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Caro Marino,
nell’epilogo di quell’autentico capolavoro che è La lezione del Medioevo di Concetto Pettinato (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano 1940; Cappelli, Bologna 1951), relegato ormai da decenni nel carcere del silenzio, si puo’ trovare il seguente brano:

“Un popolo il quale ha impiegato più di tredici secoli per recuperare la propria unità dopo averla posseduta in grado superiore ad ogni altro (si allude evidentemente all’unità sotto l’Impero romano: n.d.r.), e questo mentre popoli meno civili e meno privilegiati percorrevano la stessa parabola in un tempo più breve di oltre la metà, non ha per un bel pezzo il diritto di scordarsi di nulla. Settant’anni di unità non bastano per autorizzarci a seppellire un passato le cui conseguenze non hanno, in pratica, cessato di pesare su di noi, come i fatti della politica d’ogni giorno non tralasciano di dimostrare. La storia d’Italia racchiude tali ammaestramenti, che converrebbe farne, a parer mio, il caposaldo essenziale della nostra istruzione pubblica, il pascolo familiare del nostro spirito e la palestra quotidiana del nostro civismo. Il criterio della historia magistra vitae sarà vecchio e bistrattato, ma resta pur sempre una grande idea latina, e chi è riuscito a seguirlo non ha mai avuto da pentirsene. Ora nel nostro insegnamento storico, monopolio per lo più di eruditi tuttora dominati dalle preoccupazioni analitiche in onore nel secolo scorso, accanto a uno sforzo immensamente rispettabile e fecondo per l’accertamento del particolare non ha ancora preso sufficiente slancio l’amore delle sintesi, sia pur schematiche e sommarie e di valore limitato o nullo affatto nei riguardi del progresso degli studi, ma atte a sviscerare in breve volume di pagine il senso complessivo di un dato ordine di fatti, l’andamento generale e il filo logico di un insieme di situazioni. Questa così detta opera di ‘volgarizzazione’, oggetto dell’onesto disprezzo della maggioranza dei nostri storici, è rimasta, fra noi, l’ufficio dei compilatori di manuali scolastici, i quali ne hanno fatto quello che, data la premessa, non potevano non farne: un compendio di luoghi comuni o per lo meno di nozioni tradizionali, entrate nell’uso come moneta spicciola, un catalogo di dogmi più o meno logori ma tutti egualmente inoffensivi, insomma una storia fatta per impararla a scuola e dimenticarla fuori di scuola. La storia viva, intelligente, politica, e sia pur polemica e tendenziosa ma battagliera, la storia intesa a provare qualcosa, la storia che si fa discutere ma discute, in Italia non ha ancora potuto attecchire: e se qualche temerario vi si è cimentato, quel po’ di favore che il pubblico gli accordava dove scontarlo con l’ostilità, l’acrimonia, gli attacchi, i dileggi, le spulciature vendicatrici degli storici di professione. Gran giorno sarà per noi quello in cui la storia cesserà anche nel nostro paese d’essere caccia riservata di pochi severi archeologi per diventare campo di esercizio di tutti gli uomini colti e assolvere, se non incoraggiare, i pochi spericolati incorsi nella tentazione diabolica di chiedere a un passato gelido i segreti di un’attualità scottante. Si commetteranno, forse, più errori di prima: ma, fra gli errori, qualche idea nuova, qualche veduta originale, qualche paradosso suggestivo si farà pur strada; e, in conclusione, l’humus spirituale del paese ne risulterà arricchito, come è accaduto a paesi più spregiudicati e più colti del nostro.”

Io la penso esattamente come Pettinato, e mi pare che quanto egli scrive si adatti molto bene al caso tuo e dei tuoi studi su "Cristoforo Colombo l'ultimo dei Templari”.
Con i più cordiali saluti

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