu inaugurata il 22 maggio 1968, ma fu ampliata nel 2006 in occasione del quinto centenario della morte di Columbo. Si pensava che fosse morto in questo edificio, quindi nel 1855 fu battezzata la strada con il nome del navigatore e nel 1866 una lapide commemorativa fu posta sulla facciata con la leggenda «Qui Colombo morì ". Così, negli anni cinquanta, fu costruito l’ attuale museo sebbene mfosse ormai noto che i dati della sua morte erano errati.
Según los registros de la época, la primera visita a Valladolid se produjo el 11 de agosto de 1486. Cristobal Colón se hospedó en el Monasterio de Nuestra Señora del Prado, la actual sede de la Consejería de Cultura de la Junta de Castilla y León. Cuenta la leyenda que en este convento había una virgen a la que el navegante rezó para que los Reyes Católicos apoyaran su idea de viajar «al nuevo mundo». La virgen se encuentra actualmente en la Iglesia de San Nicolás y recibe el nombre de Colón o del Descubrimiento. Fueron varias las visitas que realizó a la ciudad e incluso residió un tiempo en un palacio que Luis de la Cerda, duque de Medinaceli, tenía en la calle de Teresa Gil. El 13 de septiembre de 1905 se inauguró el monumento a Colón: una estatua con estructura piramidal y cuatro relieves en la base con escenas de la vida del navegante.
Cristobal Colón falleció el 20 de mayo de 1506 en Valladolid. Sus últimos días los pasó en el ya desaparecido convento de San Francisco, que se encontraba en el actual teatro Zorrilla, en la Plaza Mayor. En el suelo de los soportales, frente al teatro, se encuentra actualmente una placa en homenaje al personaje histórico. Según los estudios del antropólogo Marcial Castro, Colón fue enterrado en la capilla de Luis de Cerda del convento. Sus restos fueron trasladados a la isla de la Cartuja, a la isla de la Española, a la Habana y, finalmente, a Sevilla.
La Casa Museo de Colón fue inaugurada el 22 de mayo de 1968, pero fue ampliada en 2006 con motivo del quinto centenario de la muerte de Colón. En sus orígenes se pensaba que Colón había fallecido en este inmueble, por lo que en 1855 se bautizó la calle en la que se ubicaba con el nombre del navegante y en 1866 se colocó una lápida conmemorativa en la fachada con la leyenda «Aquí murió Colón». Así en los años cincuenta se levantó el museo que conocemos a día de hoy, aunque acabó por conocerse que el dato de su muerte era erróneo.
Le immagini raccontano a volte molto di più di quanto non dicano le cronache. In questo caso il filo sotteso della “scoperta” dell’ America ci è fornito da una croce, una croce templare. A sinistra in una illustrazione canonica, la stessa che compare a prua della caravella di Colombo in una incisione (1594)di Theodore de Bry. Guarda caso posta sopra un uccello, sicuramente una colomba, dalle ali spalancate, mentre in primo piano campeggia il cavaliere Cristoforo Colombo. La stessa croce infine compare in un dipinto “Madonna con il Bambino” del Pinturicchio, “pictor papalis” di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il papa di Colombo. Gran parte delle opere in Vaticano dell’ artista, commissionate dal pontefice, sono state fatte sparire. La tomba del Pinturicchio è a Siena, dove una cronaca dice che Colombo vi avrebbe soggiornato per i suoi studi. Ancora coincidenze?
Questa lapide compare sulle scale di un palazzo privato di Monteporzio Catone, in ricordo di una visita fatta nel giugno del 1615 da Papa Paolo V Borghese, il ristrutturatore dell’Archivio vaticano e colui che consentì che sulla tomba di Innocenzo VIII figurasse la lapide con il preciso riferimento alla scoperta dell’ America nel tempo di quel pontefice genovese dimenticato. Da me sempre indicato come il vero “sponsor” del viaggio colombiano del 1492. La lapide dice che Paolo V discese agli “infimos” per incontrare un Lorenzo Colombo. Perché? Cosa dovevano dirsi? Chi era Lorenzo Colombo? C’è da aggiungere che sempre a Monteporzio abbiamo incontrato, dopo una sua telefonata, la signora Maria Fiorelli. La quale ci spiegò che il padre trovò nella cattedrale del paese carte che attestavano un cambiamento della storia a danno di Cristoforo Colombo. Le carte furono consegnate ad un cardinale. Il padre disse alla figlia “che solo un papa può potuto ufficializzarle ai fini di ristabilire la verità”. Ma dopo Pio IX e Leone XIII che hanno cercato di fare santo Colombo non c’è stato più un successore di Pietro amante della tanto sbandierata “verità” da parte del Vaticano.
Dopo lo sbarco, nel corso del suo terzo viaggio, Colombo esaminò l'acqua e scoprì che era dolce. In realtà stava bevendo acqua dall'Orinoco, cosa che gli fece credere di aver trovato il paradiso terrestre. Per questo motivo l'ha battezzato "Land of Grace".
Macuro è una baia di affascinante bellezza e vegetazione esuberante. Secondo la storia, il posto dove ancorarono sarebbe stato proprio lì, alla foce del fiume San Juan, dove oggi c'è Puerto Macuro, una città situata a sud-ovest della penisola di Paria, (10.650º N - 61.934º W), a pochi chilometri da la bocca del drago (estensione marina larga 11 km che separa il Venezuela dall'isola di Trinidad).
È una città di missione, formalmente fondata nel 1738 con il nome di San Carlos Borromeo de Macuro. Aveva più di 1.000 abitanti che vivevano di cacao e cotone, ma sono quasi scomparsi a causa di un'epidemia di vaiolo. .
Non è chiaro se Colombo sia sceso a terra, poiché nella sua lettera l'ammiraglio dice che non l'ha fatto perché era stanco agli occhi.
Ci sono testimonianze che affermano che Pedro de Terreros fu il primo europeo a mettere piede sul continente sudamericano, accompagnato da Andrés del Corral e Hernando Pacheco , che furono ricevuti molto amichevolmente dagli indigeni. Ricevettero manioca, frutta e bevande fermentate e, quando partirono, furono accompagnati alle navi. In quel luogo c'è Plaza Colón, dove una croce di legno si erge a testimonianza di questo importante evento.
Macuro è un porto marittimo privo di canali di comunicazione stradali, quindi il suo accesso deve essere effettuato via mare. Ma nel 2000 è stata inaugurata una strada di 65 chilometri dalla città di Güiria a Macuro.
Nelle vicinanze di Macuro si trova Playa Los Garzos , di soli 300 metri di lunghezza, considerata dagli esperti uno dei siti di nidificazione principale della pregiata Turtle Carey in Venezuela, la cui riproduzione avviene da maggio a ottobre.
I cronisti parlano delle molteplici "scoperte" di Macuro. La sua bellezza non solo ha sorpreso Colombo. Prima i Caribs che popolavano la zon che lasciarono in tempi remoti per popolare le Antille e Cuba, molto prima che gli europei sognassero di conquistare queste terre. Allo stesso modo, molto è stato pubblicato sui siberiani che arrivarono in America nel Pleistocene, i Vichinghi nell'XI secolo, o i cinesi nel 14 ° secolo prima dell'arrivo dei moderni europei.
Quindi, Macuro fu scoperto da poeti e intellettuali. Tra loro nacque la nobile intenzione di creare un museo storico in un'antica Casa de Macuro, che era stata usata per arrestare prigionieri politici o contrabbandieri dai tempi del generale Juan Vicente Gómez.
Nel 1903 il presidente Cipriano Castro inaugura a Macuro il porto di Cristoforo Colombo, dotato di grandi infrastrutture, e di una dogana che anticipa una grande attività di importazione, esportazione e cabotaggio. La profondità delle sue coste lo rendeva ideale per l'arrivo di grandi navi. Con questa attività portuale in forte espansione la città divenne la capitale del territorio federale Cristoforo Colombo e centro di raccolta di tutta la produzione di cacao e caffè della regione di Paria. Nel 1935, Juan Vicente Gómez, presidente del Venezuela per l'epoca, chiuse il porto, paralizzò i lavori di ampliamento e ordinò il trasferimento delle strutture nella città di Güiria, anch'essa situata nello stato di Sucre.
Riguardo ai del Carretto, alcuni storici, specie genovesi, hanno manifestato grande stupore e incredulità in merito alle corrispondenze intrattenute dall’Ammiraglio con Caterina del Carretto, moglie di Gianluigi Fieschi, riferita dallo stesso Scopritore nella lettera inviata a Niccolò Oderico, Ambasciatore di Genova presso la Corte di Spagna, il 21 marzo 1502. Ovviamente non stupisce che l’Ammiraglio fosse in stretta relazione con Gianluigi Fieschi, in quel momento personaggio influentissimo a Genova e considerato vero “Doge ombra” della Repubblica, ma non si comprende come un umile marinaio, pur dopo la gloria della scoperta del Nuovo Mondo, potesse essere in contatto epistolare con la moglie di Gianluigi Fieschi, Caterina, appartenente alla illustre e nobilissima famiglia aleramica dei del Carretto. Va inoltre considerato che Caterina (figlia di Giovanni del Carretto di Finale e di Brigida Adorno) era nipote di Prospero Adorno (fratello della madre) e di Barnaba Adorno (nonno materno) entrambi, anche se in tempi diversi, Doge di Genova.
Le parole che seguono sono quelle finali della “Lettera rarissima” di Cristoforo Colombo. Una sorta di testamento spirituale quando ormai temeva di essere stato abbandonato alla sua sorte nell’ isola dei Caraibi con le navi ormai inservibili. Curioso che parli di VERITà, CARITà E GIUSTIZIA stesse parole di alcune voci del catechismo della Chiesa. Chiesa che predica bene e razzola male lasciando il suo “eroe della fede”, che Pio IX e Leone XIII hanno cercato di fare santo, all’infamia di un movimento che in America cerca di cancellarne i meriti additandolo unicamente come un genocida. Cosa ne pensa Bergoglio, il papa che viene dalla “fine del mondo”? Perché non parla a difesa di un uomo che portò la croce “alla fine del mondo”. Perché si continua a ignorare quanto la Chiesa stessa insegna? Perché tacciono? Perché questo comportamento da Ponzio Pilato? “Pianga per me chi ha CARITà VERITà O GIUSTIZIA . Io non venni a questo viaggio a navigare per guadagnare onore né roba t questo è certo , perchè ia speranza era del tutto già persa ; ma vi venni per servire a Vostre Maestà con sana intenzione e bon zelo di carità: e non mento. Supplico a Vostre Maestà che, se Dio vuole che possa di qua salirmi, che mi vogliano concedere , e abbiano per bene che io vada a Roma e altre peregrinazioni. Cui e vite e alto stgìo la Santa Trinità conservi e accresca Data nelle Indie nella isola di lanaica a 7 di lulio del 1503.”
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica:
2484 La gravità della menzogna si commisura alla natura della VERITà che essa deforma, alle circostanze , alle intenzioni del mentitore, ai danni subiti da coloro che ne sono le vittime . Se la menzogna , in sé, non costituisce che un peccato veniale , diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della GIUSTIZIA e della CARITà. 2487 Ogni colpa commessa contro la giustizia e la verità impone il dovere di riparazione , anche se il colpevole è stato perdonato . Quando è impossibile riparare un torto pubblicamente , bisogna farlo in privato ; a colui che ha subito un danno , qualora non possa essere risarcito direttamente , vadata soddisfazione moralmente , in nome della carità . Tale dovere di riparazione riguarda anche le colpe commesse contro la reputazione altrui. La riparazione , morale e talvolta materiale , deve essere commisurata al danno che è stato arrecato. Essa obbliga in coscienza . 2479 Maldicenze e calunnie distruggono la reputazione e l' onore del prossimo . Ora , l' onore è la testimonianza sociale resa alla dignità umana , e ognuno gode di un diritto naturale all' onore del proprio nome , alla propria reputazione e al rispetto . Ecco perché la maldicenza e la calunnia offendono le virtù della giustizia e della carità .
Innocenzo VIII, il papa di Colombo, in gioventù studiò all’Università di Padova. Di Colombo si scrive che studiò a Pavia, dove non risulta niente. E se fosse un errore di trascrizione o un’ abbreviazione di Patavia? Padova era uno dei centri culturali, specie sul versante scientifico, più prestigiosi del tempo. Dove la tolleranza religiosa era diffusa. Continuativa vi è stata la presenza di membri dell’Ordine domenicano e francescano. A Padova si coltivavano le arti del “Quadrivio”: aritmetica, astrologia, astronomia, geometria. Il figlio Fernando scrive di Colombo: «… né avrebbe apprese tante lettere né tanta scienza quanta le sue opere mostrano che egli ebbe, specialmente nelle quattro più principali scienze che si ricercano per far quel che egli fece: che sono Astrologia,
Cosmografia, Geometria e Navigatoria». A Padova si formano Sisto IV, il poeta Battista Mantovano (scriverà un “Trionfo” in onore di papa Innocenzo VIII.) l’architetto Leon Battista Alberti, gli umanisti Ermolao Barbaro e Giovanni Pontano.
A Padova si approfondiscono gli studi su Tolomeo, principe riconosciuto dei geografi, e su tutta la tradizione astronomica araba. Ci si interroga sugli spazi dell’infinito e del mondo. Vi si incontrano, fino a stringere un’amicizia, che solo la morte spezzerà, il cardinale Nicola Cusano e “Paolo fisico”. Cusano sostiene, fra l’altro, che la terra non occupa il centro dell’universo. Paolo “fisico” non è altri che dal Pozzo Toscanelli. Lo scienziato fiorentino, che sarà fra gli ispiratori diretti del varo dell’impresa di Colombo. A Padova il geografo Regiomontano legge le opere di Alfragano. A Padova Prosdocimo de’ Beldomandi compone un “Commento alla sfera”, rifacendosi al “Tractatus de sphaera” di Giovanni Sacrobosco. A Padova transitò Pawel Wlodkovic, rettore dell’università di Cracovia, che sottolinea la presenza di leggi naturali presso i pagani e l’immoralità delle guerre, la necessità che l’Europa si sforzi per integrare pagani e scismatici al suo interno. A Padova si discetta sul filosofo greco Aristotele e Averroé, esempio musulmano di tolleranza. A Padova il frate agostiniano Paolo Veneto, il cui insegnamento risale al 1395, introduce «negli ambienti universitari italiani il tema della descrizione delle parti della terra, anche di quelle ignote», oltre a tentare una mediazione fra averroismo, aristotelismo e fede cristiana. Attirò l’interesse del cardinale Bessarione. Che faceva da tramite tra Oriente e Occidente, fra tentativi di riconciliazione e l’organizzazione di un’eventuale crociata. In seguito alla caduta di Costantinopoli, aveva portato in Italia preziose raccolte di antichi testi e mappe, testimonianze di conoscenze smarrite. A fare da filo conduttore oltre alla geometria è l’astrologia. Che Colombo coltivava e che, «conduce a un mondo iniziatico di rivelazioni e tradizioni, al riconoscimento del carattere esoterico (e perciò coerentemente aristocratico) del sapere astrologico». A Padova studiarono anche il giovane filosofo Pico della Mirandola e il monaco fiorentino Girolamo Savonarola. A Padova transitarono molte altre personalità influenti dallo storico Francesco Guicciardini per finire con Galileo Galilei. In un ateneo-crogiuolo ai confini dell’eresia. In sostanza «la formazione padovana… conduceva a guardare al mondo magico, con atteggiamento “scientifico”, ancorando i fenomeni a una causa superiore immutabile, ai movimenti astrali … e con il corollario, ugualmente denso di potenziali interrogativi, dell’esistenza di una casta di “sacerdoti” della scienza alla cui custodia e interpretazione di quel mondo di tradizioni era consegnato».
Padova, peraltro, non era unicamente il suo Ateneo. Era la Firenze del Trecento. Nella città veneta, dunque, si incrociavano le discipline, gli studi, gli uomini, le menti, le religioni, in un intreccio analogo, per molti aspetti più complesso e avvincente di quello di Genova. E anticipatore delle Accademie fiorentine, napoletane, romane. Nella certezza, più che nella speranza, di plasmare l’essere nuovo per l’era nuova. Quella sorta di cyborg dell’intelletto e “super partes”, che sarà nelle mire del Rinascimento. E che Colombo esprimeva nella frase: “Lo Spirito Santo è presente in cristiani, musulmani ed ebrei e di qualunque altra setta”. Nell’immagine leonardescamente perfetta dell’uomo vitruviano. Da proiettare con le navi verso l’altra metà dell’orbe.
Giovanni Battista Cybo, il futuro Innocenzo VIII, oltre ai due figli riconosciuti Franceschetto e Maddalena, prima di ascendere al soglio pontificio ne ha avuti molti altri, anche se non ci sono prove definitive, da una nobildonna napoletana appartenente alla potente famiglia dei Capece Minutolo. Tanto che Pasquino si permetteva di ironizzare :“Finalmente abbiamo il padre di Roma”. Da decenni abbiamo avanzato l’ ipotesi, che più di un ricercatore compreso un accademico hanno copiato e cercato di scippare, che Colombo data la somiglianza ed altri indizi possa essere un figlio illegittimo di Innocenzo. E che quindi la nobildonna napoletana potrebbe essere sua madre.
C’è da aggiungere che Colombo al nord è l’ equivalente di Esposito al sud. Figlio cioè di padre ignoto, oltre ad essere un cognome molto comune nell’ ambiente ebraico, tanto più che il padre del pontefice si chiamava Aronne o addirittura Abramo, nomi chiaramente giudei. Si aggiunga il fatto che nello stemma dei Capece compare un leone rampante come in uno dei quarti dell’ emblema che verrà assegnato a Colombo. Ora il legame con i Capece viene avvalorato da una parentela che risale a secoli prima, come attestato nelle immagini che riportiamo. La tesi che avanzammo nel libro “L’uomo che superò i confini del mondo” comincia ad acquistare una sua plausibilità. Un ringraziamento particolare va a Giovanni Tomasello Cybo per l’ aiuto costante alla ricerca.
Per approfondimenti: http://www.nobili-napoletani.it/capece-minutolo.htm
Cattòlico agg. e s. m. [dal lat. tardo catholĭcus, gr. καϑολικός «universale», der. di καϑ’ὅλου«universalmente»] (pl. m. -ci). – 1. Propr., universale: tiene questa gente [i Peripatetici] oggi lo reggimento del mondo in dottrina per tutte parti, e puotesi appellare quasi c. oppinione (Dante). Con questo stesso senso, è attributo spettante alla Chiesa romana (Chiesa c.) e quindi anche alla religione e alla dottrina che ne sono l’espressione. 2. a. Che professa la religione cattolica apostolica romana: popoli c.; nazioni c.; sacerdote c.; lavoratori, intellettuali c.; la gioventù c.; donne c.; Sua Maestà Cattolica, titolo onorifico concesso nel 1497 dopo la conquista di Granata a Isabella regina di Castiglia e Léon e a Ferdinando V re d’Aragona, passato poi ai re di Spagna loro successori. Anche come sost.: i c. di tutto il mondo; essere un buon c., un cattivo c.; Vecchi cattolici, gruppo di cattolici tedeschi che non vollero riconoscere il dogma dell’infallibilità pontificia proclamato al Concilio Vaticano del 1870: se ne hanno ancora comunità in Germania, Svizzera, Austria. Per estens., che è costituito da cattolici: lega c., associazione c., ecc. b. Che è conforme alla dottrina della Chiesa romana o ne fa parte: morale c.; dogmi c.; libri cattolici. c. Che emana o è promosso dalla Chiesa romana: Azione C., organizzazione del laicato cattolico per una speciale e diretta collaborazione con l’apostolato gerarchico della Chiesa. 3. s. m. Titolo del vescovo supremo di certe Chiese orientali (armena, caldea, georgiana, nestoriana): v. katholikòs. * Avv. cattolicaménte, in conformità ai principî della religione cattolica: vivere cattolicamente; lei accoglie tutte le cose ... cattolicamente, disponendole tutte in una gerarchia di valori che serba le grandi linee tradizionali (Pavese).
