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Un articolo nato a seguito dell'incontro tenutosi presso la Società Geografica il primo marzo.

Appunti utili per i lettori e per gli accademici

Caro Ruggero
di ritorno dalla presentazione del tuo libro presso la Società Geografica Italiana, sento la necessità di meglio chiarire i punti del mio breve intervento determinato soprattutto dalla confusione ingenerata da alcune tesi portate avanti da cattedratici che, invece di commentare il libro magari anche rilevandone inesattezze o contraddizioni, sembravano averne fatto punto di riferimento per affermare l’incontestabilità della loro scienza anche se a danno di quella ricerca di verità storica che tu, con l’umiltà che ti è congeniale e con la passione che ti distingue, stai portando avanti da tanti anni. Così, ancora una volta, in nome della scienza si è negata una corretta informazione a quanti come me, ingannati da un sapere parziale ed ammaestrato, vogliono riflettere per proprio conto sulle umane vicende, non tanto per rivoluzionare, scandalizzare o gettare anatemi, quanto per cercare di capire, se possibile, la complessa verità dell’uomo e sull’uomo, in considerazione che egli non è solamente “faber” ma anche “sapiens”.
In questo senso sono pienamente d’accordo con quanto ha sostenuto Saitta e cioè che il pensiero critico sia necessario per crescere, migliorare e, nel caso di un argomento tanto complesso e controverso come quello dell’impresa di Cristoforo Colombo, cercare di restituire veridicità al personaggio e giusto significato alla sua impresa, cosa che sicuramente hanno fatto alcuni intervenuti, mentre altri, novelli Soloni, hanno parlato in maniera capziosa sottolineando cavilli e probabili inesattezze, senza capire che, pur volendo riconoscere alle loro tesi rigore scientifico, queste nulla aggiungono e nulla tolgono alla validità del tuo libro. Tanto che sono sempre più convinta che quanto tu hai scritto, con appassionata disinvoltura resa a tutti accessibile da uno scorrevole stile giornalistico, sia pietra miliare non solo per la letteratura italiana ma per tutta la nostra civiltà che, ubriaca di intellettualismi, sperimentazioni e vivisezioni del sapere, ha urgente bisogno di riscoprire un nuovo umanesimo, dove trovino spazio quei valori ai quali un’umanità, finalmente conscia dei suoi limiti e della sua alterità, possa ispirare il suo essere ed il suo esistere.
Insomma mi piace far riferimento al concetto di “revisionismo storico”, brillantemente ed intelligentemente evocato da Gianni Letta nella presentazione del tuo libro alla Rai; giudizio razionale che, purtroppo, credo sia stato sottovalutato da alcuni ed addirittura ignorato da altri, mentre ritengo sia il commento più congeniale allo studio da te fatto, con certosina solerzia, per poter attualizzare una storia ignorata, manipolata, adulterata per cinque secoli, depauperando l’umanità del bene più prezioso: la verità. Sotto questo profilo non posso fare a meno di considerare alcuni interventi di ieri sera pleonastici, se non addirittura inutili, e quindi da dimenticare al più presto, non solo perché non hanno portato alcun contributo alla ricerca di verità storiche da te proposta, come in apertura del convegno aveva auspicato Saitta, ma perché, mi permetto di dire, hanno solo segnato un “autogol” alle discipline scientifiche delle quali i singoli cattedratici erano rappresentati, in nome di una metodologia sperimentale che nessuno aveva chiamato in causa e di cui nessuno sentiva necessità.
E’ stato evidente, infatti, che gli oratori, trasportati dall’approfondimento delle loro conoscenze specifiche, hanno perso il senso di ciò che significa un libro e ne hanno parlato, quindi, più per dar lustro alla loro erudizione “scientifica” che per un apporto costruttivo all’appassionata ricerca della verità storica che il libro persegue, dimostrando chiaramente di averlo letto, se non solamente per un atto dovuto al loro ruolo di relatori, sicuramente secondo categorie preconcette che certamente non si addicono a chi si vuole e si deve, onestamente, confrontare a tutto campo con il mondo del sapere. Conosci bene il mio entusiasmo per la tua moderna ed approfondita lettura del mito colombiano, motivo per il quale ti sarà facile sceverare da ogni possibile faziosità quanto ti scrivo, per leggerlo solamente come il modesto contributo ad un’opera che ritengo di alto livello culturale, dove l’aggettivo“culturale” è usato nell’accezione più completa di conoscenza, azione e tradizione che coinvolge l’uomo nella sua specificità di essere ragionante in relazione all’altro da sé, nel quale si esplica e concretizza il mistero della vita.

