Innocenzo VIII, il papa di Colombo, in gioventù studiò all’Università di Padova. Di Colombo si scrive che studiò a Pavia, dove non risulta niente. E se fosse un errore di trascrizione o un’ abbreviazione di Patavia? Padova era uno dei centri culturali, specie sul versante scientifico, più prestigiosi del tempo. Dove la tolleranza religiosa era diffusa. Continuativa vi è stata la presenza di membri dell’Ordine domenicano e francescano. A Padova si coltivavano le arti del “Quadrivio”: aritmetica, astrologia, astronomia, geometria. Il figlio Fernando scrive di Colombo: «… né avrebbe apprese tante lettere né tanta scienza quanta le sue opere mostrano che egli ebbe, specialmente nelle quattro più principali scienze che si ricercano per far quel che egli fece: che sono Astrologia,
Cosmografia, Geometria e Navigatoria». A Padova si formano Sisto IV, il poeta Battista Mantovano (scriverà un “Trionfo” in onore di papa Innocenzo VIII.) l’architetto Leon Battista Alberti, gli umanisti Ermolao Barbaro e Giovanni Pontano.
A Padova si approfondiscono gli studi su Tolomeo, principe riconosciuto dei geografi, e su tutta la tradizione astronomica araba. Ci si interroga sugli spazi dell’infinito e del mondo. Vi si incontrano, fino a stringere un’amicizia, che solo la morte spezzerà, il cardinale Nicola Cusano e “Paolo fisico”. Cusano sostiene, fra l’altro, che la terra non occupa il centro dell’universo. Paolo “fisico” non è altri che dal Pozzo Toscanelli. Lo scienziato fiorentino, che sarà fra gli ispiratori diretti del varo dell’impresa di Colombo. A Padova il geografo Regiomontano legge le opere di Alfragano. A Padova Prosdocimo de’ Beldomandi compone un “Commento alla sfera”, rifacendosi al “Tractatus de sphaera” di Giovanni Sacrobosco. A Padova transitò Pawel Wlodkovic, rettore dell’università di Cracovia, che sottolinea la presenza di leggi naturali presso i pagani e l’immoralità delle guerre, la necessità che l’Europa si sforzi per integrare pagani e scismatici al suo interno. A Padova si discetta sul filosofo greco Aristotele e Averroé, esempio musulmano di tolleranza. A Padova il frate agostiniano Paolo Veneto, il cui insegnamento risale al 1395, introduce «negli ambienti universitari italiani il tema della descrizione delle parti della terra, anche di quelle ignote», oltre a tentare una mediazione fra averroismo, aristotelismo e fede cristiana. Attirò l’interesse del cardinale Bessarione. Che faceva da tramite tra Oriente e Occidente, fra tentativi di riconciliazione e l’organizzazione di un’eventuale crociata. In seguito alla caduta di Costantinopoli, aveva portato in Italia preziose raccolte di antichi testi e mappe, testimonianze di conoscenze smarrite. A fare da filo conduttore oltre alla geometria è l’astrologia. Che Colombo coltivava e che, «conduce a un mondo iniziatico di rivelazioni e tradizioni, al riconoscimento del carattere esoterico (e perciò coerentemente aristocratico) del sapere astrologico». A Padova studiarono anche il giovane filosofo Pico della Mirandola e il monaco fiorentino Girolamo Savonarola. A Padova transitarono molte altre personalità influenti dallo storico Francesco Guicciardini per finire con Galileo Galilei. In un ateneo-crogiuolo ai confini dell’eresia. In sostanza «la formazione padovana… conduceva a guardare al mondo magico, con atteggiamento “scientifico”, ancorando i fenomeni a una causa superiore immutabile, ai movimenti astrali … e con il corollario, ugualmente denso di potenziali interrogativi, dell’esistenza di una casta di “sacerdoti” della scienza alla cui custodia e interpretazione di quel mondo di tradizioni era consegnato».
Padova, peraltro, non era unicamente il suo Ateneo. Era la Firenze del Trecento. Nella città veneta, dunque, si incrociavano le discipline, gli studi, gli uomini, le menti, le religioni, in un intreccio analogo, per molti aspetti più complesso e avvincente di quello di Genova. E anticipatore delle Accademie fiorentine, napoletane, romane. Nella certezza, più che nella speranza, di plasmare l’essere nuovo per l’era nuova. Quella sorta di cyborg dell’intelletto e “super partes”, che sarà nelle mire del Rinascimento. E che Colombo esprimeva nella frase: “Lo Spirito Santo è presente in cristiani, musulmani ed ebrei e di qualunque altra setta”. Nell’immagine leonardescamente perfetta dell’uomo vitruviano. Da proiettare con le navi verso l’altra metà dell’orbe.