Era il 12 ottobre 1492, quando Cristoforo Colombo, al comando di tre imbarcazioni spagnole, approdò sulle coste di un’isoletta dell’Arcipelago delle Bahamas, che ribattezzò con il nome di San Salvador, mettendo la sua firma su uno degli eventi più significativi della Storia: “la Scoperta dell’America”. Ciò che ha dato fiducia alla Regina di Spagna saranno state le sue eccezionali referenze di esperto navigatore nonché di cartografo, ma ciò che la Regina forse ignorava erano le sue eccellenti conoscenze nel campo della meteorologia!
Se, come spesso viene rappresentato, egli avesse solamente arrotolato una carta geografica di allora e mostrato la via più breve per raggiungere le Indie, navigando verso ovest, non sarebbe mai arrivato in America, perché i venti lo avrebbero sospinto verso l’Europa rendendo impossibile la sua rotta. C’è una sola risposta a questa domanda: Colombo aveva delle ottime conoscenze di meteorologia!
Come molti marinai egli conosceva gli alisei, sapeva dove soffiavano e sapeva anche che lo avrebbero portato a sud della regione che lui voleva raggiungere. Ma egli conosceva anche i Controalisei (Trade Winds) e sapeva che con essi sarebbe potuto ritornare in Spagna. In altre parole, egli aveva una globale conoscenza della Circolazione Generale dell’Atmosfera!
Colombo ebbe la geniale intuizione di iniziare il suo viaggio dirigendosi verso le Canarie, in modo da prendere gli Alisei favorevoli. Il percorso che lui programmò con assoluta ostentazione di sicurezza non era tuttavia una cosa ovvia, basta pensare un attimo: avere questi venti così favorevoli alle spalle durante il viaggio di andata generò nei marinai il timore di non poter più tornare indietro, perché contrari al ritorno.
Ma arrivato in quelle isole egli fece una sosta che allora sembrò inspiegabile: troppo lunga per fare gli ultimi rifornimenti prima della grande traversata.Forse c’è ancora un aspetto misterioso nel suo fantastico viaggio che lo ha portato alla Scoperta dell’America! Ciò che sorprende nell’impresa delle tre caravelle è la totale assenza di maltempo durante il lungo viaggio e la perfetta scelta dei tempi e del tragitto durante la traversata. Colombo scelse per il suo viaggio una traiettoria molto bassa, lontano dalle violente tempeste del Nord Europa, ma al di sopra dell’area di formazione degli uragani.
La scelta della lunga sosta alle Canarie appare oggi fondamentale dal momento che essa permise a Colombo di evitare non solo la zona, ma anche la stagione in cui si formano gli uragani, dal momento che i cicloni tropicali atlantici raggiungono la massima frequenza tra agosto e settembre, per poi diminuire considerevolmente a ottobre.
Troppi elementi favorevoli per pensare che sia stata solo fortuna. È verosimile invece che Colombo, grazie alle sue eccezionali conoscenze della meteorologia ed alle sue attente letture del “Milione” di Marco Polo, sapesse già dell’esistenza dei tifoni nel Mar della Cina, che avvengono nello stesso periodo degli uragani ai Caraibi.
“Il Milione” è stato scritto e tradotto in numerose versioni, non sappiamo quale sia stata quella letta da Colombo, né se in essa erano riportate notizie sulle violente perturbazioni, oggi chiamate Tifoni, che si abbattevano sulle coste della Cina e che in Europa, di pari violenza, erano quasi sconosciute. Ma se Marco Polo ha dato notizia di qualcuna di queste perturbazioni e, con la sua proverbiale meticolosità ne ha descritto il periodo in cui esse avvenivano, sicuramente Colombo ha fatto tesoro di tali informazioni. Forse è stato questo particolare che lo ha indotto a partire a settembre anziché ad agosto! La lunga traversata dell’oceano difatti iniziò solo il 6 settembre: Colombo navigò pressoché in linea retta, tra i paralleli 26 e 30, un po’ più a nord della linea del Tropico del Cancro.
Altre testimonianze di autori contemporanei o successivi includono:
Buenos aires 04/01/2019
Le navi, una dozzina, beccheggiavano al sole, i soldati staccavano il cordame dagli alberi e ammainavano le vele, i marinai armeggiavano attorno alle sartie, gli stralli e i paterazzi cigolavano; le scialuppe erano state tirate sulla spiaggia e avevano lasciato dietro di se un solco come la bava di una lumaca; l’aria trasudava di umori, l’odore salmastro del mare si mescolava al silenzio, mentre uomini dalle pelli arroventate dal sole e dalla salsedine rispondevano alle invocazioni del sacerdote … Dev’essere stata così, 525 anni fa, esattamente l’Epifania del 6 gennaio dell’Anno Domini 1494, il momento della prima messa nelle terre da poco scoperte. L’ammiraglio Cristoforo Colombo era al suo secondo viaggio, questa volta con il proposito e le istruzioni reali di consolidare l’avamposto raggiunto nel 1492. Nel primo viaggio aveva lasciato sul posto 39 uomini, ma trovò distrutta la fortificazione e cadaveri i marinai. Decise di fondare una nuova postazione più ad est, chiamandola “La Isabela”, considerato il primo vero insediamento europeo nelle Americhe.
I registri della navigazione marittima dell’epoca registrano la partenza di una flotta di 17 imbarcazioni, cariche di animali, piante, semi, provviste e mezzo migliaio di uomini, per lo più soldati, alcuni funzionari della corona nelle vesti inusitate di nuovi amministratori, qualche artigiano, dei coltivatori e una dozzina di missionari di differenti ordini religiosi. L’ammiraglio genovese sapeva, e probabilmente i religiosi al seguito la portavano con sé, che l’anno prima, il 3 maggio 1493, Papa Alessandro VI aveva scritto di suo pugno le bolle pontificie Eximiae devotionis e Inter cetera che reclamavano ai sovrani spagnoli il loro dovere di prendersi cura degli indigeni delle nuove terre scoperte «per condurli alla conoscenza del Santo Vangelo e ammaestrarli nelle buone opere con giustizia e mansuetudine».
Gli annali annotano anche che il primo atto in questo senso lo compì un sacerdote dell’equipaggio di Colombo di nome Bernardo Boyl, che officiò messa in una cappella improvvisata dedicata alla regina Isabella in quella che era conosciuta all’epoca come Hispaniola, l’attuale Repubblica Dominicana. Nello stesso punto, “un buon punto, anche se esposto al vento di nordest”, annoterà un altro e più celebre frate, Bartolomeo de Las Casas, vennero iniziati anche i lavori per la costruzione della prima fortezza, pensando più alle mire dei pirati inglesi che agivano in funzione antispagnola che alle ribellioni delle nuove popolazioni incorporate all’impero dei sovrani cattolici.
Sappiamo dagli storici suoi biografi che Cristoforo Colombo si ammalò e passò le prerogative di governo conferitegli dalla Corona spagnola al fratello Bartolomeo, giunto con tre caravelle giusto in tempo per ricevere le consegne. Una parte degli spagnoli trasportati nel Nuovo Mondo sulle navi di Colombo non furono contenti della decisione; lo stesso padre Boyl si unì agli ammutinati e tornò in Europa. Non prima di aver consacrato nel giorno dell’Epifania di quell’anno, il 1494, la Hispaniola e i suoi abitanti, nativi ed europei, a Dio fatto Eucarestia nel suo Figlio Gesù Cristo.
Di quel primo celebrante non si hanno molte notizie, solo che fu monaco e poi eremita in Montserrat, che venne ordinato nel 1481, che esercitò per un periodo le funzioni di abate. Boyl incontrò personalmente l’eremita italiano Francesco da Paola e passò all'Ordine dei Minimi fondato da quest’ultimo, che lo nominò suo vicario generale in Spagna. Quando Ferdinando il Cattolico volle riformare il monastero di Montserrat nella direzione di una maggiore austerità, Boyl venne nominato vicario apostolico, fu poi inviato in India come un uomo di sua fiducia per dare impulso all'evangelizzazione del Nuovo Mondo. Con questa missione nel 1493 fu posto a capo del primo gruppo di religiosi che andrà con Colombo nel suo secondo viaggio, ottenendo per questo poteri molto ampi da papa Alessandro VI. Al ritorno conduce alcune missioni diplomatiche per conto del Papa e successivamente del cardinal Cisneiros, il potente inquisitore del Regno di Castiglia. Terminerà la sua vita come abate nel monastero di san Michele di Cuxa nei Pirenei orientali, dove si ritiene che sia morto intorno al 1507.
Ci sono voluti 525 anni perché la Chiesa avesse un Papa nativo di quelle terre allora scoperte e battezzate. Papa Francesco non sarà presente alla commemorazione che si rinnova anche quest’anno nello stesso giorno e nello stesso punto in cui iniziò «una grande messe di cristiani, che oggi rappresentano più della metà dei cristiani del mondo». In sua vece, presiederà la storica celebrazione commemorativa una persona a lui vicina, il cardinale di El Salvador, Gregorio Rosa Cháves.
.S.
.S.A.S.
X M Y
Xpo FERENS.
Esta es la firma empleada por Colón que tan de cabeza ha traído a tantos historiadores en su afán por descifrarla, se divide en dos partes: el anagrama que consta de las tres S la A en medio y la linea final formada por la XMY, la otra parte es la de abajo tiene sus variaciones: Almirante, Virrey, Xpo FERENS., : Xpo FERENS./, Xpo FERENS.//, : Xpo FERENS.//. Las letras po de Xpo, aparecen con una raya encima, símbolo de abreviatura.
La firma aparece mencionada y descrita por Colón en el Mayorazgo de 1498 explicando: "Y después de aver heredado y estado en posesión d́ello, firme de mi firma la cual agora acostumbro, que es una .X. con una .S. encima y una .M. con una .A. romana encima, y encima d ́ella una .S. y después una .Y. greca con una .S. encima con sus rayas y bírgulas como agora fago y se parecerá por mis firmas, de las cuales se hallarán y por esta parecerá. Y no escribiŕsino "El Almirante", puesto que otros títulos el Rey le diesse o ganase, y esto se entiende en la firma y no en su ditado, que podrá escribir con todos sus títulos como le plugiere, solamente en la firma escripta "Almirante".
Colón es claro, la firma debe de ser utilizada por sus descendientes a perpetuidad sin ningún tipo de modificación, respetando incluso sus "rayas u bírgulas", y siendo rematada por un "Almirante". Lo primero que llama la atención es que todos los que la han interpretado lo hicieran a partir del Mayorazgo de 1498, que es calificado de apócrifo. Lo segundo que llama la atención es que ninguno de los herederos del Almirantazgo firmó como Cristóbal Colón dejó escrito en el Mayorazgo.
Casi todas las interpretaciones son de tipo religioso, la mayoría en relación con el catolicismo y unas pocas con el judaísmo. Era costumbre de los españoles de la Edad Media, el preceder la firma, "escribir un pasaje bíblico, o el nombre de un santo de especial devoción del que firmaba, para diferenciarse de los judíos o musulmanes. Colón esta mención lo dejó bien patente a lo largo de sus escritos, las menciones como: Santísima Trinidad, Santa Trinidad, Nuestra Santa Fe. Aparecen en muchas cartas dirigidas a los Reyes Católicos y a otros, desde el primer viaje hasta que se murió en 1506. Por lo tanto no tendría sentido que su firma se relacionara con una interpretación religiosa, especialmente si no explicas el significado del anagrama y menos entendido sería si un Almirante de Castilla quiere dejar clara su fe y no dar lugar a malas interpretaciones. Salvador de Madariaga interpreta la firma como una ocultación de su judaísmo al igual que Simón Wysental y otros autores.
La lectura, que va de izquierda a derecha, lo normal para nosotros, pero no de abajo a arriba que es lo que han interpretado muchos historiadores. Si nos atenemos al texto del Mayorazgo vemos que no hay un sentido de lectura, Colón no escribe en ningún momento como se ha de leer, describe únicamente como es la firma y como van colocadas las letras, si lo pensamos bien lo que hace Colón es describir exactamente de la mejor forma posible como es su firma y la mejor forma de describirla, tal y como la escribe, es empezando de abajo arriba, si lo hiciera de arriba hacia abajo, sería complicada la explicación. Por otra Colón ya firmaba con el anagrama desde 1493 ¿por qué habría de dar explicación del mismo 5 años después? ¿por qué no explicarlo antes? Imagino que a los reyes cuando le llegaba la firma en un documento de Colón tendrían que saber el significado del anagrama para autentificarlo y no dar lugar dudas o a supuestas falsificaciones.
Colón hasta 1502 siempre firmó con el anagrama y debajo Almirante, pero algo cambió en 1502 que la firma que utilizó desde entonces es el anagrama con Xpo FERENS. Esta formula también estuvo sujeta a interpretaciones, todos los que interpretaron el anagrama de forma religiosa también interpretaron el Xpo FERENS en el mismo sentido salvo los que interpretaron como el árbol genealógico.
Desde el punto de vista religioso sería que Xpo era Cristo en griego, FERENS es latín, dativo, con lo cual tenemos una formula en la que se emplea griego y latín a la vez, la traducción sería " El que lleva o porta para Cristo", como queriendo decir que él era el elegido de Dios y portador del mensaje del Evangelio, que tenía que extender por las Indias. Pero todos cometen un error, a sabiendas, y es que Cristo en griego se escribe Xp y en latín Xs, esto lo sabían todos y la solución que dan es que Colón lo escribió mal, algo absurdo, porque Colón en los libros que constan de su propiedad tendría que aparecer más de una vez Xp como Cristo en griego, además pensar que una persona que se molesta en hacer una firma tan compleja, se equivocaría al final metiendo la pata con Xpo es como llamarle tonto, es posible que el significado sea como el mensajero de Cristo, ya que en 1502 estaba escribiendo el libro de las profecías, el se creía el mensajero del Señor para descubrir las Indias, así en el libro de las profecías menciona la siguiente profecía "El abad Joachín, calabrés, dijo que había de salir de España quien había de reedificar la Casa del monte Sión." También le preocupa la conquista de Jerusalén y la reconstrucción del templo de David.
Ancora sulla firma esoterica di Cristoforo Colombo. E’ indubbio che una delle interpretazioni delle S maiuscole è Sanctus, Sanctus, Sanctus. Il Santo, in lingua latina Sanctus o Tersanctus, è un canto dell'ordinario della Messa cattolica. Esso è parte integrante del prefazio, del quale costituisce la conclusione, prima dell'inizio della preghiera eucaristica; esso viene cantato o recitato ad alta voce dal sacerdote insieme al popolo sia nella forma ordinaria, sia in quella straordinaria. È usato in quasi tutti i riti delle liturgie cattoliche, ortodosse e in molte protestanti.
Il Santo segue il carattere generale del prefazio, che è una preghiera di lode, con le parole dell'"inno dei serafini", udito nel tempio di Gerusalemme dal profeta Isaia (6,3) nella visione inaugurale del suo ministero. La parte iniziale si riferisce anche nell'Apocalisse (4,8). Questo canto è un invito rivolto alla Chiesa terrestre ad unirsi ai cori celesti nella lode al Signore.
La prima parte del Sanctus è stata introdotta nella liturgia cattolica alla fine del IV secolo. Il testo della seconda parte, il Benedictus, è tratto dal Vangelo secondo Matteo (21,9), nel contesto del racconto dell'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme la domenica delle palme. L'affermazione solenne della santità e trascendenza di Dio dell'universo è completata da questa affermazione al Cristo re che cita il salmo della messa del giorno di Pasqua (117,6). Questa seconda parte è attestata nella Messa romana solo nel VII secolo. Il Santo è stato spesso musicato insieme alle altre parti della Messa.
Più volte, con interventi anche altrui, ci siamo occupati dello strano e misterico criptogramma con cui si firmò, da un certo momento in poi Cristoforo Colombo, raccomandandosi ai suoi eredi di tenerlo presente per il futuro. Sappiamo che il navigatore scrive che chi “sa leggere e scrivere lo fa in quattro modi differenti”, esattamente come diceva Dante. Quindi varie debbono essere le interpretazioni di quel rebus. Sappiamo anche che Colombo aveva studiato le arti del quadrivio, fra le quali compare anche la geometria, scienza sacra per eccellenza. Quindi doveva conoscere anche gli studi di Pitagora ed il suo tetraktis a forma di piramide. Un triangolo che corrisponde proprio al rebus della firma colombiana. Siamo sempre nel campo degli enigmi, in un vaso di Pandora che si amplia ogni volta che si ha a che fare con la vera natura dell’insondabile Colombo. Che certamente si ispirò anche alla rappresentazione della Santa Trinità. In una catena di indizi cifrati per un uomo tradito completamente dalla storia. E “assassinato” anche dalla Chiesa di cui fu l’inviato. Dal Borgia fino ai giorni nostri. Tranne che da Pio IX e Leone XIII che cercarono di farlo santo.
La Trinità è spesso rappresentata con un triangolo, dove i tre punti si congiungono in un punto centrale: il simbolo risale a Medio Evo. Si trova in un manoscritto del 1208, influenzato dalla rappresentazione di diagrammi matematici del 1109 di Pietro Alfonsi. Nel disegno il Pater, Filius et Spiritus Sanctus rappresentano le tre persone della Divinità distinte (ai lati vi sono dei “non est“, per specificare la distinzione). Al centro il Dio unico al quale fanno corona le tre persone Divine. In successive rappresentazioni, in special modo del XV secolo, il triangolo veniva dipinto con un occhio al centro, l’occhio di Dio, l’occhio che tutte vede. Oggi si crede che un simile simbolo sia esclusivo della Massoneria. Non è così. Il triangolo è la figura scelta da Cristoforo Colombo per la sua misterica firma.
1) La mia tesi: la “firma” è un messaggio criptato con sistema polialfabetico e polinumerico, mediante caratteri polivalenti.
