Non mi importa se Ronaldo sia più di Messi o viceversa. Non mi importa se sia meno grande di Pelè o Maradona o dell’ altro Ronaldo dalle gambe fragili. Mi importa quel gesto da campione di salto in alto (pare 2,37) con il corpo dalla stazza notevole in orizzontale perfetto con il terreno e sollevato come un ufo verso il cielo. Una rovesciata come quella, una tagliola in aria nel gioco a forbice delle gambe non l’ avevo vista mai. Le altre al confronto sono pallide imitazioni. Tutti rasoterra e un po’ sbilenchi. Solo lui Cristiano come un Cristo in levitazione. Tanto più che quel gesto Ronaldo se l’ è costruito correndo incontro al pallone che stava per spiovere lontano da lui. Che si sia trattato di una pepita calcistica è dimostrato dal silenzio dello stadio, prima ammutolito poi scoppiato in un’irrefrenabile standing ovation per un avversario che fino a quel momento era stato solo fischiato. Un gol che equivale ad un momento di magia e ad una poesia. Qualcosa per un Garcia Lorca da “alle cinque delle sera”. Un prodigio da far dimenticare anche il primo gol, che era stata già una prodezza di intuito e velocità. Un gol che ha il sapore dell’ ineluttabilità come confermano le braccia sconsolate ed allargate, lo sguardo incredulo di Barzagli. Mentre Ronaldo ringraziava il pubblico con la mano sul cuore. Ce ne fossero nel calcio di momenti come quello. La Juventus ha perso. Perché non sempre Davide può vincere su Golia. Specie quando un gigante riesce su un prato verde a scalare il cielo.