C’è già chi l’ha chiamata «la più grande mappa del tesoro» mai esistita. Anzi: «La Grande mappa», riferendosi (anche) ai fasti passati di una marineria tra le maggiori al mondo. Se non la maggiore nei due secoli a cavallo della scoperta dell'America. Una ricostruzione accurata che localizza la posizione, indica le cause e, soprattutto, elenca i carichi preziosi dei quasi 700 vascelli, galeoni e navi spagnoli naufragati nelle Americhe dall’anno della scoperta, il 1492, fino al 1898. In molti casi perle, smeraldi e oro, localizzati da un gruppo di studiosi spagnoli incaricati dal ministero della Cultura. Lo studio, dal titolo «Inventario dei naufragi spagnoli in America» e reso noto dal «El Pais», ricostruisce per la precisione 681 affondamenti. A partire da una delle tre caravelle di Cristoforo Colombo, la Santa Maria, nei pressi dell’isola di Bohio - poi ribattezzata Hispaniola - fino a cinque cacciatorpediniere affondate dalla flotta Usa a Cuba nella guerra tra Spagna e Stati Uniti nel 1898. Proprio al largo di Cuba sono stati localizzati la maggior parte dei relitti, cioè 249. Altri 153 sono sparsi sui fondali dell’Oceano Atlantico lungo la costa degli attuali Stati Uniti, 66 vicino a Panama e 63 intorno a Hispaniola, divisa attualmente tra gli Stati di Haiti e della Repubblica Dominicana. Gli altri relitti sono stati localizzati per la maggior parte sotto le acque delle Bahamas e di Bermuda.
«Preservare i relitti dai saccheggi»
Quasi l’80 per cento degli scafi resta interamente da esplorare. Ma il ministero della Cultura spagnolo afferma che obiettivo della ricerca, almeno per ora, non è tanto quella di recuperare tutti i carichi preziosi, operazione che richiederebbe tempi molto lunghi e finanziamenti ingenti, bensì preservare i relitti dai saccheggi o da possibili danni fortuiti con la cooperazione dei Paesi interessati. Lo studio, curato dagli archeologi sottomarini Carlos Leon e Beatriz Doimngo e dalla storica navale Genoveva Enriquez, è durato cinque anni. Per ogni nave vengono elencati scrupolosamente il tipo, il nome del capitano, l’armamento, il numero dei membri dell’equipaggio e dei passeggeri, oltre al carico.
I naufragi e i morti in mare
A parte quelli fatti di oro e pietre preziose, che richiamano alla fantasia i più famosi racconti dei corsari, molti erano partite di ceramiche Ming, tabacco, zucchero, vaniglia e cacao, ma anche schiavi, pezzi di artiglieria, libri e presunte reliquie provenienti da Gerusalemme. Nonostante una parte dei naufragi sia dovuta a battaglie con navi di potenze rivali - prima l’Inghilterra e l’Olanda e poi gli Usa - e ad attacchi corsari, nella stragrande maggioranza (oltre il 90 per cento) furono provocati dalle tempeste. In un unico naufragio potevano morire centinaia di persone - 1.250, furono le vittime dell’affondamento di cinque navi a Bermuda nel 1563 - ma a volte ad uccidere non era il disastro in sé, bensì altri fattori. Compresa l’avidità. Nel 1605 la Santisima Trinidad affondò vicino a Cuba. Si salvarono solo 36 persone, che presero posto su una scialuppa, ma vollero portare con sé un carico di oro e argento così ingente che anche questa imbarcazione affondò.