In questo senso è stato notevolissimo il breve e pregnante intervento della Rimoaldi, segretaria e referente della Fondazione Bellonci, che ha saputo apprezzare il libro nella sua dichiarata linearità di riflessione sugli eventi storici e sui personaggi che li hanno determinati, esternata con la calma passionalità di chi ha già fatto lo stesso cammino e ne condivide, quindi, difficoltà ed ansie, delusioni e caparbietà, ma anche quell’entusiasmante incontro con la verità che, nascosta dalla polvere del tempo e dall’indifferenza degli uomini, si manifesta chiaramente a chi la persegue con amore e sagacia. Le mie nozioni di storia sono, per questione di età e di memoria, ridotte al lumicino ma questo non mi ha impedito di ascoltare con estremo interesse anche quanto ha detto la Professoressa Fosi, ordinario di storia moderna all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti Pescara, forse anche perché quei suoi studi su Roma e la corte papale agli albori dell’età moderna hanno avuto il magico potere di farmi immergere nuovamente nel clima evocato dal tuo libro, completandone ed allargandone la visione.
L’intervento della Fosi, infatti, è stato un vero e proprio affresco della società italiana all’inizio del rinascimento che, annullando ogni vieto e fazioso concetto oscurantista del medioevo, incornicia gli avvenimenti da te proposti non nella staticità accademica con la quale in genere vengono suggeriti, ma nel fermento di un mondo ricco di pensiero e fattualità, antesignano e pronubo dell’evo moderno, quale veramente era la corte papale dell’epoca nei confronti di una nascente identità europea che da quella e a quella dava, nel bene e nel male, linfa e cultura. Non so se questo sentire l’intervento della Fosi in sintonia con le tue tesi, mi abbia poi impedito di apprezzare quanto detto dalla Professoressa Conti, segretaria e studiosa della Fondazione Colombo nonché titolare di cattedra della seconda Università di Napoli, ti posso solo dire che quel fastidioso e ripetuto suo asserire che il tuo libro l’aveva “divertita” mi ha lasciato alquanto interdetta: cosa significa divertirsi alla lettura di un libro che, frutto di ricerche ed osservazioni, propone riflessioni ed interrogativi di innegabile validità storica e richiede, quindi, attenzione e studio da parte di chi lo legge e non certo “divertimento”, termine improprio a qualsiasi titolo il libro sia stato letto? 
Non oso esprimere giudizi sull’intervento della Conti anche perché, come non sono riuscita a capire cosa del tuo libro l’abbia tanto divertita, così potrei non aver capito il resto, posso solo dire, senza tema di essere smentita, che il linguaggio da lei usato, che ha meritato anche l’assenso compiaciuto del Prof. Bellezza, è incomprensibile e niente affatto comunicativo, forse perché linguaggio troppo tecnico e, quindi, solo per iniziati! Sarebbe necessario, anche in considerazione delle tante cariche ricoperte dalla relatrice, che qualcuno le consigliasse una rapida lettura dell’“istitutio oratoria” di Quintiliano che non solo le permetterebbe di meglio comprendere quello che tu hai scritto, ma anche di acquisire un linguaggio più idoneo a parlarne; linguaggio che, al di là della scientificità del lavoro che svolge la professoressa e al di sopra dei tanti titoli accademici ostentati, possa essere meno inutilmente nozionistico e più sapientemente umanistico. 
