Nel Mali, in un regno africano medioevale, si tramanda che Abubakari II divenne, nel XIV secolo, il re dell’allora impero del “Mande”, che comprendeva la parte più vasta dell’Africa occidentale.
Dalla costa del continente nero, nel mese di agosto come per Colombo, una flotta di numerose imbarcazioni, costruite nel 1312, prese il largo, nella zona del Gambia, per raggiungere il continente americano 200 anni prima della “scoperta”. Si parla di personaggi iniziati ai misteri fondamentali del mondo mandingo, di tombe incise con segni cabalistici, di un uomo bianco dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, di un Pablo originario di Granada, la città delle tre grandi religioni monoteiste. Sotto la sua guida Abu, appassionato di geografia, si è recato ad Alessandria per essere affidato ad un navigatore arabo allo scopo di scoprire nuovi orizzonti.
Si narra di un Egitto dove nelle librerie del Cairo e di Alessandria (!) sono disponibili opere scientifiche preziose, che sono collezionate e studiate. Fino al giorno del grande varo: i navigli imbarcano ciascuno 40 (!) uomini, ci sono voluti sette (!) anni per prepararli, gli scafi sono lunghi 40 (!) cubiti, ventimila anime si muovono nel vento, l’altra riva “del grande fiume” si sarebbe dovuta raggiungere nel tempo inferiore ad una luna, quasi un mese. Come per Colombo. Anche per gli uomini del Mali è Terra promessa. In ricordo di un vecchio amico arabo viene chiamata “Ibrahim Ismael. Brasil”, proprio come la chiameranno i portoghesi, che si insedieranno in Guinea. Uomini e donne nella nuova terra sono di colore rosso.
L’impero del Mande e il seme dell’umanismo mandingo insegna che in tutti gli uomini esiste lo spirito, un Dna appartenente ad ogni creatura, che l’uomo è, prima di tutto, un essere essenzialmente dotato di principi morali e che se si deve fare una guerra, dev’essere quella della pace. Per creare un Mande nuovo occorre un uomo nuovo. Ancora un nuovo Adamo, questa volta nero. Come canta appunto la voce del “griot” accompagnato dal suo strumento, la kora, per ricordare le parole ormai dimenticate, visto che un famoso proverbio recita: «In Africa, un vecchio che muore è una biblioteca che brucia».
Il testamento spirituale del grande sovrano recita: «Mon expédition marittime vise au progrès universel de la science pour la retrouvailles définitive au sein de la grande famille humaine… L’autre nom de la vie c’est la paix. C’est dans la tolérance, la concorde et l’entente entre peuples que le respect mutuel porte fruit... C’est la culture qui fera ce prodige en trasformant chaque abitant de l’espace géographique mandingue en un exemplaire unique et singulier, réalisé dans toutes ses dimensions, dans toutes ses capacités...». Ancora l’uomo vitruviano, ancora una geografia da realizzare in nome della pace e della fraternità, in nome di quello spirito, che accomuna tutte le genti del mondo: parole degne di un umanista rinascimentale. Il Mali rappresentava, con la sua leggendaria Timbuctù, (NOTA – A Timbuctù era arrivato Ibn Battuta, il Marco Polo dell’Islam, a Timbuctù pare essere giunto il fiorentino Benedetto Dei, che avrebbe influenzato le conoscenze (che vanno sempre di pari passo fra Cristianità ed Islam) dell’ispiratore di Colombo, l’altro scienziato fiorentino Paolo del Pozzo Toscanelli. Dei inoltre è stato a lungo a Costantinopoli, dove si è incontrato con Maometto II, il conquistatore della “seconda Roma” e detentore dei luoghi sacri alla Cristianità in Terrasanta.. Ancora una volta i conti tornano perfettamente. Per comprendere l’intreccio fra i figli di Maometto II e Innocenzo VIII, e di conseguenza Colombo, in relazione proprio alla Terrasanta, rimandiamo al nostro “Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari”.) la città “de 333 (!) saints” (santi), il centro di un impero costruito sul commercio, «il punto di incontro fra le sabbie del Sahara e le acque del Niger dove, fra il XIV e il XVI secolo, sale, oro, cammelli e schiavi si incrociavano in un unico, ricchissimo mercato: il luogo inaccessibile sognato dai viaggiatori europei a cui era vietato avvicinarsi, la città di quell’imperatore Kanka Musa che nel 1324 si fece accompagnare nel pellegrinaggio alla Mecca da ottomila cammelli e due tonnellate e mezzo di oro e lungo il cammino ne distribuì tanto da far crollare il prezzo di mercato fino al Cairo». (NOTA – Caferri Francesca, La Repubblica, le pagine del deserto salvate a Timbuctù, 25 marzo 2007.)
A Timbuctù si conserva ancora oggi una preziosa biblioteca di 25.000 manoscritti, per la maggior parte in lingua araba, un tesoro che l’Onu si sta preoccupando di salvare. Potrebbe riservare sorprendenti verità.
Il Mali è prospiciente il golfo di Guinea. Là gli europei si recano a fare incetta dell’oro. Oro di provenienza solo africana? La “Mina”, la miniera della Guinea, rientra nei possedimenti portoghesi, il cui sovrano è convinto della presenza di terre “famose” all’austro nell’Atlantico. Chi gliene ha dato la certezza? In Guinea si è recato Colombo in una delle sue peregrinazioni prima del 1492. Quali informazioni ha raccolto? O da laggiù è salpato in un viaggio effettuato con i lusitani e cancellato dalla storia? Di qui le rivendicazioni di Giovanni del Portogallo nel 1493, al ritorno ufficiale dalla “scoperta”?
Le punte delle frecce di quei navigatori, scrive Colombo, sono di “guanín". “Guanín” è parola di derivazione africana, significa “lega d’oro”. La lega delle frecce, di cui viene subito fatto un saggio, è identica a quella usata nelle zone africane. Dalle quali evidentemente proviene, visto che gli indios non conoscono il metallo e le loro armi rudimentali ne sono sprovviste. Un flotta di piroghe ha attraversato l’Atlantico? Forse non è stata nemmeno la prima volta nel corso dei secoli. Molte sculture ciclopiche del Mesoamerica conservano inconfondibili volti camusi. Ma i neri nella storia non hanno mai contato nulla, come la loro schiavitù, a dispetto del fatto che ancora oggi l’Africa viene considerata dagli scienziati la culla del primo uomo.