(i) Xpo (+ segno abbreviazione sovrapposto): abbreviazione in greco indeclinabile del latino Christus; al tempo era in uso da secoli (vedi ad es. Iacopone da Todi)
(ii) FERENS: termina con una strana “S” eseguita con un tratto dal basso verso l’alto, allo stesso modo – ma non identico- dei tre caratteri all’apice della “firma”
(iii) .S. : interpretabili in prima istanza come tre “esse” maiuscole, puntate come un acronimo
(iv) X M Y : i tre caratteri intermedi sono in prima lettura lettere dell’alfabeto greco ( come per il Xpo ) sormontate da una A ( tanto una “A” latina che una “ A ” maiuscola greca) Tuttavia i caratteri X ( Χ maiuscola) e Y ( Y maiuscola) sono scritti in modo da poter essere letti come un א “alef” ed un ע “ayin” dell’alfabeto ebraico come, in modo analogo, i tre caratteri che abbiamo interpretato in prima lettura come “S“ latine, sono scritti in modo da essere leggibili come ל “lamed” dell’alfabeto ebraico (nella forma con la parte superiore piegata verso destra)
(v) I tre caratteri “S” che abbiamo inizialmente identificati come “esse” latine sono ciascuno preceduto e seguito da un punto. Quindi se letti così essi costituiscono un acronimo, che si incontra nelle epigrafi e nelle scritture cristiane per “Species (o Signaculum) Spiritus Sancti “ (apparenza (o simbolo) dello Spirito Santo), con riferimento alla narrazione del battesimo di Cristo. Ma la grafia delle intriganti .S. , sotto altra prospettiva, appare anche come tre numeri “5”. Numeri arabi che al tempo non erano ancora in uso generale e talvolta erano persino vietati, ma nei manuali di artitmetica e matematica avevano già preso il posto delle precedenti
numerazioni (in particolare la numerazione alessandrina - espressa con caratteri alfabetici greci, in genere maiuscoli) e nel nostro caso i caratteri leggibili come lettere greche maiuscole (X M Y ed A) corrispondenti a numeri della numerazione (ionica) alessandrina (vedi oltre).
Le case vere o presunte di Cristoforo Colombo.
Dall’alto e da sinistra Genova, Savona, Gran Canaria, Valladolid e sempre a Valladolid dove morì. Alcune non sembrano le abitazioni di un grande Ammiraglio.
L’ultimo scempio è avvenuto a Los Angeles, la città degli angeli! Dove al suono dei tamburi di una tribù indiana il busto di Cristoforo Colombo è stato rimosso e “ammainato”. Un “virus” iconoclastico che sta da qualche anno colpendo l’ America del nord, dove il navigatore non è mai sbarcato e dove gli indigeni sono stati sterminati dagli stessi americani e dai loro riveriti presidenti. Nella scia di un “virus” caratterizzato da una incompetenza sesquipedale. Dopo circa 30 anni di studi e 4 libri mi permetto una difesa d’ufficio di Cristoforo Colombo visto che chi dovrebbe non lo fa. Quanti sanno ad esempio che due papi della caratura di Pio IX e Leone XIII hanno tentato di farlo santo, data l’ “eccezionalità del personaggio”, andando contro ogni regola che prevede la testimonianza di persone viventi? Che Leone XIII in una lettera enciclica mai fatta nei confronti di qualcuno che non sia già beato ha dichiarato: “Colombo è nostro quello che ha fatto lo ha fatto per la Chiesa”? Mentre Pio IX scriveva quando “si conosceranno i veri documenti …” Quanti sanno che al ritorno da uno dei suoi quattro viaggi, in una calma piatta infinita, cominciando a scarseggiare il cibo gli spagnoli suggerirono di buttare a mare gli indiani o di cibarsene mentre Colombo si oppose mettendo a repentaglio anche la vita? Quanti sanno che quando fu messo in catene ed in morte indossò il saio francescano? ? E che alla Rabida per anni si accompagnò ai francescani spirituali, che volevano un ritorno alla chiesa delle origini, sulla base delle profezie dell’abate calabrese, che Colombo nomina più volte, Gioacchino da Fiore di “spirito profetico dotato” come scrive Dante? Quanti sanno in Vaticano che Colombo è annoverato nell’elenco di santi e beati come “servo di Dio”?
Perché a questo punto, di fronte allo sfregio continuo dell’eroe cristiano, papa Bergoglio, che proprio a Francesco ha dedicato il suo pontificato, non parla? Perché tace il pontefice venuto “dalla fine del mondo” per l’ uomo che andò alla fine del mondo? Lo sanno che il navigatore scrisse con un monaco certosino un “Libro delle Profezie”, che è anche una raccolta di salmi e di frasi dei padri della Chiesa? E lo sa la Chiesa che perfino il famigerato Borgia, che contribuì a cambiare la storia, per tramandare “la barzelletta d’antiquariato” alla quale ancora si crede si rivolse a Colombo come “al diletto figlio nostro”? Lo sanno che l’ Ammiraglio si scrisse con ben tre pontefici? E perché i suoi ritratti furono commissionati quasi tutti da uomini di Chiesa? Perché dovunque approdava piantava una croce dopo essere partito in nome della Santissima Trinità sulla nave dal nome Santa Maria? Mentre le sue lettere erano contrassegnate da un’invocazione religiosa: “Iesus cum Maria sit nobis in via”. Perché Bartolomeo de Las Casas, l’apostolo delle Indie e contemporaneo del navigatore, scriveva che Colombo andava a fondare “una Chiesa nuova”? Ma soprattutto la sua firma, il suo identikit di sette lettere maiuscole, che sa di cabala e alchimia a forma di triangolo, come l’occhio di Dio, che terminano con un Xpo Ferens, ovvero “Portatore di Cristo”. Precedute da una X una M e Y. Poiché Colombo come Dante afferma che chi sa leggere e scrivere lo fa in quattro modi diversi (alla faccia del marinaretto ignorante!) quella sigla deve avere quattro differenti interpretazioni. Una inedita la offriamo noi: ovvero Cristo, Maometto, Yaweh, visto che l’ammiraglio afferma più volte che “lo spirito Santo è presente in cristiani musulmani ed ebrei e di qualunque altra setta”. Un uomo complesso, di una cultura profonda, un uomo universale, l’esempio vivente dell’uomo vitruviano di Leonardo. Ora questo “figlio della Chiesa” viene insultato e sbeffeggiato ovunque nelle Americhe. Sul nostro sito www.ruggeromarino-cristoforocolombo.com alla voce Notizie si possono trovare almeno altri dieci episodi più o meno analoghi in una campagna che è il festival dell’ignoranza e dell’imbecillità. Un orgasmo da talebani. Al quale l’ “Osservatore romano” avrebbe il dovere di rispondere, senza lasciare un eroe della fede in balia di esaltati, che non hanno letto o studiato niente, ma che ripetono a pappagallo idiozie senza senso. Statue divelte, imbrattate di sangue, coperte di scritte irriverenti. Grazie alla Kirchner, sotto il suggerimento di quell’uomo “colto” che fu Chavez, la grande statua a Buenos Aires è stata tolta dall’avenida principale davanti alla casa rosada.
Quali le colpe di Colombo? Che così si esprimeva sulle sabbie dei Caraibi di fronte agli indios: “ sono molto ben fatti e di bellissimi corpi e di bei sembianti .. e credo che facilmente si farebbero cristiani convertendosi alla nostra Santa Fede con l’amore e non con la forza … perché è gente di buon intendimento … io non permisi che si toccasse cosa neanche del valore di uno spillo …” E’ l’amore di cui parlava San Francesco, mentre le prime isole diventano San Salvador e Santa Maria de la Conception. Certo il navigatore è un uomo d’armi, un cavaliere, “buono con i buoni cattivo con i cattivi”, laddove viene accolto da selvaggi bellicosi (solo i cannibali) la sua risposta è quella di un milite, di un esponente di quegli ordini cavallereschi, probabilmente il Santo Sepolcro (ne chiesero a loro volta la beatificazione, perché anche loro tacciono?) con eredità templari, come attesta la croce sulle vele. E’ solo una coincidenza che in via della Conciliazione una proprietà dell’ordine è stata convertita nell’hotel Cristoforo Colombo? E’ solo una coincidenza che in San Pietro si venda una storia dei papi, curata dall’archivista cardinal Mercati, che alla voce Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, afferma: “Aiutò Cristoforo Colombo”. Una papa figlio di un Aronne-Abramo ebreo, nipote di una Sarracina musulmana. Nel suo sangue confluivano le tre grandi religioni del libro. Le stesse che Colombo considera imbevute dell’ unico Spirito Santo. Parole ancora oggi in odore di eresia.
Il capitolo schiavitù fa capo soprattutto agli spagnoli. . Ma se non si contestualizza questo aspetto significa violentare le vicende storiche nella totale superficialità. Mentre Colombo è il migliore di quanti andarono al punto che lo accusarono di punire gli hidalgos invece degli indiani La legge non vietava la schiavitù, anche Las Casas, il difensore degli indios, aveva schiavi. E diceva di sostiuire gli indios con i negri. Oggi la schiavitù è vietata, ma prolifera ovunque. Colombo non fu uno stragista e tanto meno uno schiavista, dovette però adeguarsi ad una situazione totalmente mutata con la morte di papa Innocenzo VIII, il genovese dai molti figli e consuocero di Lorenzo il Magnifico, al quale succedette lo spagnolo Borgia, che concesse tutte le terre “rivelate” (le carte erano nella biblioteca vaticana) alle corone di Spagna.
In definitiva fu Roma a “scoprire” il Nuovo Mondo. Per cui con Borgia e Ferdinando si cercò di cancellare papa Cybo, il vero “sponsor” dell’operazione America, la cui tomba è ancora in San Pietro (unica traslata dalla vecchia basilica costantiniana in un omaggio singolare per un pontefice colpito da “damnatio meoriae”) con una scritta dove si legge “Nel tempo del suo pontificato la gloria della scoperta di un Nuovo Mondo”. Prima cioè del 1492! Come più di un cronista afferma. Cybo-Colombo un legame talmente stretto da fare pensare che possano essere padre e figlio o quanto meno zio e nipote.
Colombo al nord significa figlio dello Spirito Santo. I colori degli stemmi sono identici. La somiglianza inquietante. Un documento parla di un “Columbus nepos”. Era il tempo sulla cattedra di Pietro del nepotismo.
I musulmani avevano le stesse carte, vedi la mappa di Piri Reis, i Cinesi andavano da tempo al Nuovo Mondo. Se non fosse sbarcato il cristiano l’America oggi si inginocchierebbe verso la Mecca o agiterebbe il libretto di Mao. Una storia insomma completamente da riscrivere, nella speranza, come invoca il navigatore che “io non sia confuso in eterno … perché la verità trionfa sempre”. Se chiesa acconsente. E non tradisca il suo eroe. Lasciandolo all’ennesimo ingiusto martirio.
Il pavimento di Cristóbal Colón punta verso sud-ovest. Dalla sua terrazza è possibile vedere il Palazzo Reale, la Cattedrale dell'Almudena e i giardini di Casa de Campo che sono il suo orizzonte. Nel suo salotto sono i blasoni familiari, un disegno della sua genealogia di oltre 500 anni ... Su un leggio spicca la riproduzione della "Lettera di Colombo che annuncia la scoperta del Nuovo Mondo" (Editorial Taberna Libraria), l'edizione commemorativa di uno scritto che quest'anno celebra 525 anni.
"È il documento più importante nella storia dell'umanità", lascia andare senza esitazione. Accanto ad essa, una scultura in metallo dell'ammiraglio il cui dito indica il suo erede. Appare così, con voce lenta e seria: "Sono Cristoforo Colombo di Carvajal, Duca di Veragua e Ammiraglio delle Indie. Sono il ventesimo discendente dell'ammiraglio. " Ha mani sottili e dita grosse, come alcuni ritratti dell'uomo che lasciò Puerto de Palos in cerca delle Indie. Lei sfoggia capelli grigi, ha modi educativi cattolici e linguaggio dell'enciclopedia del XIX secolo. Questo sarà un viaggio nel tempo. È Cristóbal Colón di Cristóbal Colón. Colon risponde alle accuse contro Columbus.
L'elenco del resto dei titoli nobiliari di questa Grande di Spagna mostra il potere del passato della sua saga ... È il 17 ° marchese di Giamaica, il 19 marchese di Aguilafuente, il XX ammiraglio e il primo delle Indie ... Quasi nulla. Mentre il fotografo e il videografo camminano nella sua stanza piena di ricordi colombiani, notiamo una bandiera spagnola che potrebbe essere in qualsiasi ambasciata. Esce in difesa del suo lignaggio, del suo antenato più illustre, in pochi giorni dove il mondo ha visto come nella città fondata come "Nostra Signora degli Angeli del fiume Porziuncola", oggi semplicemente Los Angeles (USA) , la statua di Colombo fu demolita.
"Le loro azioni hanno contribuito al più grande genocidio mai registrato", scattò il consigliere Mitch O'Farrell. A La Paz (Bolivia), i vandali hanno annerito il monumento in loro onore e hanno posto frasi come: "Colón fascista", "Genocidio" ...
Messaggio a O'Farrell
La ventesima discendente non è disposta a lasciare passare l'insulto, né che la parola più ripetuta da Nord a Sud sul leggendario marinaio genovese sia lanciata senza una risposta. Guarda la telecamera, aggrotta la fronte e dice serenamente: " Colombo non è mai stato un genocidio. Né la sua etica glielo avrebbe permesso ... né ci sono prove storiche a supporto ». Invia un messaggio al sindaco americano che ha intrapreso la campagna contro Cristoforo Colombo , come viene chiamato negli Stati Uniti da Trump : «A O'Farrell vorrei fare solo una domanda, chi ha sterminato gli indiani del Nord America? Il mio antenato non l'ha fatto. Non ha calpestato il territorio ». Dal suo punto di vista, solo dall'ignoranza può essere sostenuto qualcosa del genere. Il duello inizia così. Ci sono scritti chiave per comprendere queste diatribe contro Colombo. Bartolomé de las Casas arriva a dire che ha speso circa tre milioni di indiani -in spagnolo, Repubblica Dominicana e Haiti oggi, la sua quasi totale distruzione, lasciando una popolazione di decine di migliaia, quando Colombo morì nel 1506, solo 14 anni dopo Rodrigo de Triana gridò "Tierra!, Tierra!"
Interpretando ciertos papeles, se supone que un Doménico Colombo, que murió pobre en Genova y en 1498, era el padre de Cristóbal Colón; se añade que había regresado de Saona, donde había sido tabernero. Por lo visto, falleció sin tener noticias de la grandiosa empresa de su hijo. Y ¿es posible que éste le dejase morir en la pobreza al verse Almirante y Virrey y que sus hermanos Bartolomé y Diego siguiesen igual conducta, sin que en Genova alcanzasen la menor censura, ni quedase rastro de ella, sin que a España llegase la más mínima noticia de tal Doménico, y sin que tal padre, de quien también se dice, involucrando en él a diversos Doménico Colombo, que fue cardador, tejedor, vendedor de quesos, tabernero, etc., demandase el auxilio de sus hijos? Esto es inverosímil de todo punto, y más todavía lo es que la Señoría de Genova, los mencionados cronistas de la época y hasta el duque de Ferrara, Hércules de Este, que en el año 1494 dispuso una investigación acerca de la correspondencia de Colón con Toscanelli, desconociesen en absoluto la existencia de dicho Doménico Colombo; si la conocieron, es indudable que también supieron que no era padre del Almirante, pues, de lo contrario, se hubieran apresurado a hacerlo constar de varias maneras. Por consiguiente, ese Doménico Colombo no tenia parentesco con Cristóbal Colón.
Difícil es interpretar la indicación de que el descubridor del Nuevo Mundo era en 1472 tejedor de Genova. Si Colón era tejedor en 1472, y un año después figura existente en Saona, habría que establecer que mintió de una manera exorbitante en sus cartas y en sus manifestaciones.
Lo curioso es que no diga los nombres de sus padres ni el de su mujer, en los últimos momentos de su vida, que siente la muerte, se acuerda de sus padres y de su mujer y no dice sus nombres, hay alguno de los lectores que no le suene raro, sin embargo, en el mismo testamento cita más abajo dice: "E le mando que haya encomendada á Beatriz Enriquez, madre de D. Fernando, mi hijo, que la provea que pueda vivir honestamente.." Aquí si cita el nombre de su amante, no les suena raro o extraño, que en los últimos momentos de su vida nombre a su amante y no diga los nombres de sus padres y mujer.
Si Cristóbal Colón hubiera nacido en Génova y sus padres fueran Domenico y Susana ¿habría algún problema en citarlos? Si nombra a Beatriz Enriquez, y no cita a padres ymujer ¿no será porque habría algo que ocultar?
Interpretando ciertos papeles, se supone que un Doménico Colombo, que murió pobre en Genova y en 1498, era el padre de Cristóbal Colón; se añade que había regresado de Saona, donde había sido tabernero. Por lo visto, falleció sin tener noticias de la grandiosa empresa de su hijo. Y ¿es posible que éste le dejase morir en la pobreza al verse Almirante y Virrey y que sus hermanos Bartolomé y Diego siguiesen igual conducta, sin que en Genova alcanzasen la menor censura, ni quedase rastro de ella, sin que a España llegase la más mínima noticia de tal Doménico, y sin que tal padre, de quien también se dice, involucrando en él a diversos Doménico Colombo, que fue cardador, tejedor, vendedor de quesos, tabernero, etc., demandase el auxilio de sus hijos? Esto es inverosímil de todo punto, y más todavía lo es que la Señoría de Genova, los mencionados cronistas de la época y hasta el duque de Ferrara, Hércules de Este, que en el año 1494 dispuso una investigación acerca de la correspondencia de Colón con Toscanelli, desconociesen en absoluto la existencia de dicho Doménico Colombo; si la conocieron, es indudable que también supieron que no era padre del Almirante, pues, de lo contrario, se hubieran apresurado a hacerlo constar de varias maneras. Por consiguiente, ese Doménico Colombo no tenia parentesco con Cristóbal Colón.
En el archivo del monasterio de San Esteban de la vía Mulcento, en Génova, se hallaron varios papeles con los nombres de Doménico Colombo, de su mujer y de sus hijos Cristóbal, Bartolomé y Diego, en el período comprendido entre los años 1456 y 1459. Sin embargo, el tercero de dichos hijos, Diego, aun no había nacido, si interpretamos prudentemente otro documento, redactado en latín, en que aparece mayor de diez y seis años, celebrando en 1484 un contrato de aprendizaje del oficio de tejedor con Luchino Cadamartori. Diego murió en 1515 con 60 años, por tanto nació en 1455, y no en 1468 como reflejan los documentos genoveses.
Difícil es interpretar la indicación de que el descubridor del Nuevo Mundo era en 1472 tejedor de Genova. Si Colón era tejedor en 1472, y un año después figura existente en Saona, habría que establecer que mintió de una manera exorbitante en sus cartas y en sus manifestaciones.
En 21 de Diciembre de 1492 decía Colón: "Yo he andado veinte y tres años en la mar, sin salir della tiempo que se haya do contar [..]". Si los veintitrés años se cuentan desde el día en que escribe, estaba en la mar desde principios de 1470. Si por haber salido del mar durante el tiempo—que valía la pena de contarlo— en que estuvo en España, debe hacerse el cálculo de los veintitrés años antes de venir á nuestra patria, llegaremos a 1460 o 1461. En tal caso, es evidente que hacia 1470-73, cuando Colombo compraba vino y lana, y actuaba de testigo en testamentos y comparecía en otros actos notariales, Colón era y tenía que ser bien conocido como hombre de mar en la localidad en que hubiese nacido y donde residiera su familia, aparte de tener en consideración que Cristoforo Colombo nació en 1451, según se deduce de las actas notariales, sería sorprendente que comenzará a navegar con 8-9 años.
