VIVIAMO IN PIENA SOCIETÀ TRIBALE E SELVAGGIA
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Niente da fare. Almeno al momento. Non c’è speranza, non c’è orizzonte. Ogni tanto qualcuno se ne esce coniando una nuova definizione per la società in cui viviamo.  Ci provo anche io: viviamo in piena “SOCIETA’ TRIBALE”, nella “SOCIETA’ SELVAGGIA”. L’ uccisione del ragazzo capoverdiano ventenne, martoriato a calci e pugni a Colleferro, ne è l’ennesima estrema, dimostrazione. Come disumano e selvaggio è stato qualche commento: “Era solo un immigrato”. Come se si fosse trattato del sacrificio di un capretto. Come ne è una ulteriore riprova la strumentalizzazione politica di quella tragedia. Perché qua, commentatori accecati e selvaggi, non si tratta di ideologie, è da idioti parlare di fascismo (basta, non se ne può più di questa parola ricattatoria, spesso travisata e abusata), ma di una svolta teppistica del costume, della vita quotidiana, per cui la ragione è oggi dalla parte dei prepotenti, dei prevaricatori, degli assassini. Basta vedere le foto dei due fratelli accusati, campioni di selvaggeria. Non c’ è più spazio per dialogare, la legge della nuova giungla urbana o meno è sopraffare. Come accade anche in quella isola dorata che era lo sport, ormai regno della chimica e degli intrugli pur di prevalere. E’ tribale l’ uso dei tatuaggi, che ormai sono una mascherata del corpo, è tribale la colorazione dei capelli, degli spilloni del piercing, delle acconciature. E’ frutto del concetto di tribù il bullismo imperante,  anche femminile. E’ tribale purtroppo anche la politica fatta ormai prevalentemente da ignoranti e sprovveduti spesso senza arte né parte. Una politica in cui non c’ è più chi governa ed una opposizione, ma solo contrapposizione, una contrapposizione feroce, belluina. Secondo la quale ognuno mette sotto il tappeto la propria sporcizia, pronto a denunciare la pagliuzza nell’ occhio dell’ altro. Un altro che non è più, come dovrebbe essere, un avversario da abbattere lealmente, ma un nemico da abbattere in ogni modo, anche il più sleale. Un nemico al quale si augura persino la morte. Avere un avversario sul quale prevalere, nella reciproca cavalleria, moltiplica il valore della vittoria. Mentre si assiste ad un gioco delle tre carte continuo, all’ insulto, all’ anatema.  Non sono che alcuni esempio della “SOCIETA’ TRIBALE E SELVAGGIA”. Con una differenza, che nelle società autenticamente tribali e selvagge il costume ha un suo fondamento, una sua ragion d’ essere atavica. Nel nostro caso no. Inutile scavare alla ricerca di un perché. Per quanto si scavi al fondo c’è solamente il NIENTE. Delle idee, dei cervelli, dell’ essenza dell’ UOMO.

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