Naturalmente ho trovato improprio anche l’intervento del Professor Bellezza, dell’Università della Tuscia che, partendo da quello che sembrava un elogio del tuo libro, è approdato su una metodologia scientifica inidonea a rendere giustizia alla linearità delle tue riflessioni che credo, senza presunzione o supponenza, vogliono solo offrire i risultati di una lunga ricerca sulla verità storica di un avvenimento che, celebrato e tramandato in maniera quanto meno controversa e contraddittoria, ha ampliato indiscutibilmente, in positivo o negativo, la sfera di incidenza della civiltà occidentale, determinandone un diverso e più complesso corso. Il Professore ha talmente sbilanciato il suo intervento, che ha finito con il a parlare di una “religiosità” che è, evidentemente, pleonastica se rivolta all’opera, poiché avendo tu fatto uno spaccato dell’epoca non potevi non parlare della civiltà cattolica imperante ed è addirittura gratuita se rivolta alla tua persona perché non si capisce da dove l’abbia tratta, al punto che verrebbe naturale chiedergli a qual fine ne abbia parlato. A meno che non ci troviamo di fronte all’ennesima equazione propria di un certo intellettualismo di sinistra che, per usare un termine cortese, definisco “fondamentalista”, seconda il quale “cultura cattolica” equivale a “religione” e perciò a “fede”; in tal caso sono inopportune precisazioni o commenti perché si entra in quel dialogo tra sordi che nulla ha a che vedere con il tuo libro.
Ho scelto perciò di evitare domande che avrebbero avuto risposte talmente ovvie da ingenerare una controversia tra chi non vuole scendere dai troni della scienza e chi è ancora capace di interessarsi agli uomini e alle loro avventure, nella ricerca di verità accettabili per logica ed evidenza, e sono intervenuta poi nel dibattito per ricondurre il discorso nel giusto alveo di un interesse umanistico al libro, o meglio, a Cristoforo Colombo e alla sua storia adulterata. L’applauso catturato dal mio aver voluto precisare che ogni scienza non può non avere la sua matrice nella sapienza, ha dimostrato chiaramente che il pubblico presente in sala ha apprezzato il tuo libro per il messaggio storico che evidenzia e, soprattutto, per il linguaggio che adopera, linguaggio che credo sia giusto definire “maieutico”, in quanto capace di coinvolgerci nella tua stessa paziente ricerca di verità, costringendoci a riflettere su cose talmente ovvie che per essere dimostrate non hanno necessità di metodologia scientifica o di comprovata autenticità di documenti, ma solo, come tu hai precisato, di un po’ di buon senso e di sereno confronto di tesi o supposizioni.
Permettimi di chiudere queste mie note con qualche osservazione sulla “religiosità” del tuo scritto che, finora, credo sia stata solamente adombrata, sorvolata, male interpretata, confusa e direi farisaicamente e gesuiticamente (naturalmente non ho nulla contro i Gesuiti ma molto con una certa maniera di utilizzare il proprio “sapere”!) ignorata! Mi piacerebbe sentirne parlare da qualcuno che ne sia all’altezza, ma poiché non ho ancora inteso affrontare seriamente in tal senso il commento del libro, mi permetto farlo io, anche perché quei pochi accenni in tal senso hanno evidenziato un laicismo lontano anni luce dai tuoi assunti e dalla tua cultura, al punto che non esito a definirlo improprio e fuorviante in un contesto storico, come quello dell’inizio dell’evo moderno, in cui più che sulla spiritualità mistica tipica del discorso religioso, ci si attesta sul misticismo naturale di chi mette l’uomo al centro della creazione; non tanto, quindi, una religiosità dogmatica e codificata quanto un connaturato senso del trascendente.