En fin, Celso García de la Riega dedica tres capítulos de su libro, al más que dudoso origen genovés de Cristóbal Colón, he puesto solo alguno de sus argumentos, el espacio no da para más.
Yo también tengo una aportación, que escribí en mi blog, que administro, sobre el personaje Celso García de la Riega y su teoría coloniana. En una carta de Cristóbal Colón a los Reyes Católicos, 1501, en la cual relata la captura de la Fernandina, "Y me pasó a mí, que el rey Reinel, que Dios ha tomado con él, me ha enviado a Túnez, con el fin de captar la galeaza Fernandina,[...]" Aclarar que Renato D ́Anjou ayudó a los barceloneses contra Juan II de Aragón.
La galera Fernandina jugó un papel importante en el asedio de Barcelona, en los momentos finales de la Guerra Civil catalana, cuando Juan II luchó contra René d’Anjou por el control de la Confederación catalana. La guerra terminó en el Principado de Cataluña el 16 de octubre 1472 con la firma de la Paz de Pedralbes entre la ciudad de Barcelona y de Juan II.
Los documentos relativos a la galera Fernandina han confirmado el servicio de Colón como un capitán de un barco de Rene d ́Anjou, conde de Provenza, en la base naval de Marsella. De los documentos citados, y las pruebas que datan del episodio naval de la Fernandina para 1471-1472, podemos deducir que Cristoforo Colombo no podía ser lanero y capitán a la vez, también se puede deducir que con 20 años que tendría Cristoforo Colombo, 1451, en 1472 no podría ser capitán de un barco de guerra.
Hay un documento de Colón que llama mucho la atención, por lo menos a mi, Testamento de 1506 fechado 20 Mayo Valladolid, uno de sus apartados dice: "Digo á D. Diego, mi hijo, é mando que tanto que él tenga renta del dicho Mayorazgo y herencia, que pueda sostener en una Capilla, que se haya de facer, tres Capellanes que digan cada dia tres Misas [..], e por mi anima é de mi padre é madre é muger." Lo curioso es que no diga los nombres de sus padres ni el de su mujer, en los últimos momentos de su vida, que siente la muerte, se acuerda de sus padres y de su mujer y no dice sus nombres, hay alguno de los lectores que no le suene raro, sin embargo, en el mismo testamento cita más abajo dice: "E le mando que haya encomendada á Beatriz Enriquez, madre de D. Fernando, mi hijo, que la provea que pueda vivir honestamente.." Aquí si cita el nombre de su amante, no les suena raro o extraño, que en los últimos momentos de su vida nombre a su amante y no diga los nombres de sus padres y mujer.
Si Cristóbal Colón hubiera nacido en Génova y sus padres fueran Domenico y Susana ¿habría algún problema en citarlos? Si nombra a Beatriz Enriquez, y no cita a padres y mujer ¿no será porque habría algo que ocultar?.
Riprendiamo uno dei tanti articoli usciti in occasione della ricorrenza della “Scoperta dell’ Ameriica” il 12 ottobre 1492. Lo riproponiamo in lingua spagnola e nella traduzione in un italiano sia pure approssimativo fatta dal pc. Lo riprendiamo perché è il solo che mette in evidenza quelle che furono le vere motivazioni che spinsero Colombo al viaggio.
Uno motivo poco mencionado que animó los viajes de Cristóbal Colón fue su profunda creencia cristiana en relación al “Fin de los Tiempos”. En estas fechas celebramos la llegada de Colón a las Américas (en España se celebra el 12 como Fiesta Nacional del país; en EE.UU. se celebra hoy día 8 el Día de la Raza, con ánimo de fomentar el respeto entre culturas, un espíritu que comparten otros países de Hispanoamérica). Colón decidió dirigirse a la India tomando rumbo oeste porque pensó que sería una ruta más rápida. ¿Cuál era la razón de esta premura?
Según la Enciclopedia Británica, Colón creía que Satán se había instalado en la India para perturbar la difusión del Evangelio y retrasar la Segunda Venida de Cristo. “Según sus cálculos escatológicos, el momento del regreso de Cristo estaba muy próximo”, afirma la Enciclopedia Británica. “Por ello, era necesario llegar a la India por el camino más corto posible, para que el último baluarte de Satán pudiera ser eliminado a través de las misiones cristianas”.
La entrada de esta enciclopedia sobre la vida de Colón presenta a un explorador con voraz apetito por el oro. Dondequiera que fuera, parece que tenía más interés en el metal precioso que en la salvación de las almas. Sin embargo, según Carol Delaney, autora de Columbus and the Quest for Jerusalem [Colón y la búsqueda de Jerusalén], su interés por la riqueza no era para sí mismo, sino por un propósito mayor, para financiar una cruzada que arrebatara Jerusalén de las manos de los musulmanes antes del fin del mundo.
Delaney, antropóloga cultural y experimentada profesora en la Universidad de Stanford, explicó en una entrevista de 2017 para la revista Columbia, el mensual de los Caballeros de Colón:
Muchas personas de entonces pensaban que el apocalipsis estaba cerca, debido a todas las señales: peste, hambre, terremotos y demás. Y se creía que, antes del final, Jerusalén debía estar de nuevo en manos cristianas para que Cristo pudiera regresar en el juicio. Colón de hecho calculó cuántos años quedaban antes del fin del mundo. Parecía considerar todo su viaje como una misión, parte de este escenario apocalíptico.
El honor y la fortuna pesaban mucho en la motivación de Colón, pero la fe también era una gran parte de su vida. Según Christianity Today , Colón calculó el tamaño del océano Atlántico a partir de una lectura del Segundo Libro de Esdras. Este libro apócrifo afirma que Dios creó el mundo en siete partes, seis de tierra seca y una séptima parte de agua. De este modo, Colón calculó que el océano que separaba Portugal de Japón era un séptimo de la circunferencia terrestre, unos 4000 kilómetros según sus cálculos, explica Christianity Today.
Así, supuso que navegando unos 130 kilómetros diarios podría llegar a las Indias en 30 días.
Aunque tenía sus defectos, el Almirante de la Mar Océano, como lo llamó el marino militar e historiador Samuel Eliot Morison, insistía en inculcar el hábito de la observación religiosa en los hombres de sus navíos. De nuevo, Christianity Today señala:
Durante los viajes de Colón, las tripulaciones de los barcos observaron ritos religiosos. Cada vez que giraban el reloj de media hora (su medio principal de medir el tiempo), gritaban: “Bendita la hora del nacimiento de nuestro Salvador / Bendita la Virgen María que lo concibió / y bendito sea Juan que lo bautizó”. Terminaban cada día cantando las vísperas juntos (aunque, según consta, no cantaban afinados).
Nella notte tra il 27 e il 28 luglio, il cielo attorno alla luna si è tinto di rosso per 103 minuti e si è verificata l’eclissi del satellite più lunga del secolo. Nel corso della storia sono state diverse le eclissi lunari totali spesso accompagnate da racconti e aneddoti singolari. Uno di questi è sicuramente quello legato alla figura di Cristoforo Colombo e all’eclissi del 1504. Era il 25 giugno del 1503 e l’esploratore, nel corso della sua quarta e ultima perlustrazione della costa dell’America centrale, si trovò costretto ad attraccare due delle sue caravelle nel nord della Jamaica.
Lo stesso esploratore racconta come durante la permanenza in quella terra sconosciuta riuscì ad avere ragione della ribellione degli indigeni e a trasformare un momento di difficoltà in un’ opportunità per lui e per la sua ciurma. Come? Sfruttando il fenomeno dell’eclissi e le sue conoscenze scientifiche con una comunità che ignorava l’origine del fenomeno.
Un’eclissi lunare totale si verificò nella notte del 29 febbraio 1504. Colombo chiese un incontro con il capo Arawak, la tribù che abitava l’isola, dichiarandosi messaggero del Dio dei cristiani. L’ammiraglio comunicò che il suo dio era infuriato col popolo indigeno perché questo non aveva più intenzione di rifornire di cibo e bevande l’equipaggio di Colombo.
Per dimostrare il proprio scontento, il dio dei cristiani avrebbe fatto in modo che la luna sparisse. Prima, però, si sarebbe tinta di rosso sangue. Era l’eclissi lunare: fenomeno inconsueto e misterioso per gli abitanti dell’isola. Ma come faceva Cristoforo Colombo a conoscere i tempi esatti del fenomeno celeste del 29 febbraio? L’esploratore aveva consultato l’almanacco di Regiomontantus. Opera, allora, ritenuta di grande valore scientifico per i marinai .
Regiomontantus era lo pseudonimo di Johannes Müller von Königsberg, noto matematico e astronomo tedesco. Prima della sua morte, aveva pubblicato il famoso almanacco che conteneva informazioni dettagliate sul Sole, la Luna e i pianeti, così come sulle stelle e le costellazioni. In piena eclissi, poco prima della fine della fase totale, Colombo si rivolse agli Arawak informandoli che il dio cristiano li avrebbe perdonati e che la luna avrebbe presto ripreso le sembianze di sempre. Le indicazioni che l’esploratore diede al popolo indigeno furono calcolate dallo stesso Colombo proprio grazie all’almanacco di Johannes Müller von Königsberg.
Quello che Colombo annunciò accadde: poco a poco il rosso che infuocava la luna scomparve e il satellite tornò a essere quello di sempre. Con grande sollievo degli Arawak. E con grande sollievo anche dell’esploratore e della sua ciurma, che da quel momento continuarono ad essere approvvigionati dagli indigeni per tutta la durata della loro permanenza sull’isola.
Al Pincio di Roma ci sono i busti di alcuni dei personaggi più importanti della storia d’ Italia. Purtroppo spesso vandalizzati. Naturalmente non poteva mancare Cristoforo Colombo. Che in occasione dei 400 anni della scoperta dell’ America nel 1892 fu buttato giù non da balordi ma da esponenti della Massoneria. In un momento in cui era più che mai forte il contrasto con la Chiesa di Roma. E mentre il Vaticano con Leone XIII riapriva la questione della santità del navigatore con la relativa causa. Piuttosto che cederlo alla Chiesa che voleva farne un suo eroe i massoni si schierarono contro Colombo, senza avere minimamente compreso che l’ Ammiraglio come il suo papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, per molti aspetti possono essere considerati dei premassoni.
C’è un particolare trascurato, uno dei tanti, nella storia di Colombo. Importante soprattutto perché si riferisce al primo sbarco in un’isola dei Caraibi. Nel “Giornale di bordo” Colombo scrive che scende a terra con uno stendardo dalla croce verde che porta le lettere maiuscole F.Y. e una corona sopra. Naturalmente la storia parla di Ferdinando e Isabella di Castiglia. Per la verità il re d’ Aragona era escluso completamente dall’ evento che competeva interamente alla regina. Si sa che le cronache della spedizioni hanno subito manipolazioni, aggiustamenti e censure da parte della corte spagnola. Colombo si firmava Christo Ferens per cui la F e la Y potrebbero stare per Ferens Yesus, salvo poi aggiungerci la storia delle corone (ma mai due). In più nessuno affronta il discorso della croce verde, diversa da quella che è sulle vele. Cosa sta a indicare? Gli ordini cavallereschi che usavano quel colore sono San Lazzaro ed Alcantara. C’è da aggiungere che papa Innocenzo VIII era riuscito a riunire in un raggruppamento tutti gli ordini cavallereschi. I cui stemmi in effetti compaiono quasi tutti nelle varie immagini fatte nel tempo per quella tappa fondamentale nella storia dell’ umanità.
Siamo nel 1495. La lettera è indirizzata al «Muy magnifico y spectable Señor Almirante de Las Indias, en la grande isla de Cibau». Ovvero Cristoforo Colombo. A scriverla è Jaime Ferrer, un personaggio, fuori del comune, di cui si sa molto poco. Si occupa di oro, argento, gioielli, pietre preziose: è ufficialmente un «lapidario». Ma la sua cultura spazia in ogni dove. Ferrer va giovanissimo a Napoli, nel 1466 si trova nella città sul golfo, nel palazzo reale: è la Napoli dei Cybo, dove Aronne è Viceré, dove si trovano anche i Santángel, i Pinelli, i Geraldini ... Frequenta, a sua volta, solo grandi famiglie, lo accomuna a Colombo una visione mistica e cattolica dell’ecumene. Conduce una vita austera, come Cristoforo, nonostante le ricchezze che passano per le sue mani, non mostra «mai attaccamento ai facili piaceri, non mancò mai di esercitare una rigorosa fedeltà alle sue convinzioni religiose e morali». Serietà, austerità, onestà, dirittura etica e una vasta cultura impregnata di spirito cristiano caratterizzano il personaggio. Parrebbe per molti versi un gemello di Colombo e di Toscanelli.
Nel 1488 si è recato a Genova per accompagnare l’ambasciatore Giovanni Galiano, ha reso omaggio nella chiesa di san Lorenzo al Sacro Catino, la reliquia verde smeraldo, il Sacro Graal che Gesù utilizzò nel corso dell’ultima cena per sciacquarsi le mani e nel quale fu raccolto il sangue di Cristo. Portato a Genova dalla crociata, ora chiama di nuovo al riscatto della Terra promessa. Di fronte al talismano verde, un simbolo dalla forza soprannaturale per i cavalieri e tutti i cristiani, anche Colombo deve essersi inginocchiato. La «cerca» del calice sacro e prezioso continua.
Ferrer e Colombo si conoscono? Si conobbero a Genova, a Napoli o altrove? Certamente si scrivono. Una lettera clamorosa: «La Regina nostra Signora mi ha ordinato di scrivervi... certo è che il compito, che voi state adempiendo, vi affida il ruolo di apostolo e ambasciatore di Dio, mandato per Suo divino giudizio a far conoscere il Suo Santo Nome in contrade che ignorano la verità. Non sarebbe frutto della ragione né precetto divino che partecipasse alle vostre gloriose fatiche in codeste contrade un cardinale di Roma, perché l’importanza e il peso del suo mantello e la dolcezza della sua morbida vita gli tolgono la voglia d’intraprendere un tale cammino; mentre è cosa certa che per questa medesima causa e missione venne a Roma il principe degli apostoli, magro, scalzo, con la tunica sdrucita, nutrendosi spesso di solo pane non saporito. E se da codesta vostra gloriosa missione l’anima vostra talvolta si eleva in contemplazione, trovi rifugio ai piedi del grande profeta e canti ad alta voce al suono dell’arpa: ‘Non nobis, Domine, non nobis, sed Nomini tuo da gloriam’». «Non a noi, non a noi, Signore, ma al tuo nome dona la gloria.» Una comunicazione, una parola d’ordine da Templare a Templare. Una frase che vale più di un’infinità di documenti, di testimonianze menzognere, equivoche e contraffatte. Poche parole: sono il sigillo e il suggello, non più una semplice ipotesi o una fascinosa suggestione. Rappresentano il motto, esatto fino alla virgola, dei cavalieri Templari. Quanto meno strano. L’ordine non si era mai estinto. Si era, possiamo dire, «riciclato», trasferendosi in altri ordini, o ha cambiato semplicemente il nome, nei casi peggiori è finito in sonno.
Sappiamo la data in cui Cristoforo Colombo giunse nelle Americhe, pochi o pochissimi sanno quando il celebre navigatore genovese tornò in Europa. Salpato dal porto di Palos, in Spagna (allora Regno di Castiglia), il 3 agosto del 1492, raggiunse quella che ribattezzò come isola di San Salvador il 12 ottobre di quell’anno, dopo un viaggio non certo privo di problemi, che solo la sua incrollabile fede nei propri calcoli gli permise di superare.
Dopo essere venuto a contatto con i pacifici abitanti locali e aver condotto alcune esplorazioni, Cristoforo Colombo e la sua ciurma decisero di fare ritorno in Europa: erano molto provati dalle fatiche dell’esplorazione e di tre caravelle che erano all’inizio del viaggio, ne erano rimaste solo due, in condizioni piuttosto precarie. Colombo fece ritorno in patria con una serie di animali, oggetti e documenti da mostrare alla corte spagnola: portò in Europa anche alcuni abitanti dell’isola di San Salvador.
Nel viaggio di ritorno, tuttavia, il difficile clima invernale danneggiò le due caravelle superstiti e molta della documentazione prodotta andò perduta per sempre. Con una fatica e sforzi immani, gli scopritori del Nuovo Mondo tornarono a casa, sempre a Palos: era il 15 marzo 1493 e oggi sono 525 anni dal ritorno del famoso viaggio, destinato a sconvolgere gli assetti economici e gli equilibri politici mondiali. Vennero accolti con feste, celebrazioni e onori riservati ai più grandi.
Colombo decise di ripartire, anche perché aveva lasciato 39 membri della propria ciurma in America e doveva andare recuperarli, come aveva promesso. L’esploratore genovese morì in povertà, nel 1506.
Quattro opere del Parmigianino, pittore in odore di alchimia. Immagini che non cercano la somiglianza, ma nascondono significati reconditi. Il primo fa parte dell’ “Iconografia colombiana”, edita dalla Treccani e pubblicata, in occasione dei 500 anni della scoperta dell’ America, nella Grande Raccolta Colombiana. Raffigurerebbe pertanto Cristoforo Colombo, o almeno così si è sostenuto per molto tempo. Il secondo raffigura Lorenzo Cybo duca di Ferentillo, discendente di papa Innocenzo VIII Cybo, il terzo Amerigo Vespucci (per la verità è quasi identico al quarto, considerato semplicemente “Ritratto di gentiluomo”). Studi recenti però individuerebbero nel primo personaggio forse Galeazzo Sanvitale. I primi due oltre ad essere dei gentiluomini di alto lignaggio si caratterizzano per la spada. Quindi dovrebbero essere dei cavalieri. E Colombo era inequivocabilmente un cavaliere, (in questo dipinto c’ è anche un’ armatura sullo sfondo a rafforzare l’ identificazione) oltre ad avere conoscenze anche alchemiche come il Parmigianino. Il dipinto apparteneva a Ranuccio Farnese, a sua volta cavaliere di Malta. Per di più i Farnese erano i signori del castello di Caprarola, dove venivano effigiati, nella stupenda stanza del mappamondo (vedi articoli precedenti), anche Colombo e Vespucci. Mentre non si comprende perché il Farnese avrebbe commissionato un ritratto del Sanvitale. Ma quello che appare più convincente ai fini di una rappresentazione di Colombo è la medaglia che il personaggio mostra. Con il numero 72. Il 72, secondo la Cabala, che in quegli anni era assai diffusa anche nella sua versione cristianizzata alla quale lavorò Pico della Mirandola e che Colombo conosceva, rappresenta la totalità delle lettere che compongono il nome di Dio. Il numero viene ricavato da alcuni versetti del capitolo 14 dell’Esodo – 19, 20 e 21 -, ciascuno costituito, nel testo originale ebraico, da 72 lettere. In particolare, il nome fa riferimento al passo in cui Mosè divide le acque. E’ questo il nome del Creatore, che mormorava il gran sacerdote tra le urla della folla, e che venne sostituito più tardi dal Tetragramma sacro, YHWH. L’antico cabalista Rav Shimon Bar Yochai ha scritto nello Zohar che fu Mosè, e non Dio, a dividere le acque del Mar Rosso. La formula è nota come i 72 nomi di Dio ed era conosciuta solo da una cerchia ristretta di cabalisti. Colombo come Mosè aprì le acque dell’oceano e quando in sogno, durante una spedizioni, udì la voce di Dio che gli parlava, come accadde al profeta, si sentì paragonato proprio a Mosè. Da ultimo la somiglianza fra le prime due immagini è evidente, in linea con quanto sosteniamo da circa 30 anni, ovvero l’ appartenenza di Colombo alla “casa”di papa Cybo, in una linea di sangue diretta con il pontefice..
Tal día como hoy en marzo del año 1526, hace 492 años, moría en La Puebla de Montalbán (Castilla) Diego Colón Moniz Perestrelo, hijo y heredero del almirante Cristóbal Colom y de su primera esposa, la aristócrata portuguesa Filipa Moniz Perestrelo. Según la historiografía castellana, Diego Colón murió repentinamente a los cuarenta y seis años mientras se dirigía a Sevilla para asistir a las bodas del rey Carlos I (el nieto de Fernando de Aragón y el primer Habsburgo hispánico) con la princesa Isabel de Portugal. Pero otras fuentes documentales sitúan la fecha de su muerte en una etapa en que estaba inmerso en durísimos procesos judiciales contra la monarquía hispánica —para reclamar la restitución de la herencia, en forma de cargos, que le había legado su padre— y que haría imposible su participación en una celebración de aquellas características.
Diego Colón había nacido el año 1480 en la colonia portuguesa de Oporto Santo (Madeira) que administraba su abuelo materno Bartolomé Perestrelo. A la muerte de su padre (1506) tenía que heredar la condición de almirante, que había quedado suspendida después del encarcelamiento de Cristóbal y de Bartolomé Colón (1500). El rey Fernando de Aragón —que ya era viudo— se negó en redondo a restituir los derechos de Cristóbal Colón en la persona de su hijo y heredero Diego Colón y lo nombró gobernador de La Hispaniolasujeto a la administración de la metrópoli. De esta forma, se iniciaría una larga historia de pleitos con el trasfondo de las Capitulaciones de Santa Fe (1492) —el contrato entre la monarquía hispánica y Colón previo al primer viaje— que no terminarían hasta su súbita muerte.
Diego Colón, sin embargo, no renunció nunca al proyecto que había iniciado su padre. Recuperó la política de creación de estructuras de estado en La Hispaniola para convertirla en una entidad propia integrada en el edificio político hispánico; que generaría la reapertura del conflicto entre los colonos de origen catalano-valenciano (partidarios de Colón) y los de origen castellano-leonés (partidarios del status colonial subordinado a la administración hispánica) que se había vivido en tiempo de la gobernación de Cristóbal y Bartolomé. Diego Colón, como su padre y su tío, sufriría la persecución política y judicial de la monarquía; y después de morir; su heredero Luis Colón, presionado y amenazado por el poder, acabaría renunciando definitivamente a las condiciones y beneficios que le otorgaban las Capitulaciones.
Il bellissimo Palazzo Farnese a Caprarola, appartenente appunto alla famiglia Farnese, è una costruzione bellissima, dotata all’esterno anche di un ampio parco. Scale e saloni si succedono in un crescendo di assoluto pregio architettonico fino ad arrivare nella stupenda sala del mappamondo, che affresca una parete intera. Sul soffitto una spettacolare volta celeste con i vari segni zodiacali e alla sommità dei muri i ritratti di grandi esploratori, fra i quali un monacale Cristoforo Colombo dai capelli bianchi, oltre a Marco Polo e Vespucci. E’ l’ennesimo ritratto commissionato da alti rappresentanti della Chiesa, cosa mai avvenuta per nessun altro navigatore.
En elño 1500, hace 517 años, Cristóbal y Bartolomé Colón eran excarcelados del penal de Granada (Andalucía) y conducidos a la corte hispánica, en aquellos días emplazada en el palacio del Alhambra, también en Granada, en presencia de los reyes Fernando de Aragón e Isabel de Castilla. Cristóbal y Bartolomé Colón habían sido arrestados —con engaños y falsas promesas— en la colonia de la Española por orden del juez Fernández de Bobadilla, y conducidos hasta la metrópoli encadenados e inmovilizados en una cubierta de fondo del barco La Gorda. El juez Fernández de Bobadilla había acusado a los Colón de los delitos de mala administración y de gobierno desleal.
Articolo pubblicato su "Il Tempo" il 12 ottobre 2017 in occasione delle polemiche in America sulla persona di Cristoforo Colombo ed i suoi monumenti.
Negli scritti di Colombo raramente compaiono nomi di donna, eccetto quello di Isabella di Castiglia, alla quale comunque l'Ammiraglio doveva far riferimento come sovrana.
Felipa Moniz Perestrelo
Felipa divenne moglie di Colombo probabilmente tra la fine del 1479 e l'inizio del 1480. Suo padre, Bartolomeo, capitano donatario di Porto Santo, nell'arcipelago di Madera, era di origine piacentina. Sua madre era l'aristocratica portoghese Isabella Moniz.
Racconta Fernando, figlio di Cristoforo, nelle sue Historie: " Perciocchè si comportava molto onoratamente ed era uomo di bella presenza e che non si partiva dall'onesto, avvenne che una gentildonna chiamata Felipa Muniz, di nobile sangue, Cavallera del Monastero d'Ogni Santi, dove l'Ammiraglio usava di andare a messa, prese tanta pratica et amicizia con lui che divenne sua moglie". Felipa è la madre del primogenito di Cristoforo, Diego, che forse nacque proprio a Porto Santo tra la fine del 1480 e l'inizio del 1481.
In ogni caso, per quel che appare dai documenti, una messa per i defunti sarà l'unico concreto omaggio testamentario che l'Ammiragliio farà alla memoria della moglie portoghese.
Fin quasi dagli albori del Cristianesimo la colomba, animale dalla natura dolce e mite, è stato un simbolo di purezza e innocenza, che ha poi rappresentato l’intervento divino in alcuni episodi. Come simbolo di mitezza è usata in vari episodi biblici. Per gli ebrei Giona (Yohnàh, “colombo”) era ed è un nome maschile comune. Nel Cantico dei Cantici, “Mia colomba” è un appellativo affettuoso rivolto alla Sulamita dal pastore innamorato e gli occhi dolci di una ragazza sono paragonati a occhi di colomba. Come simbolo di volontà divina è pure citata in alcuni passi della Bibbia. Nella Genesi (8, 11) è una colomba a portare a Noè il rametto d’ulivo che annuncia la fine del Diluvio universale e l’inizio della salvezza e di una nuova era di pace tra Dio e gli uomini. In Matteo 3,16 la colomba viene vista scendere dal cielo da Giovanni Battista durante il Battesimo di Cristo. Per questo inizialmente l’animale venne associato al battesimo (come in Tertulliano o in rappresentazioni artistiche del IV secolo).Nei codici miniati del V e VI secolo la colomba si era però già slegata dal significato unicamente legato al battesimo, per assumere il ruolo di simbolo dello Spirito Santo, in episodi come l’Annunciazione o le raffigurazioni della Trinità.
Perché papa Bergoglio non parla? Perché lui, così loquace, che è venuto dalla “fine del mondo” non difende l’uomo che andò (non il primo, ma il definitivo) come legato del Vaticano “alla fine del mondo”? Lo sa il pontefice che ha ispirato il suo pontificato a santo Francesco che Cristoforo Colombo quando fu messo in catene ed in morte indossò il saio francescano? E che alla Rabida per anni si accompagnò ai francescani spirituali, quelli che volevano un ritorno alla chiesa delle origini, sulla base delle profezie dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore, di “spirito profetico dotato”, come scrive Dante ?
Il soggiorno di Colombo in Spagna è costellato da rapporti con uomini di chiesa, prevalentemente francescani come i frati della Rabida, e con diversi ebrei convertiti. E’ il caso del cardinale Hernando de Talavera, attraverso cui passano somme di denaro destinate prima della partenza al navigatore e soprattutto dI Luis de Santangel, che è colui che farà decidere Isabella di Castiglia a varare la spedizione, offrendo la somma necessaria alla partenza. Santangel è inoltre socio nella Sanda Hermandad del più importante genovese Francesco Pinelli, “familiare del papa”. La Santa Hermandad anticipa solamente i soldi del primo viaggio ufficiale, che verranno restituiti, dopo tre giorni, con i fondi della bolla della crociata gestita fra gli altri dal genovese Gentili o Gentile, altro uomo del pontefice, visto che la guerra contro i Mori è ormai vinta. Si può pertanto finanziare Colombo. Per la verità il Santangel in diversi testi viene definito conte di Sant’Angelo all’italiana ed un Pinelli era responsabile di Castel Sant’Angelo. Le fortune di Talavera verranno presto meno non così quelle del Santangel. Il tutto conferma una regia diretta dal papa con sangue ebreo Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo. In una storia cancellata dal successore Rodrigo Borgia, Alessandro VI.
Se non si inquadra la cosiddetta scoperta dell’America nell’ossessione escatologica che caratterizzò quegli anni, specie dopo la vittoria definitiva contro i musulmani in Spagna, non si comprenderà mai nulla di quel “fumetto d’antiquariato” che continuano a raccontarci. E che fu invece un disegno studiato fin nei minimi particolari, per farlo collimare con le profezie. Come quelle in particolare di Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese di “spirito profetico dotato” (Dante), il quale aveva annunciato che dalla Spagna sarebbe venuto “colui che restaurerà l’arca di Sion.” L’abate, che Cristoforo Colombo nomina più volte, divideva il tempo della storia in tre ere. Il tempo del Padre e del Figlio erano già trascorsi, non rimaneva che il tempo dello Spirito Santo in vista dell’Apocalisse prossima ventura, di cui il navigatore si sentiva strumento con la scoperta dell’altro mondo. Quando finalmente il Vangelo sarebbe stato divulgato presso tutte le genti, come atto finale che precedeva la fine dei tempi. Gioacchino da Fiore, che è stato nominato anche da Obama in un suo discorso, ha lasciato una serie di scritti e di immagini di non facile interpretazione e rimane una delle figure fondanti del viaggio colombiano. In un’eredità raccolta dai francescani spiritualisti, per un ritorno ad una Chiesa apostolica e primigenia, che sempre furono vicini a Colombo. Il quale non a caso, lasciando il Portogallo, raggiunse il convento de La Rabida per trascorrere interi anni con loro. Erano gli stessi francescani, che avevano percorso in lungo e in largo l’Oriente estremo, avendo certezza dell’esistenza delle Americhe. Dove i cinesi andavano da tempo.
Cristoforo Colombo morì a Valladolid, il 20 maggio 1506, per un attacco di cuore. Egli, però, aveva espressamente richiesto, nelle sue ultime volontà, di essere sepolto in America. Venne accontentato solo molto tempo dopo. Inizialmente, infatti, fu interrato nella cripta di un monastero a La Cartuja. E nel 1509, fu trasferito nella cattedrale di Siviglia. Ma fu solo nel 1537 che, finalmente, le sue spoglie e quelle del fratello Diego vennero condotte all’isola di Hispaniola, nella cattedrale di Santo Domingo. Nel 1795, però, a causa di alcuni intrighi politici, Santo Domingo venne ceduta ai francesi e al fine di impedire che i resti di Colombo finissero nelle loro mani, gli spagnoli li trasportarono prima a L’Avana e, nel 1898, di nuovo a Siviglia, all’interno di quel maestoso catafalco tutt’oggi visibile nella cattedrale della città.
Storia conclusa? Assolutamente no. Nel 1877, durante alcuni lavori di restauro nella cattedrale di Santo Domingo si rinvennero una cassa di piombo recante la scritta “Cristobal Colòn”. Che Colombo non se ne fosse, quindi, mai andato? I dominicani non hanno dubbi. E nel 1992, in occasione del 500° anniversario della scoperta delle Americhe, i resti del navigatore vennero traslati nel Faro di Colombo, un enorme monumento eretto per l’occasione.
La prova del DNA
Gli Spagnoli, però, non convinti che quelli fossero davvero i resti di Cristoforo Colombo, chiesero ad alcuni genetisti e storici di approfondire la questione. Nel 2003, perciò, venne confrontato il DNA delle ossa del Colombo sivigliano con quelle del fratello Diego, scoprendo l’assoluta connessione tra i due codici genetici. I resti nel sarcofago di Siviglia, perciò, sono veramente quelli del navigatore. Ma la prova del nove prevedeva che la medesima operazione venisse effettuata anche con i resti situati a Santo Domingo. Non era da escludere, infatti, che, durante i numerosi trasferimenti subiti dalla salma, qualche pezzo sia rimasto anche nell’isola caraibica. Ma le autorità dominicane hanno opposto un netto rifiuto.
Morale: ad oggi, non sappiamo se a Santo Domingo sia rimasta o meno qualche parte dei resti di Colombo. Così come non sappiamo dove siano le famose catene assieme alle quali egli voleva farsi seppellire. La questione, quindi, è ancora del tutto aperta.
6 agosto 2015
Cristoforo Colombo, l’uomo che scoprì le Americhe mentre cercava di trovare una nuova via verso le Indie Orientali, continua ad offrirci una messe di quesiti insoluti. Innanzitutto. Si pensava che le sue origini fossero genuinamente genovesi; invece no, perché pare che i cugini spagnoli e i cugini di secondo grado portoghesi abbiano avanzato l’ipotesi che il buon Colombo, o Colòn, fosse delle loro parti. Poi c’è il grande busillis riguardante il suo luogo di sepoltura.
Cuando se determine que los restos del Almirante Cristóbal Colón se encuentran en el Faro a Colón, en Santo Domingo, la República Dominicana podría obtener ingresos que podrían superar los 15.000.000 de Euros por el interés de observar las cenizas del hombre de Mar, a 524 años del Descubrimiento de América. Lo mismo aconteció en España con la exposición itinerante de los objetos históricos del Crucero Titanic, hallados en las profundidades del los océanos.
C'è qualcuno a Genova che conserva in un cassetto del suo studio un'ampollina con le ceneri di Cristoforo Colombo. L'ampolla, chiusa con un lembo di pelle, è sigillata con cera lacca rossa sulla cui superficie spiccano, per incisione, tre lettere dell'alfabeto: JBC. Ma cosa significa questa sigla, e come è mai possibile che un privato cittadino conservi nell'intimità della sua casa le ceneri di uno dei più grandi personaggi di tutti i tempi? Il proprietario della preziosa ampollina è un gentiluomo genovese che non desidera apparire. Nella sua casa sul mare accetta di buon grado di rispondere alle domande e spiega come è venuto in possesso della preziosa ampollina, ma nulla di più. Anche perché quei pochi grammi di cenere rossastra racchiusa nel vetro sono un ricordo di famiglia. E la storia viene da lontano, al di là dell'Oceano, durante una mattina del tardo Ottocento.
«Quel giorno - racconta il nostro ospite - il mio avo Juan Battista Cambiaso, ammiraglio, nativo e residente nell'isola di Santo Domingo, venne chiamato d'urgenza da un servitore del fratello che a quel tempo era console generale d'Italia nell'isola. Era il 10 settembre del 1877 e da diversi giorni una squadra di operai stava lavorando nella cattedrale alla ricerca dei resti di Cristoforo Colombo. Come si sa, il grande navigatore morì a Valladolid il 20 maggio del 1506 e nel 1537, dopo la morte del primogenito Diego Colombo Muniz, duca di Veragua e Grande di Spagna, la di lui vedova, Maria de Royas y Toledo, decise di trasferire i corpi di entrambi a Santo Domingo per adempiere alle ultime volontà dello stesso Cristoforo che desiderava riposare nel Nuovo Mondo. I resti di padre e figlio furono dunque caricati su una nave e tumulati in un punto non ben definito della cattedrale di Santo Domingo. C'è anche da dire che nel 1898, avendo perso anche l'ultima colonia nel Nuovo Mondo, gli spagnoli riesumarono i resti di quella che era ormai diventata la loro gloria nazionale e li riportarono in patria dove li sistemarono in una tomba monumentale nella cattedrale di Siviglia».
Ma allora come è possibile che ci fossero ancora dei resti a Santo Domingo?
«Il punto è proprio questo. I due fratelli Cambiaso, che appartenevano a un ramo della famiglia genovese trasferito probabilmente nel tardo Settecento a Santo Domingo, ritenevano che in qualche modo gli spagnoli si fossero sbagliati nel prendere i resti di Colombo. Ed è per questo che avevano convinto le autorità locali a intraprendere quella ricerca. E iurono fortunati. Perché quella mattina di settembre, scavando sotto l'altare maggiore, prima trovarono una vecchia bara con i resti di un certo Luigi Colombo, probabilmente un parente. Poi, andando più a fondo, saltò fuori una cassa di piombo al cui interno si trovavano 13 ossa grandi, 28 piccole e una pallottola di piombo. Sul coperchio, nella parte interna, c'era la scritta "Ilustrisimo y distinguido varòn, Don Cristobal Colon". Non solo: tra le ossa gli operai trovarono anche una placchetta d'argento con il nome dello stesso Colombo».
Dunque, secondo questa versione dei fatti, gli spagnoli si sarebbero davvero sbagliati?
«Non c'è dubbio. In ricordo del ritrovamento, che accertava Santo Domingo come sede della vera tomba di Colombo, le autorità locali donarono una piccolissima parte dei resti al fratello del mio avo, il console; un'altra parte più consistente al Comune di Genova, che ancora adesso la conserva in una teca a Palazzo Tursi, e il resto lo inumarono nella tomba monumentale che costruirono sull'isola e che chiamarono Faro a Colon. La si può visitare ancora adesso».
E quei resti come sono arrivati fino a lei?
«Il console italiano li regalò al fratello ammiraglio, appunto Juan Battista Cambiaso, il quale li versò in un ampollina che poi chiuse con la cera lacca apponendo il suo sigillo personale: JBC. Successivamente l'ammiraglio donò l'ampollina a sua sorella, Giuditta Cambiaso in Ventura, il cui figlio Miguel Ventura l'ha conservata tramandandola di generazione in generazione fino a me».
Ci sono documenti o prove che certifichino l'autenticità della scoperta e, quindi, di questi resti?
«Qui in casa mia, come posso farvi vedere, conservo ancora il documento ufficiale che venne preparato in quell'occasione per mostrare le varie fasi della scoperta. Il tempo vi ha lasciato il segno, ma si legge ancora tutto. Inoltre ho anche le dichiarazioni giurate dei miei avi che raccontano come si sono svolti i fatti e come sono entrati in possesso dei resti».
Lei si rende conto che, stando così le cose, gli scienziati dell'Università di Granada che stanno analizzando i resti conservati nella cattedrale di Siviglia, sono del tutto fuori pista...
«Infatti gli spagnoli a Siviglia con ogni probabilità conservano le ceneri del figlio Diego, e non di Colombo. I veri resti di Colombo sono rimasti a Santo Domingo».
C'è anche un'altra considerazione da fare: se Santo Domingo non dovesse autorizzare l'esame dei resti, come in un primo tempo sembrava, il Dna di Colombo potrebbe non trovarsi mai.
«A meno che gli spagnoli non chiedano di esaminare i resti conservati a Tursi. Quelli sono autentici. Dubito, però, che il Comune di Genova accetti di disfarsi di una simile reliquia».