Sotto questo profilo ricorro di nuovo a Gianni Letta e a quel suo aver commentato il tuo libro come esempio di un valido revisionismo storico; infatti, come uomo di cultura occidentale, non potevi non rileggere l’impresa di Colombo alla luce di tutto un cammino di civiltà fatto da un’Europa che, nata dalle rovine della tradizione romana, nel pensiero cristiano ha trovato il suo collante e la sua identità, qualsiasi avversa tesi venga oggi accredita. Tutto il tuo libro, quindi, è sì permeato di religiosità, ma solo se a questo termine diamo il senso etimologico di conoscere “ciò che lega le cose” e, perciò, di ricerca di una verità che trascende il qui ed ora e che, inoltre, ci impedisce di guardare alla vita come pura accidentalità soggetta all’umano arbitrio, fino a costringerci a rivendicare alla storia un nesso trascendente di cui intuiamo la validità al di là e al di sopra degli uomini e delle loro leggi. Insomma un ritorno a quell’umanesimo che, avendo perso nella rinascenza la sua identità sapienzale, finisce con l’approdare, nell’illuminismo, alla “ragione” come punto focale dell’uomo e dei suoi destini, in un impoverimento dell’umana avventura, ingabbiata nella presunzione dell’esperienza e nella caducità della temporalità individuale.
Credo di non essere lontana dal tuo pensiero se affermo che il tuo scritto è prima di tutto e, soprattutto, la fiera rivendicazione di una identità culturale italiana come matrice e (mi permetto di aggiungere) maestra della civiltà occidentale e che ancor oggi, checchè sostenga il laicismo integralista imperante, ha il suo caposaldo nel messaggio di Gesù Cristo, prescindendo da religione o fede, culture o tradizioni! Messaggio che è, e rimane, punto di riferimento fondamentale per chiunque voglia parlare di quella civiltà dell’amore alla quale aspira ogni uomo di buona volontà. Spero con questo di aver sgomberato il campo dalle fastidiose voci di quanti si attestano su un acritico anticlericalismo fino a proclamarsi atei, quasi ad assicurarsi una patente di intellettuale tout court, che permetta loro di trattare con sufficienza chiunque la pensi in maniera differente, soprattutto se di cultura e fede cattolica.
Non posso chiudere queste note senza averti prima ringraziato per averci donato, in questo clima di decadenza culturale e in un panorama di pensiero debole, un libro che, alla corposità del saggio coniuga il fascino del romanzo e all’interesse per le umane vicende il piacere di una verità da riscoprire. Concludo sottolineando di nuovo, a proposito di revisionismo o comunque di coinvolgimento nel dibattito culturale, il parallelismo proposto ieri sera tra le realtà situazionali della chiesa cattolica alla fine del ‘400 e le attuali; non so quanti dei presenti abbiano recepito la mia osservazione nata dalla attenta lettura delle tue considerazioni sui fatti romani che fanno da sfondo all’impresa di Colombo, ma non posso fare a meno di ripetere che oggi, come allora, la chiesa di Roma si trova a dover fronteggiare un Islam incombente ed antitetico, con il quale il dialogo, se non precluso, è di difficile attuazione. Alla fine del ’400 Innocenzo VIII, conscio del pericolo che correva la cristianità di fronte ad un Islam che aveva invaso l’Europa, tenta il contenimento dell’avanzata dei mussulmani fidando in una rapida evangelizzazione delle terre appena scoperte e, alla la realizzazione di questo progetto, impiega ogni sua forza e disponibilità. Oggi Benedetto XVI, intuendo quale grande pericolo corra la civiltà occidentale in un mondo che, ormai globalizzato, difficilmente riuscirà a contenere le spinte egemoniche dell’Islam, nell’Enciclica “Deus Caritas est”, richiama non solo i cattolici ma ogni uomo al quale sta a cuore la nostra civiltà, a riflettere sul primato dell’Amore secondo Cristo, unica chance di fronte al dirompente fondamentalismo islamico, per dare al mondo la tanto auspicata concordia di là di pacifismi irrazionali e faziosi giudizi di colpevolezze o vittimismi.
Debbo, quindi, ancora una volta dirti grazie, Ruggero caro, non solo perché, prendendoci per mano, ci hai guidati in una interessante passeggiata negli spazi del tempo e nella storia degli uomini, ma anche perché ci hai rivendicato e difeso la nostra identità di cittadini europei di cultura cattolica, dove “cattolico”, prescinde da religiosità, per collegarsi direttamente, come dice S. Agostino, a ricerca di “verità”.

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