DENVER, 09 May. 17
Existe un mito que afirma que tras su llegada a América, Cristóbal Colón abusó y esclavizó a los indígenas, a semejanza de los colonizadores españoles. Diversos especialistas desenmascaran estas acusaciones y afirman que todo es parte de un plan para desprestigiarlo.
La polémica alrededor del descubridor de América está nuevamente sobre el tapete tras la presentación de una iniciativa que busca suprimir el Día de Colón en el estado de Colorado en Estados Unidos.
Se trata del proyecto de ley del diputado estatal Joe Salazar, que afirma que no se debe conmemorar la fecha porque el viaje de Colón a América “desencadenó uno de los mayores tráficos de esclavos de la historia” y creó “un nivel de inhumanidad alrededor de los indígenas que existe hasta ahora”.
Para sustentar su posición, Salazar incluyó en el documento que presentó, tres párrafos de los escritos de Fray Bartolomé De las Casas, un importante dominico que fue el primer Obispo de Chiapas en México e incansable misionero que denunció los abusos que cometieron los colonizadores españoles contra los indígenas.
De las Casas describió que los españoles “actuaban como bestias voraces, matando, aterrorizando, afligiendo, torturando y destruyendo a los pueblos indígenas, haciendo todo esto con nuevos, extraños y variados métodos de crueldad de los que nunca se ha visto o escuchado antes”.
Relató también que cuando los españoles atacaban a los pueblos no tenían piedad de los niños, ancianos o embarazadas. Los acuchillaban y desmembraban “como si se tratara de ovejas en un matadero”. Añadió que incluso apostaban para ver quien mataba mejor.
De Las Casas señaló en sus escritos que los colonizadores perpetraron estos actos motivados por su “insaciable codicia y ambición” por el oro.
Estos crímenes son presentados en la iniciativa de Salazar como “los actos inhumanos de Colón”.
Ante estas acusaciones, diversos especialistas han defendido la figura de Cristóbal Colón como la antropóloga y profesora de la Universidad de Stanford, Carol Delaney, quien ha destacado los motivos religiosos del explorador italiano para realizar sus viajes.
En declaraciones a CNA -agencia en inglés del grupo ACI- Delaney indicó que “están culpando a Colón por cosas que no hizo. Los que las hicieron fue la gente que vino después de él, los colonizadores. Creo que ha sido terriblemente calumniado”.
La también autora del libro “Colón y la búsqueda de Jerusalén”, explicó que el descubridor de América tuvo una impresión favorable de los indígenas y que ordenó a sus hombres que no abusaran de ellos sino que entablaran relaciones comerciales.
Incluso llegó a colgar a quienes cometieron crímenes contra los indígenas.
“Cuando leí sus propios escritos y los documentos de quienes lo conocieron, parecía estar muy del lado de los indígenas”, indicó la experta.
La antropóloga explicó que la propia visión de Bartolomé De las Casas sobre Colón es más compleja. Otros expertos notaron que De Las Casas admiraba a Colón e incluso llegó a decir que el navegante italiano y España tuvieron un papel providencial en "abrir las puertas del Mar Océano".
De las Casas también pensaba que Colón fue tratado injustamente por los monarcas españoles cuando fue acusado de mala administración.
Delaney admitió que algunos de los indígenas fueron enviados a España como esclavos para trabajos forzados en el momento en que Colón era responsable de la región, pero atribuyó este maltrato a quienes lo reemplazaron en su ausencia.
En su segundo viaje, dijo la especialista, Colón llevó consigo a España a seis indígenas, pero no como esclavos sino “porque querían ir”.
La experta explicó un episodio de los viajes de Colón: luego de que encalló la carabela Santa María, el explorador italiano dejó 39 hombres en una isla del Caribe bajo estrictas órdenes de no saquear, no secuestrar ni violar a las mujeres, y comerciar a cambio de comida y oro.
“Cuando regresan de su segundo viaje, encontraron que los colonizadores habían sido asesinados”, expresó Delaney. La antropóloga indicó que el sacerdote que los acompañaba en esa travesía quiso matar al pueblo en venganza, pero Colón se opuso con firmeza.
La experta también destacó la relación de Colón con un líder indígena llamado Guacanagari. Su amistad fue tan buena que llegó a adoptar a uno de sus hijos. Este tomó el nombre de Diego, al igual que el hijo biológico del navegante italiano, y lo llegó a acompañar en sus tres últimos viajes.
Entre los críticos al proyecto de ley de Salazar, también están los Caballeros de Colón. Esta fraternidad católica fue fundada en 1882 y es la más grande del mundo. Se inspiraron en el nombre, los viajes y la fe de Colón, que en vida fue un reconocido católico.
En un correo electrónico enviado a sus miembros, los Caballeros de Colón indicaron que “los expertos han demostrado por mucho tiempo que De las Casas era propenso a la hipérbole y a la exageración y que el proyecto de ley no toma en cuenta los recientes estudios sobre De las Cosas o Colón”.
“El legado y las hazañas de Cristóbal Colón merecen ser celebradas. Él era un hombre adelantado a su época y un intrépido explorador y brillante navegante cuyo atrevido descubrimiento cambió el curso de la história”, continúan.
Añadieron que “con frecuencia Colón ha sido falsamente culpado por acciones de aquellos que vinieron después de él y es la víctima de calumnias horrendas sobre su conducta”.
Asimismo, uno de los voceros de Caballeros de Colón, Isaac Cuevas, explicó que “hace más de un siglo, el Ku Klux Klan en Colorado tenía en la mira a los católicos y a los italoestadounidenses. Una de las tácticas del Klan en todo Estados Unidos fue la denigración de Cristóbal Colón y el intento de supresión de la fiesta en su honor”, señaló.
.Afirmó que esta iniciativa “nos lleva de regreso a lo que el Klan esbozó en la década de 1920 con el fin de promover el resentimiento étnico y religioso y marginar e intimidar a las personas con diferentes creencias religiosas y orígenes étnicos”.
Esta no es la primera vez que Salazar promueve un proyecto de ley contra el Día de Colón. En el año 2016 lanzó una iniciativa para reemplazar esta fecha por el Día del Pueblo Indígena, pero fue rechazada en la legislatura estatal.
“Después de hablar con la comunidad de indios americanos y otras comunidades, ellos dijeron: ‘Realmente nunca queríamos un día: esto no es de lo que se trata. Esto se trata de suprimir un feriado del estado sobre un hombre que cometió un genocidio contra nuestro pueblo’”, expresó entonces Salazar al periódico Colorado Statesman.
Bajo la presión de algunos activistas indios norteamericanos y sus aliados, algunas localidades estadounidenses han dejado de celebrar el Día de Colón, mientras que otras han añadido festividades que buscan reconocer a quienes vivían en América antes de su llegada.
Por su parte, Delaney considera que el Día de Colón debe seguir celebrándose.
La figura de Cristóbal Colón ha sido importante para los católicos de Estados Unidos, especialmente para los italoestadounidenses, que vieron en su viaje pionero desde Europa una forma de validar su presencia en un país de mayoría protestante que a veces les era hostil.
Incluso durante el siglo XIX hubo propuestas para llevar adelante la causa de canonización del viajero italiano. En 1892 con ocasión del 400° aniversario del primer viaje de Colón, el Papa León XIII escribió la encíclica “Quarto Abeunte Saeculo” donde se refirió al deseo de Colón de difundir el catolicismo.
En ella el Pontífice también destacó cómo la fe católica de Colón motivó su viaje y lo apoyó en medio de sus fracasos.
Traducido y adaptado por María Ximena Rondón. Publicado originalmente en CNA.
Un libro di ore, con tanto di codicillo all’uso militare, appartenuto a Cristoforo Colombo viene conservato all’Accademia dei Lincei. Gli sarebbe stato regalato dal papa. Si dice Alessandro VI. Più probabilmente da Innocenzo VIII. Il documento per la verità è controverso. Anche se reca come firma il criptico sigillo di sette lettere maiuscole con il quale l’Ammiraglio si firmava. La stretta relazione con Roma e la dizione militare esulano, difatti, dalla consueta vulgata-barzelletta-d’antiquariato, che circola ancora grazie alla cecità e all’ignavia dei colombisti. Per cui meglio parlare di un falso. Anche se alcuni si stanno velocemente aggiornando copiando e “scientificamente” dimenticando, grazie a volte anche all’escamotage del romanzo-saggio, chi ha cercato da 27 anni di aprire loro gli occhi. Ma gli stessi accademici riconoscono che questo è un classico, a dimostrazione della correttezza e dell’onestà dei cosiddetti professori-baroni, non contenti di sfruttare i loro allievi. Dimostrandosi più abili nello scippo che nella ricerca. D’altronde anche se il libro d’ore fosse un falso varrebbe la pena di prenderlo in considerazione. Quale ne sarebbe lo scopo? Rivelare in qualche modo che Colombo era un soldato di Cristo e che era stato l’inviato in America di papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo?
“Ci sono un sacco di prove che Christopher Columbus era un uomo di fede che cerca di aiutare i suoi fratelli a fuggire ad una morte certa o alla conversione in Spagna e che sognava di ricostruire il terzo tempio santo di Gerusalemme”, ha osservato Roni Segal, consulente accademico per la Israel Institute di Studi biblici. La Georgetown University linguista Estelle Irizarry ha analizzato centinaia di lettere scritte a mano, diari e documenti di Colombo. Ha trovato che il linguaggio più utilizzato da Colombo era il 'Yiddish' altrimenti noto come “Ladino“.
Ladino è la lingua parlata dagli ebrei provenienti da paesi spagnoli. Il suo vocabolario è fatto di parole tratte dallo spagnolo, turco, greco ed ebraico. Oggi, si stima che tra 160.000 e 300.000 ebrei sefarditi (ebrei del Medio Oriente o di origine spagnola) in tutto il mondo hanno una certa conoscenza del ladino. Inoltre colpisce il fatto che in alto a sinistra, nelle 13 lettere Colombo scrisse a suo figlio, si leggono le lettere ebraiche beit-hay (ב"ה). “Anche oggi, gli ebrei osservanti mettono queste lettere ebraiche sui loro documenti”, ha continuato Segal. “E 'l'acronimo di b'ezrat Hashem (בעזרת השם), che significa 'con l'aiuto di Dio'. Colombo non ha incluso queste lettere ebraiche nelle comunicazioni inviate ad estranei e le ha omesse nella lettera che scrisse al re Ferdinando“. Diversi studiosi spagnoli, tra cui Jose Erugo, Celso Garcia de la Riega, Otero Sanchez e Nicholas Dias Perez, ritengono che Colombo era in realtà un marrano che cercano di sfuggire alle persecuzioni.
La sua partenza avviene il giorno dopo Tisha B'Av (il 15 ° giorno del mese ebraico di Av, o 3 agosto 1492) quando il primo e secondo templi sono stati distrutti. La data coincide anche con il termine di quattro mesi proposto dal re Ferdinando e dalla regina Isabella per gli ebrei spagnoli a lasciare la Spagna o a convertirsi al cattolicesimo. Nel suo testamento ha chiesto una parte del suo reddito andasse ai poveri e per fornire una dote alle spose bisognose. Si tratta di un'usanza ebraica comune. Inoltre, ha lasciato i soldi per un Ebreo che ha vissuto nel quartiere ebraico di Lisbona. Simon Weisenthal scrive nel suo libro “Vele di speranza” che il viaggio di Colombo è stato motivata dal desiderio di trovare un rifugio sicuro per gli ebrei e per sfuggire all'Inquisizione spagnola. Colombo era un uomo profondamente religioso che ha sempre cercato di finanziare il ritorno di Gerusalemme e la ricostruzione del suo tempio santo.
Colombo ha firmato il suo testamento con una firma triangolare di punti e lettere simili a quanto si può leggere sulle lapidi dei cimiteri ebraici spagnoli. Criptogramma che ordinò ai suoi eredi di utilizzare come simbolo in perpetuo.
Anche se la storia sostiene che viaggio di Colombo è stato finanziato dalla regina Isabella, in realtà sembra che molti conversos ebrei ed ebrei importanti abbiano dato all'esploratore un prestito senza interessi. Numerose sono le citazioni di Isaia e di altri profeti nel “Libro delle profezie”. Alla luce di questi fatti, la scoperta l'America, un paese simboleggiato da tolleranza religiosa e dalla libertà, va di pari passo con la sua eredità ebraica.
En enero de 1524, el administrador Diego Colón se encontraba en la corte de España tratando de resolver con el emperador Carlos V algunos problemas que tenía. En seguimiento del monarca, Diego sale rumbo a Sevilla. Lamentablemente en el camino enferma y muere en casa de Alonso Téllez Pacheco, en Puebla de Montalbán, el 23 de febrero de 1526. Sepultado en la cartuja de las Cuevas de Sevilla, durante muchos años permaneció en ese lugar, hasta que fue llevado a la ciudad de Santo Domingo, en la isla de La Española, que durante mucho tiempo gobernó. Diego había nacido alrededor de 1482, en la isla de Porto Santo, en el archipiélago de Madeira.
Era hijo de Cristóbal Colón y de la portuguesa Felipa Moñiz. La imagen romántica de Colón la presentan cuando este va por los caminos de la península Ibérica, rumbo a la ciudad de Huelva, con un niño pequeño tomado amorosamente de la mano. Colón pretendía dejar al pequeño de tres años con sus cuñados Miguel Muliart y Violante Moñiz, mientras él se entrevistaba en la corte con los monarcas, a fin de exponerles su proyecto de exploración, que lo llevaría a las Indias, navegando por el occidente. En el trayecto, padre e hijo visitaron por vez primera el monasterio de La Rábida. Fracasadas sus gestiones, en el otoño de 1491 Cristóbal Colón regresa a Huelva y recoge a su hijo y regresan a su tierr
Abbiamo già visto che la leggenda dell’uovo di Colombo appartiene ad un evento precedente riguardante il Brunelleschi. La figura-simbolo dell’uovo, in quanto segnale di vita nuova-mondo-nuovo-resurrezione, nella sua dimensione cosmica o alchemica, può però ugualmente e perfettamente calzare per quanto riguarda l’impresa del navigatore. A questo proposito proponiamo un excursus tratto da un sito circa l’interpretazione in varie culture della figura dell’uovo. Accompagnandole con alcune immagini alchemiche ed un quadro di Salvador Dalì intitolato “L’aurora”.
L'uovo di Colombo è un aneddoto popolare diffuso come modo di dire in diverse lingue per designare una soluzione insospettatamente semplice a un problema apparentemente impossibile. L'origine è riconducibile a un aneddoto popolare, probabilmente falso, che ha per protagonista il navigatore genovese Cristoforo Colombo.
Dopo il suo ritorno dall'America nel 1493, Colombo fu invitato a una cena in suo onore dal cardinale Mendoza. Qui alcuni gentiluomini spagnoli cercarono di sminuire la sua impresa dicendo che la scoperta del Nuovo Mondo non sarebbe stata poi così difficile e che chiunque avrebbe potuto riuscirci se avesse avuto i suoi mezzi. Udito questo, Colombo si indignò, e sfidò i nobili spagnoli in un'impresa altrettanto facile: far stare un uovo dritto sul tavolo. Ognuno di loro fece numerosi tentativi, ma nessuno ci riuscì e rinunciarono all'impresa. Si convinsero che si trattava di un problema insolubile e pregarono Colombo di dimostrare come risolverlo, cosa che lui fece immediatamente: si limitò a praticare una lieve ammaccatura all'estremità dell'uovo, picchiandolo leggermente contro lo spigolo del tavolo. L'uovo rimase dritto. Quando gli astanti protestarono dicendo che lo stesso avrebbero potuto fare anche loro, Colombo rispose: «La differenza, signori miei, è che voi avreste potuto farlo, io invece l'ho fatto!».
L'attribuzione dell'aneddoto a Cristoforo Colombo si ritrova per la prima volta in un'opera dello storico Girolamo Benzoni. In precedenza l'aneddoto era stato attribuito all'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi dal suo concittadino Giorgio Vasari. Brunelleschi voleva assicurarsi l'appalto per la costruzione della cupola del Duomo di Santa Maria del Fiore (la famosa cupola del Brunelleschi). Invitato a spiegare i dettagli del metodo che intendeva usare per elevare la cupola, avrebbe sfidato i suoi concorrenti a far star dritto un uovo sul tavolo. L'aneddoto prosegue come nel racconto attribuito a Colombo, ma la conclusione (se non altro più adeguata al contesto) è il commento finale di Brunelleschi, che riportiamo nelle parole di Vasari: rispose loro Filippo, ridendo, che gli arebbono ancora saputo voltare la cupola, vedendo il modello o il disegno. Tuttavia, lo stesso Vasari ammise di essere venuto a conoscenza dell'episodio solo per sentito dire.
Il duca di Medinaceli e il duca di Medinasidonia, i due grandi di Spagna, sostennero lo “sconosciuto straniero” Cristoforo Colombo, che fu anche loro ospite. Le loro ricchezze erano superiori a quelle dei reali e si offrirono di finanziare la spedizione del navigatore, ma ottennero un rifiuto da Isabella e Ferdinando. Strani incontri e relazioni per un “marinaretto povero e ignorante”, come vorrebbe la esilarante tradizione. Probabilmente una solidarietà fra cavalieri (come spesso è rappresentato, con un cimiero, Colombo), senza contare che la parola Medina, presente nei due cognomi, indica chiaramente una connivenza con l’Islam di El Andalus. In linea con il pontificato di un papa, Innocenzo VIII, figlio di un Aronne (ebreo) e nipote di una Sarracina (musulmana), che inseguiva, prima della definitiva crociata con l’oro che sarebbe venuto dalle Indie, l’estremo tentativo di una pace fra le tre grandi religioni del libro. Grazie all’inviato Christo Ferens, come si firmava Colombo. Che nel suo criptogramma misterico aggiungeva una X una M e una Y: Cristo, Maometto, Yaweh. Chi ci segue sa anche che Colombo aveva uno stemma, che fu confermato e arricchito di nuovi quarti, dopo il successo del suo viaggio, dalle teste coronate di Spagna. Qualcuno si premurò di aggiungere in seguito “Por Castilla y por Leon Nuevo Mundo hallò Colòn”. L’ennesimo gioco di prestigio per falsare la storia. Leone (presente anche nello stemma dell’isola greca di Chio, presunta patria dell’ammiraglio) e castello erano quanto mai comuni negli stemmi. Basta guardare quelli proprio dei due grandi di spagna, per metà quasi identici (a sinistra Medinaceli a seguire Medina Sidonia e poi quelli di Colombo) a quelli del navigatore. E soprattutto quello (ultimo a destra) dei re cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, che non ha nulla a che vedere con gli stemmi precedenti.
Nel corridoio delle carte geografiche, presso i Musei vaticani in San Pietro, si può vedere questa bellissima mappa, dove nel mare azzurro figura un Cristoforo Colombo ligure nei panni di un Nettuno con il tridente e un mappamondo sormontato dalla croce. Il navigatore è definito “Ligur”, il che potrebbe dire troppe cose per poter risolvere l’annosa questione della sua nascita. Problema che consideriamo minore e fatto solo di controversie di bandiera e nazionalistiche. Come già detto Colombo è la personificazione dell’uomo vitruviano, dell’uomo universale. Piuttosto molto più indicativa ci sembra questa sua collocazione fra le mura vaticane, onore che non è stato mai attribuito ad altri navigatori. E tanto più che diversi suoi ritratti sono stati commissionati da uomini di chiesa. Perché? Colombo quando fu messo in catene ed in morte indossò un saio di panno marrone, simile a quello dei francescani. Frequentò francescani spiritualisti. Si definì legato e ambasciatore della Chiesa. Si scrisse con tre pontefici, ha un nome quanto mai simbolico, portatore di Cristo. Pio IX e Leone XIII hanno cercato di farlo santo. Non basterebbe questo a fare comprendere che Colombo fu un uomo “partorito” da Roma e dal pontefice Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo (1484-1492)? E che soprattutto il suo identikit non è nemmeno lontanamente quello che la storia ci ha consegnato?
Anche gli accademici e i colombisti, persino quelli della cosidetta “scuola di Genova” (ignoravano persino il “Dominus orbis” del tempo, il cittadino genovese Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo), non si sono mai occupati o forse peggio non se ne sono nemmeno accorti, che altri due papi di non poco conto, come Pio IX e Leone XIII, hanno cercato di fare santo Cristoforo Colombo. Trascurando un particolare fondamentale nella ricostruzione dell’identikit del vero navigatore: il mistico, il profeta, l’uomo di Chiesa, il cavaliere. Che nei ritratti è spesso rappresentato come un monaco e che nei momenti di disgrazia, quando gli misero le catene ed in morte indossò il saio francescano. Il riscatto di Gerusalemme e della casa santa era il suo principale obiettivo. La causa è in sonno, nonostante la categorica affermazione di Leone XIII: “Colombo è nostro, quello che ha fatto lo ha fatto per la Chiesa”. Mentre Pio IX scriveva: “Quando si conosceranno i documenti …”. Le carte sono pertanto in Vaticano. Che continua a tacere, condannando al fango secolare il suo “Servo di Dio”. Come tale, difatti, è annoverato in un enciclopedico lavoro nel quale sono riuniti tutti i santi (e non solo) della Chiesa cattolica. Frutto di Padre Alimonti, appartenente all’Ordine dei Cappuccini, fondato da Caterina Cybo. Guarda caso discendente di papa Innocenzo VIII. Ma il caso, come ha detto qualcuno, è come i laici chiamano la mano di Dio.
Il "Catalogus ac status causarum beatificationis Servorum Dei et canonizationis Beatorum Ordinis Minorum" riporta il Servo di Dio Christophorus Colombo qualificandolo quale "confessore" ed illustre terziario francescano.
In risposta alla vergognosa campagna che vede gli Stati Uniti e alcuni paesi del Sudamerica schierati contro Colombo in una clamorosa “fakenews” frutto di una sesquipedale ignoranza e in più di un caso temiamo di un calcolo preciso riportiamo parzialmente, sia pure con qualche riserva per quanto riguarda l’interpretazione del misterioso criptogramma con cui il navigatore si firma, quanto si commenta a proposito dell’ inserimento di Cristoforo Colombo fra i “Servi di Dio”.
Nel suo secondo pellegrinaggio apostolico in Argentina, Papa Giovanni Paolo II si è espresso sul significato storico della scoperta e della conseguente opera di evangelizzazione [dell'America]: "Negli uomini e nelle donne di questa terra, nei suoi costumi e nel suo stile di vita perfino nella sua architettura, si scoprono i frutti di quell’incontro di due mondi che ebbe luogo quando giunsero i primi spagnoli ed entrarono in contatto con i popoli indigeni che vivevano in questa regione, e in modo particolare con la cultura quechua-aymarà. "Da questo incontro fruttuoso è nata la vostra cultura, vivificata dalla fede cattolica che, fin dall’inizio, si è radicata molto profondamente in queste terre".Appare perciò utile un’opera chiarificatrice, che deve cominciare proprio dalla personalità di Cristoforo Colombo, il primo artefice della scoperta. Infatti, anche sulla sua figura si accaniscono nuovi detrattori, che riprendono vecchi tentativi di ridimensionamento, ipotesi prive di fondamento, interpretazioni non rispondenti a quanto la ricerca storica ha ormai acquisito pur nella difficoltà oggettiva delle fonti.
Né giovano a una buona comprensione della personalità dell’Ammiraglio certe prospettive insistenti su una sua presunta "modernità", che lo avrebbe portato a superare e a vincere i pregiudizi medievali. Queste prospettive riprendono la posizione largamente dominante nella cultura illuminista, che esaltò il personaggio Cristoforo Colombo e la sua scoperta, "triomphe de la raison", infamando, al tempo stesso, la Spagna e la civiltà cattolica.
Anche la formula adottata da Paolo Emilio Taviani, "una psicologia moderna su base medievale", secondo cui Cristoforo Colombo si collocherebbe "in mezzo tra due età", perché medievali sarebbero "l’impostazione teorica [...], la visione filosofica e teologica e gli stessi presupposti delle sue concezioni scientifiche", mentre rinascimentali "il suo ardore investigativo, il vivissimo sentimento della natura, la capacità di affrontare le spiegazioni dei fatti fino ad allora non ancora osservati o spiegati", paga un tributo non accettabile a una visione convenzionale della curiosità "scientifica" e ell’atteggiamentomedievale verso le realtà della natura. In verità, è impossibile comprendere l’uomo Cristoforo Colombo senza intenderne le profonde radici cattoliche e medievali, senza inquadrarlo nel suo tempo e senza porlo al punto cruciale di una generale espansione europea: piuttosto che tentare una biografia, ci sembra opportuno insistere proprio su questa chiave di lettura e su alcune questioni a essa connesse.
Certamente in Cristoforo Colombo e in coloro che lo seguirono, come in generale nell’espansione europea della fine del Medioevo, non sonoda trascurare le motivazioni di tipo economico e, in particolare, la ricerca dell’oro, senza dimenticare che, a partire dagli anni Quaranta del secolo XV, per i portoghesi acquista crescente importanza anche la cattura di schiavi lungo le coste africane: ma questa motivazione economica è assente dal progetto del navigatore genovese; più in generale, in tale espansione si manifesta "l’incoercibile bisogno, più o meno cosciente, di spazio", non per eccesso di popolazione — le grandi epidemie di peste del secolo precedente avevano abbattuto di circa il 40% la popolazione europea —, ma per la ricerca di orizzonti più ampi, anche in relazione al serrarsi del Mediterraneo Orientale per l’avanzata dei turchi ottomani e al completamento della Reconquista.
Inoltre, per Cristoforo Colombo le motivazioni di ordine religioso avevano un peso notevole, che sarebbe estremamente ingiusto e arbitrario ridurre a giustificazioni strumentali o a residui poco significativi di riti o di pratiche a carattere magico e superstizioso. E ciò va ribadito contro gli storici moderni poco propensi a prendere in considerazione il richiamo religioso; essi, come ha osservato Jacques Heers, "se ne parlano, vi vedono un elemento troppo trascurabile per evocarlo in maniera attenta, oppure un semplice pretesto. Molti pensano volentieri che il Genovese parlasse di dovere religioso, di servizio di Cristo e di prospettive di evangelizzazione solo per conciliarsi meglio le buone grazie della regina attraverso una manovra interessata".
In base alle nostre ricerche resta dunque assodato (vedi la sequenza araldica in basso in prima pagina) che la famiglia Colombo era una stirpe di nobili cavalieri, che non ha nulla a che vedere con le umili origini dei presunti genitori genovesi, Domenico Colombo e Susanna Fontanarossa. Compresa la falsa casa che, nella Superba, viene spacciata come abitazione del navigatore. Ma di quale ordine cavalleresco potrebbe avere fatto parte Colombo? Sicuramente un ordine erede anche di disegni templari, non a caso sulle sue vele compare una croce a otto punte, rossa in campo bianco, così come molti dei pavesi, che adornavano la sua nave la Santa Maria e le due caravelle, la Nina e la Pinta. Senza contare che in Portogallo il navigatore frequentò i “Cavalieri di Cristo”: erano gli stessi Templari i quali si limitarono a cambiare solo il nome. La croce rossa in campo bianco è anche la croce di Resurrezione presente in tutti i capolavori pittorici di Cristo che sale in cielo. In un periodo in cui era ossessiva l’attesa escatologica, in previsione dell’apocalisse-rivelazione. Come si verificherà con la scoperta dell’America. Ma a questo punto la ricerca si fa più complicata. Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il pontefice “greco-genovese”, che finanziò la spedizione, riuscì a fare quello che altri papi avevano tentato senza riuscirci. Riunire cioè in un ordine unico tutti i vari ordini per un’eventuale ultima crociata con l’oro delle Indie, se non fosse stata possibile la pace con l’Islam. Quindi il cavaliere Colombo con la sua “armada” (così nei documenti viene definita la spedizione) rappresenta il Gran Maestro di un’impresa militare, assimilata anche questa a crociata, che avrebbe portato alla conquista e all’evangelizzazione del Nuovo Mondo. Che la Chiesa non poteva più continuare ad ignorare. Scavalcando la sacralità e il dogma dell’ecumene divisa in tre parti come una Trinità. Il che equivaleva ad un’eresia che solo la stessa Chiesa poteva governare andando contro quanto avevano scritto e codificato i padri della Chiesa.
Nella storia di Cristoforo Colombo troppi particolari non sono stati presi in considerazione. Per non venire in contrasto con quanto si ripete a pappagallo da 500 anni. Pur di oscurare persino l’evidenza, nella pavidità complice o nella disattenzione degli studiosi. Nel più grande inganno nella storia dell’umanità. Una conferma ce la danno ritratti e stemmi. Lasciando stare molti di quelli del navigatore, in cui compare fra l’altro quasi sempre vestito con un saio, come un monaco, prendiamo ora ad esempio quello del fratello Diego, quello del fratello Bartolomeo e due dei tanti emblemi di Colombo. Nelle immagini vediamo pertanto da sinistra verso destra e dall’alto uno stemma dell’Ammiraglio, il fratello Diego (forse in omaggio al santo spagnolo Santiago de Compostela) Bartolomeo e l’emblema della famiglia Colombo. Che Compare ridotto in basso anche in quello iniziale a sinistra e in bianco e nero. A dimostrazione che non era un “vu cumprà”, come ancora si continua ad insegnare a scuola. Nella versione a colori le tonalità sono pressoché identiche a quelle di papa Cybo (in basso a sinistra). La banda trasversale con l’azzurro rimanda in araldica anche al simbolo dell’oceano. Concentrandoci ora sullo stemma colombiano (da sinistra in alto) scorgiamo un castello uguale a quello che compare nel blasone dell’isola greca di Chio. Dove Colombo si recò per circa un anno. Il che avvalorerebbe la sua origine greco-genovese, visto che di quella località fa menzione nei suoi scritti. Tanto più che la caratteristica di quella terra, come si può rilevare andando su internet, è la terra rossa e il figlio di Colombo Fernando scrive che il padre era di Terrarossa (Terrarubra). C’è da aggiungere che i Cybo, la genia greco-genovese di papa Innocenzo VIII, erano i signori di quella terra. A destra un leone rampante, elemento che fa parte dello scudo gentilizio dei Perestrello (Felipa Perestrello, morta prematuramente, fu la moglie e la sfortunata compagna di Cristoforo,) e di quello del cardinale veneziano Barbo. Marco Barbo era il nipote di papa Paolo II, Pietro Barbo (1464-1471). Curiosamente nella sala del mappamondo del Mantegna a Palazzo Venezia, dove Innocenzo morì, lo stemma del pontefice è unito a quello del cardinale patriarca di Aquileia. Almeno a me non risultano casi analoghi. Il leone è simbolo cristologico e potrebbe significare anche la tribù di Giuda, nella componente di sangue ebraico presente quasi sicuramente sia per Colombo che per papa Innocenzo. In basso a sinistra le isole (dorate quando lo stemma è a colori) si riferiscono alle sue “scoperte”. C’è infine da rilevare che Colombo dice che “chi sa leggere e scrivere” (altro elemento che la dice lunga sulla sua preparazione non certo da marinaretto, mentre persino Isabella di Castiglia non sapeva scrivere bene) lo fa in quattro modi differenti, come Dante. Di qui la certezza che lo scudo del navigatore nasconda altri significati. Se qualcuno ha qualche idea in proposito saremmo felici di avere qualche indicazione. Infine quattro ancore (in tutti gli altri emblemi ne compaiono cinque!): testimoniano sicuramente il suo ruolo di uomo del mare e la carica di ammiraglio. Ammiraglio? Per la verità tutte le figure dei tre Colombo sono contrassegnate da un unico elemento comune: un cimiero con pennacchio ed un elmo. Inequivocabile testimonianza di una stirpe di nobili cavalieri e di gentiluomini di antica schiatta. Con Colombo insuperabile monaco-cavaliere.
Nel 1492, nell’arco di tempo compreso fra agosto ed ottobre, si perfezionò la quadratura del cerchio. Facendo ricongiungere, come scrive di suo pugno Cristoforo Colombo, l’alfa e l’omega (evidentemente conosceva anche il greco), il principio e la fine. Colombo in effetti la realizzava con un mondo finalmente sferico. Inteso geograficamente e spiritualmente, visto che pensa di avere raggiunto il Paradiso terrestre. Che secondo le credenze del tempo era posto all’estremo Oriente. In una sintesi che abbiamo cercato di fare con la misteriosa firma di Colombo. Dove il cerchio rappresenta il cielo e il quadrato la terra, secondo il simbolismo del tempo. La prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, usate nell’Apocalisse (1,8: «Ego sum alpha et omega, principium et finis»; cf. 21,6; 22,13) solo l’equivalente dell’eterna essenza del Cristo. Alla fine del terzo secolo le lettere nei loro segni (A, ω, Ω, anche nella corrispondente forma latina AO), passarono nell’arte cristiana, specialmente in opposizione all’arianesimo. Spesso si trovano in unione al monogramma di Cristo. Nelle monete imperiali l’introduzione del simbolo e del monogramma risale all’anno successivo alla morte di Costantino.
COLOMB, GRAND MAITRE DU TEMPLE
Un des grands mystères attachés à Christophe Colomb, outre ceux de sa naissance et de la paternité de la découverte de l’Amérique, est celui de sa signature dont voici la reproduction. Pour Maurice Privat et Joseph Hariz [1], Colomb était magicien, et sa signature prouve son appartenance à L’Ordre du Temple, dont il aurait été le Grand Maitre. Cette signature contient deux triangles pointés (nous en voyons quatre !). « La dernière ligne xpo ferens qui signifie Christoferens, exprimait la devise de Colomb, le porteur du Christ, devenue son prénom. La troisième ligne fait allusion au fait qu’il combattait les Maures sous les murs de Grenade, en costume de franciscain [2]. C’est sous la bure monacale qu’il débarqua après son deuxième et son quatrième voyage… X, M, Y, expriment Christ, Marie ou Méryen, Joseph ou Yousouf, les mots de reconnaissance des tertiaires. Il ne restait plus à trouver que la clef du triangle ainsi formé. Éliminons l’A central (Maurice Privat a vite raison des difficultés !) et nous obtenons le triple triangle. Nous y reconnaissons la figuration des pyramides d’Égypte. Colomb atteste donc indiscutablement son initiation … »
[1] Le Grand Nostradamus No 1, mai 1934. Cette revue a cessé de paraître vers 1936.
[2] C’est une allégation dont nous n’avons trouvé trace nulle part.
— Robert Charroux, Le livre du passé mystérieux (1973)
La nonna di Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, era una Malocello
Raggiungere l’America era possibile e lo è tuttora, per chi si avventura con le vele nell’oceano Atlantico, solo prendendo i venti giusti dalle isole Canarie. Da dove Colombo trasse questa conoscenza? E’ interessante rilevare che un unico sottile “fil rouge” lega lo scopritore delle isole, il ligure (Varazze) Lanzarotto Malocello (personaggio di cui si hanno scarsissime notizie certe e del quale non si conosce con esattezza né la data di nascita né quella della morte), che vi approdò nella prima metà del Trecento, al “cittadino” genovese Cristoforo Colombo. In una sequenza che fa inequivocabilmente parte di un filone cavalleresco (Lanzarotto non a caso viene detto anche Lancillotto) indissolubilmente vicino alla Chiesa di Roma. Il dato più importante e a questo punto eclatante è dato dal fatto che la nonna di Papa Innocenzo VIII era una Malocello: ovvero Sarracina Marucella (cognome che equivale proprio a una delle versioni di Malocello). A fare da ulteriore “trait d’union” la nobile e ricca famiglia dei Fieschi, fra i massimi esponenti della Superba. Che espressero papa Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna (Manarola 1195 circa – Napoli, 7 dicembre 1254). Fu il 180º papa della Chiesa cattolica dal 1243 alla sua morte. Al suo pontificato si ispirerà propio Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, il papa “cittadino” genovese che “sponsorizzò” integralmente l’impresa di Colombo e che fu il suo mentore. Lanzarotto sposò Eliana Fieschi, casato di cui era consanguineo lo stesso Colombo. E’ lui stesso a dichiararlo e la conferma arriva da Las Casas.
Sono molti gli indizzi che dimostrano che Colombo conosceva la lingua greca.
Una teoria plausibile sostiene che Colombo possa essere nato a Chio che faceva parte dei possedimenti genovesi del mare Egeo.
Il cinquecentennale rebus di dove sia nato Colombo per la verità non lo riteniamo il più importante nell’infinito “mistero” della scoperta dell’America. Perché Colombo resta, almeno per me, l’uomo che fa da perfetta cesura perfetta fra Medioe Evo e Rinascimento: il primo uomo universale, come nell’uomo vitruviano di Leonardo. E il protagonista, con papa Cybo, Innocenzo VIII, del più grande inganno della storia umana.
San Bernardino alle Ossa, insieme all’Ossario, affonda le sue origini nel XIII secolo condividendole con l’antico e non più esistente ospedale del Brolo, destinato alla cura dei lebbrosi. L’ospedale venne edificato nel 1127 insieme ad un cimitero e solo nel 1210 venne costruita la camera destinata ad accogliere le ossa dei malati defunti. La primitiva Chiesa di San Bernardino alle Ossa sorse nel 1269 proprio al fianco dell’Ossario…
Nella cappella a destra dell’unica navata, c’è un altare barocco di marmo con una pala, opera di Federico Ferrario, che rappresenta “Santa Maria Maddalena in casa del fariseo”. Nella stessa cappella c’è la tomba di famiglia di alcuni discendenti, in linea materna, di Cristoforo Colombo: Pietro Antonio e Giovanni di Portogallo Colon Conti della Puela e della Veragua. Ai lati dell’altare sono visibili gli stemmi della famiglia con il motto: “Colon diede il Nuovo Mondo alla Castiglia e al Leon”.
Wikipedia riporta che nella cappella vi sia l’iscrizione “Pietro Antonio e Giovanni di Portogallo Colon Conti della Puela e della Veragua” ma di questa iscrizione non c’è alcuna traccia. Ho chiesto al custode se ci fosse un’iscrizione sotto il tappeto rosso (con pianta annessa) ai piedi dell’altare che si vede nella foto ma mi ha risposto negativamente.
La chiesa a Palermo di San Giorgio dei genovesi è collocata in prossimità del porto della città, la chiesa è stata fatta edificare da ricchi mercanti genovesi, che erano molto numerosi, su progetto di Giorgio Di Faccio. L'edifico che riprende i modelli architettonici tardo rinascimentali, custodisce al suo interno le sepolture di note famiglie genovesi tra le quali si ricorda quella di Nicola Colombo, parente dello scopritore d'America. L’iscrizione riportata sulla lastra tombale che riporta lo stemma colombiano recita: “Son ligure per nascita Siciliano in morte adesso memore della dolce patria mi sono addormentato in Sicilia e da ligure son sepolto nel tempio dei liguri. ”Fra gli altri loculi si ricorda quello della pittrice cremonese Sofonisba Anguissola, sposata in seconde nozze con un ricco mercante genovese stabilitosi a Palermo. Notevoli anche i capolavori pittorici presenti. Tra questi si sottolineano le tre grandi pale d'altare di Jacopo Palma il Giovane e la Madonna del Rosario di Luca Giordano realizzata nel 1672.
Credere o dubitare? Marco Polo o Cristoforo Colombo? La via della salvezza cristiana si intreccia indissolubilmente con la bramosia di potere che domina spesso l'animo umano. Fidarsi dei racconti scritti da un uomo che viaggiò e vide... o credere che la scoperta del Nuovo Mondo avvenne per caso?
Si possono esaminare carte, si possono esaminare mappamondi. Erano, nella non conoscenza totale dei due emisferi, lavori “in progress”. Per giustificare la presenza di terre “scomode”, che non dovrebbero comparire, dato che verranno “scoperte” solo successivamente, gli studiosi affermano che i geografi ritraevano anche ciò che ignoravano, ma di cui presumevano soltanto l’esistenza. Se non altro per bilanciare il peso dei continenti sulla sfera del mondo. Un ragionamento tanto risibile quanto pretestuoso. Se l’Antartide ricorrente in quelle carte, secoli prima di essere scoperta, tutto sommato, non è molto diversa da quella che conosceremo, perché altrettanto non accade per le Americhe, che non appaiono mai? Perché si disegnerebbe un terra artica al sud inospitale e refrattaria ad ogni colonizzazione, ricca solo di ghiaccio (per la verità si disegna anche un’Antartide popolabile, come nelle ere precedenti)? E non un’India-cornucopia ricolma di ogni ben di Dio, un oriente estremo eternamente vagheggiato, al punto da essere il toponimo corrispondente al paradiso in terra? O dell’Eden si aveva e si doveva avere una conoscenza segreta? O reale, ma forse parziale, tanto da fare credere che potesse essere un’isola o più isole, in un interrogativo non risolto? Che impedisce di poterle chiamare continente?
Una Geografia di Tolomeo di quell'anno mostra interamente il nord ed il sud America oltre ad una sconfinata terra verde che dovrebbe essere l'Australia e che verrà scoperta solo secoli dopo.
Una mappa sconcertante, una mappa per alcuni aspetti incredibile. Più sorprendente e sconvolgente, per molti aspetti, di quella che anni fa scoprii, sì scoprii per primo, affrescata nelle stanze di Teglio. Una mappa ancora una volta immersa nel mistero. Da oltre venti anni ormai “navighiamo” sulle orme di Cristoforo Colombo, per ribaltare quella “barzelletta d’antiquariato”, che ci propinano da oltre cinque secoli in merito alla “scoperta dell’America”. L’evento che ha cambiato le sorti del mondo e dell’umanità. È ovvio che, in questo contesto, ci si debba occupare anche di carte geografiche, il che non è sempre facile ed agevole per chi si addentra in perfetta buona fede e con tanta buona volontà, ma non possedendo gli strumenti del mestiere, con tutti i rischi del caso, in quel labirinto, pieno di colori ed immagini, di didascalie e di inchiostri, rappresentato dalle antiche mappe geografiche. Quanto meno di quelle superstiti, perché la storia, in questa fascinosa branca del sapere, pare costellata da un vero e proprio “mappicidio”. In un cimitero di capolavori spariti. Difatti sono decisamente di più le carte perdute che quelle sopravvissute. Anche in questo caso dovremmo chiederci perché.
La missione di Marco Polo sembra presentare il medesimo copione riproposto da Colombo secoli dopo.
Le informazioni contenute ne "Il Milione" potrebbero aver influenzato il navigatore che, nella descrizione del misterioso Cipango dei Polo, trovò forse ispirazione.
Marco Polo, un altro italiano, un altro viaggiatore, un altro mistero. Anche di lui si conosce molto poco. Le congetture superano la verità. Al punto che, anche per Marco Polo si è detto che potrebbe non essere esistito. Un nome che rimanda all’autore del secondo Vangelo, che fu il primo vescovo della mitica Alessandria, con la biblioteca fonte del sapere. Dove fondò la prima chiesa cristiana. Fra i suoi attributi c’è, guarda caso, un libro. Cosa vuole significare? La tradizione lo chiama con il nome che porta ai nostri giorni, ma negli “Atti degli apostoli” è chiamato anche “Giovanni soprannominato Marco”. Quanti richiami ai Giovanni, a cominciare da papa Cybo, nei meandri della storia più segreta come in quella di Colombo! Polo, da nord a sud, fa riferimento ad una geografia ancora da completare, fra i due punti glaciali ed estremi del mondo. Qualcuno aggiunge che il veneziano non possa avere raggiunto la Cina, visto che non fa mai menzione della muraglia cinese, un’opera ciclopica, che non poteva passare inosservata. Coincidenze, suggestioni, supposizioni…
L'Arrivo (a destra) dei fratelli Polo a Hormuz", Miniatura tratta da un codice del XIV secolo de "Il Milione" (Parigi, Biblioteca Nazionale). Curioso che il cappello dei fratelli Polo sia simile a quello indossato dagli Ebrei ( a sinistra).
Tra Cristoforo Colombo e Marco Polo vi è più di un ideale legame. Il navigatore genovese trasse le sue informazioni anche grazie al "Milione" scritto dal noto viaggiatore veneziano.
Non c'era solo una carta geografica. C'era anche un libro, anzi più di un libro, all'origine del progetto di Cristoforo Colombo. Ma soprattutto un vecchio libro, un libro antico. Lo si dichiara nei "Pleitos colombinos", il lungo processo che i discendenti di Colombo avranno con la corte spagnola. Lo conferma, ripetutamente, Piri Reis, l'ammiraglio turco. Un testo che risaliva a quale tempo? Ancora una volta potrebbe provenire dalla biblioteca di Alessandria. O era stato redatto in epoca anteriore? Colombo leggeva, si informava. Prendeva appunti e annotava. Postillava con pazienza monacale e maniacale le pagine. Della sua biblioteca è rimasto poco. Abbastanza, tuttavia, per comprendere chi poteva effettivamente essere questo singolare uomo di mare. Soprattutto se si riflette che, ai suoi tempi, i testi avevano un costo molto alto (sarà il caso di rammentare a qualcuno che non esistevano i pocket) e la loro diffusione era estremamente circoscritta. Il che non si concilia con le possibilità e le inclinazioni di un modesto marinaio. Il sapere era custodito dagli uomini di Chiesa. Si apriva non alle masse, con l'invenzione di Gutemberg, ma solo ai ricchi. Eppure il navigatore, a dispetto dell'ignoranza che gli si vuole attribuire, scriveva nel 1501: "Nostro Signore mi fece conoscere quanto bastava di astrologia (l'astronomia attuale, n.d.a.) e così di geometria e aritmetica nonché ingegno dell'anima e attitudine per disegnare le carte e in esse le città i fiumi e le montagne tutti collocati al posto giusto. In questo tempo io posi cura nello studiare i libri di cosmografia, storia, cronaca e filosofia e di altre scienze". Se si aggiunge, come lui stesso ci informa, che il suo sapere deriva da testi greci, latini ebrei e di qualsiasi altra setta, è evidente che ci troviamo di fronte ad uno studioso e non ad un dilettante. Tanto più che il giudizio sulla cultura di Colombo si basa sui suoi libri sopravvissuti. Il molto è sparito, cancellato.
Colombo aveva, probabilmente, una visione del mondo che appartiene ad epoche ancestrali: quando Asia ed America erano unite a nord, mentre le due Americhe erano separate.
Un'affermazione gratuita? Eppure veridica alla luce di studi già fatti e di una carta del 1513, che costituisce un rebus per gli studiosi di tutto il mondo dal momento in cui fu scoperta, nel 1929, dal direttore dei Musei Nazionali Turchi. Al punto da essere "rimossa" dalla cosiddetta ricerca scientifica, per diventare campo di congetture tacciate come fantascientifiche. Ma la carta esiste, custodita come una gemma preziosa al Topkapi di Istanbul, dove nessuno può praticamente vederla o consultarla. Quasi un segreto di Stato. In grado di sconvolgere certezze a lungo sedimentate? Si tratta della famosa carta di Piri Reis, dove compaiono regioni che sarebbero state scoperte secoli dopo, a cominciare dalle possibili coste di un'Antartide riprodotta in una fase preglaciale. Quando si trovava in una posizione diversa da quella attuale ed il suo clima era temperato. Come confermato dalle ultime ricerche scientifiche fatte in quelle terre, ora ricoperte dai ghiacci. Un'Antartide talmente precisa e vista in prospezione aerea come se fosse stata mappata dall'alto, da scatenare le interpretazioni degli ufologi e degli investigatori delle civiltà perdute. In quella carta, sia pure giunta ai nostri giorni incompleta, figurano anche le terre della scoperta colombiana. "Queste coste - scrive Piri Reis, in una lunga didascalia che accompagna la carta - si chiamano litorale di Antilya. Sono state scoperte nell'anno 890 dell'era araba (1485). E si racconta che un infedele di Genova, chiamato Colombo (si badi bene, "chiamato", non di nome Colombo, quasi fosse un soprannome), ha scoperto queste contrade. Cadde, cioè, fra le mani di Colombo un libro in cui apprese che ai confini del Mare d'Occidente, cioè ad ovest, esistevano delle coste e delle isole, ogni genere di miniere e anche pietre preziose. Colombo era un grande astronomo ("muneccim"). I litorali e le coste che figurano su questa carta sono presi dalla carta di Colombo… nessuno nel secolo presente possiede una carta simile a questa, elaborata e disegnata dall'umile sottoscritto ("bu fakir"). La presente carta è il prodotto degli studi comparativi e deduttivi fatti su venti carte e mappamondi, fra cui una prima carta risalente all'epoca di Alessandro Magno comprendente tutta l'ecumene, tipo di carta che gli Arabi chiamano "ca' feriyye"… e infine una carta di Colombo elaborata per l'emisfero occidentale". (nella foto: Cristoforo Colombo in una incisione dei Fratelli Campo Antichi).
AI VENERABILI FRATELLI
ARCIVESCOVI E VESCOVI DI SPAGNA
D’ITALIA E DELLE AMERICHE
LEONE PP. XIII
Venerabili Fratelli, Salute ed apostolica benedizione.
Allo spirare del quarto secolo dal dì che, auspice Iddio, l’intrepido Ligure approdò primo di tutti, di là dall’Oceano Atlantico a sconosciuti lidi, vanno lieti i popoli di celebrare con sentimenti di gratitudine la memoria di quel fatto e di esaltarne l’autore.
E certo non si saprebbe agevolmente trovar cagione d’infervorare gli animi e destar entusiasmo più degna di questa. Poiché il fatto è in se stesso il più grande e meraviglioso di quanti mai se ne videro nell’ordine delle cose umane: e l’uomo che recollo a compimento non è paragonabile che a pochi di quanti furono grandi per tempra d’animo e altezza d’ingegno. Surse per lui dall’inesplorato grembo dell’Oceano un nuovo mondo: milioni di creature ragionevoli vennero dall’oblio e dalle tenebre a integrare la famiglia umana: di barbare, fatte mansuete e civili: e quel che più infinitamente importa, di perdute che erano, rigenerate alla speranza della vita eterna, mercè la partecipazione de’ beni sovrannaturali, recati in terra da Gesù Cristo. L’Europa, percossa allora di meraviglia alla novità e grandezza del subitaneo portento, fece poi stima di quanto essa deve a Colombo, mano mano che le colonie stabilite in America, le comunicazioni incessanti, la reciprocanza di amichevoli uffizi, e l’esplicarsi del commercio marittimo diedero impulso poderosissimo alle scienze naturali, alla possanza e alle ricchezze nazionali, con incalcolabile incremento del nome Europeo. Laonde fra sì varie manifestazioni onorifiche, e in questo conserto di gratulazioni, non vuol rimaner muta la Chiesa cattolica, usa com’è ad accogliere volenterosa e promuovere secondo sua possa ogni onesta e lodevole cosa. Vero è che i sovrani suoi onori la Chiesa li serba all’eroismo delle virtù morali in quanto ordinate alla vita eterna: ma non per questo misconosce né tiene in poco conto gli altri eroismi: che anzi compiacquesi ognora di far plauso ed onore ai benemeriti della civil comunanza, e a quanti vivono gloriosi nella memoria dei posteri. Perché Iddio è bensìmirabile sovra tutto ne’ santi suoi; ma l’orma del divino valore rifulge a meraviglia anco negli uomini di genio, giacché il genio è pur esso un dono gratuito di Dio creatore e padre nostro.
Who is Christopher Columbus? A much more complex figure than the one we have been told about. Let’s see why. In order to do this we have to follow a current of censures, falsehoods and continuous lies. In a story that has been passed on to us by the victors, the Spaniards, of that distant event. That has radically changed, from every point of view, the course of the world. A world that has finally become a single sphere. We have to follow an uninterrupted series of “omissis”, starting with a pope. The one we have always called the “deçaparecido” pope, who vanished. The “sponsor” pope of the venture.
He was called Innocent VIII, Giovanni Battista, of the Cybo family. A pope, who is on St. Peter’s Chair from 1484 to 1492. Until seven days before the navigator’s departure from Palos. A bishop pope from a town near Genoa, Savona, when the alleged family of Christopher Columbus spend a few years in Savona. A pope of Genoese origin, as Genoese as Columbus was. A pope who could even be Columbus’ father. A pope who, as we will see, was the bearer of a different, new Church and for this reason condemned. In a revolution that failed at birth.
Giovanni Battista Cybo, like all the pontiffs of the time, is elected in the name of the final crusade to be carried out against Islam. 500 years have passed, not much has changed. Just as today John Paul II is called to defeat communism, so Innocent VIII was then called to defeat Islam. The moment had come.
In 1453, in the terror of entire Christianity, Constantinople had fallen into the hands of the Turks. No one would have ever believed it. The empire of the East, the second Rome and the holy places of Jerusalem were in the hands of the infidels, the Muslims. Who threatened the “Caput mundi” itself and the papacy, following a siege on the island of Rhodes, stronghold of the knights of the sea, strenuous defenders of Christianity. The Turks had even landed in Puglia in the heel of the Italian boot, at Otranto.
Perhaps never in the course of the history of the West was there such a critical time, pervaded increasingly by millenarianism, apocalyptic visions. Glancing over the series of Renaissance frescoes is enough to realise. In a season soaked by the desire for change and justice. Final judgements, ends of the world, but also “apocalypse-revelation”, possible new worlds. It’s in this melting-pot, which marks out the second half of the fifteenth century and the Renaissance, that operation America slowly takes form. With everything it will entail for the new world order.
Rome (dpa) - The life of Christopher Columbus is awash with intrigue, mystery and controversy. Scientists from Italy and Spain now hope to solve at least one riddle: his country of origin. Geneticists from Rome's University of Tor Vergata and the University of Granada are collecting DNA samples among possible descendants living in Italy, Spain and France. The samples that will be found to be most similar to Columbus' DNA will determine his nationality.
Historians usually describe the great explorer as the son of a wool weaver from Genoa, a port city in modern-day Italy.
Rome (dpa) - Few historical figures are as shrouded in mystery as Christopher Columbus, the great explorer traditionally credited with the discovery of America in 1492.
Exactly 500 years after his death, historians and scientists are still trying to work out some of the most basic facts about his life, including where he was born and where his remains lie buried.
Another aspect that keeps baffling the experts is how the son of a modest wool weaver developed the necessary knowledge, ambition and diplomatic skills needed to endeavour one of the most daring voyages in history.
Long considered a hero and courageous visionary, Columbus now also has a number of detractors who describe him as a greedy, religious fanatic who was ultimately responsible for the enslavement and genocide of America's indigenous people.
The disagreements are fuelled by the fact that solid scientific and historical evidence is missing about many aspects of the navigator's life. But they also have to do with the secretive way in which he conducted his adventurous life.
Most historians agree that Columbus was born sometime between August and October of 1451 in the port city of Genoa, in modern-day Italy. But a number of academics also believe he could have been Spanish, Portuguese, French or even Greek.
Article from Discovery News
Hundreds of saliva samples may reveal the disputed origins of Christopher Columbus, according to a genetic investigation aimed at finding possible distant descendants of the admiral's family. A team of geneticists, led by José Antonio Lorente Acosta from the University of Granada, has begun to collect samples from Spanish men sharing the surname Colón (Columbus) in the effort to find a common ancestor who may be the link with the man credited for discovering the New World in 1492. Columbus is widely thought to have been born in 1451 in Genoa, Italy, the son of wool trader Domenico Colombo and Susanna Fontanarossa. Other theories, however, argue that the explorer was born in Spain, his real name being Cristóbal Colón. Various versions of the story have Columbus as a pirate born in Catalonia, a Catalan Jew who fled to Genoa to hide from the Spanish Inquisition, and the illegitimate son, born in Majorca, of Spain's prince of Viana. Already 300 Spanish volunteers have agreed to take part in the genetic study. The search will be conducted in Catalonia, Majorca and Valencia; samples will be also taken in Genoa.
1492? Not according to Ruggero Marino, who claims that Columbus actually reached America in 1485. The conventional view is that Columbus set sail on the first of his four great voyages in 1492, having been sponsored by Ferdinand II and Isabella I of Spain. Marino argues that there was an earlier, and wholly successful voyage, financed by Pope Innocent VIII and his relatives, the Medici family. Marino continues, claiming that when Innocent died the new Pope, Alexander VI, gave the 'rights' and information to the leaders of his native Spain, prompting Columbus's, apparently better known, journeys.
Marino has two main pieces of evidence: the Piri Reis map and Innocent's tomb. Although a genuine document, the map drawn by the Turkish Admiral (or Reis) Piri Ibn Haji Mehmed in 1513 has been the subject of many ludicrous theories, often by people who don't appear to have read it. Marino, however, is using the work of Professor Bausani, an authority on the document. Academics accept that Piri based his work on maps derived from Columbus, and Bausani believes that an annotation referring to an "infidel from Genoa", who discovered the landmass in "890", is a reference to Columbus, a Genoan by birth. (890 is an Islamic date, equivalent to 1485-6.)
An inscription on Innocent's tomb may also be further proof: it states that "the glory of the discovery of the New World" occurred during his pontificate. This could be evidence that Columbus had already been to the America's at the time of Innocents death in 1492, but it could also be an anticipation of later success. Although Marino accepts both possibilities, he favours the former.
Will the academic community accept Marino's ideas? He certainly stands a better chance than many others who have used the Piri Reis map.