Le Crociate ebbero in san Giorgio, il santo cavaliere, un protettore riconosciuto sia dagli eserciti cristiani che dai loro avversari islamici. E in Oriente questo martire del IV secolo ha lasciato segni profondi, contro i quali di recente si è accanito lo Stato islamico (Is): solo alcuni giorni fa, infatti, hanno fatto il giro del mondo le immagini della distruzione delle croci dell’antico monastero di San Giorgio a Mosul. Ma in realtà san Giorgio con la sua spada, più che dividere, ha gettato un ponte tra mondo musulmano e fede cristiana: il suo messaggio spirituale, infatti, lo rende affine alla visione mistica islamica, che vede nel combattimento con il drago quasi il paradigma della jihad.
La provocazione nasce dalla ricerca sull’identità del santo cavaliere raccolta nel saggio San Giorgio e la rosa di Cristiano Antonelli (Thyrus, pagine 256, euro 20,00). A caccia del volto autentico di san Giorgio, la cui devozione arriva fin nei borghi più sperduti d’Europa, l’autore offre un percorso che travalica confini geografici, storici e culturali e alla fine restituisce un risultato inaspettato.
Quello che all’inizio sembra, infatti, una ricerca sulle tracce dell’autentica biografia di questo testimone della fede finalmente liberato da miti e leggende, si trasforma in qualcosa di ben più complesso, giungendo alla conclusione che la vera identità di san Giorgio non va distillata dal narrato mitico e dalla devozione popolare, ma costruita proprio a partire da queste dimensioni. Questo tipo di lavoro costituisce un prezioso contributo non solo alla riscoperta del valore storico e spirituale della figura di san Giorgio, ma offre pure un ottimo spunto per meditare sul significato della ricerca agiografica e del suo rapporto con la devozione popolare.
Punto focale della ricerca è una data: il 23 aprile 303, giorno in cui Giorgio, militare di alto rango poco più che ventenne, vicinissimo all’imperatore Diocleziano, venne decapitato per essersi rifiutato di rinnegare la propria fede cristiana e, soprattutto, per essersi opposto all’editto che avrebbe ordinato una sanguinaria persecuzione contro i seguaci di Cristo. Questo è il punto di partenza della storia del militare cappadoce e della diffusione capillare del suo culto, prima in Oriente e poi in Occidente, anche grazie alle diverse Passiones che ne raccontano il martirio. Da queste prime indagini è possibile individuare un nucleo fondante dell’identità di Giorgio di Lydda, la cui venerazione, fin dai primi secoli, è stata sempre «legata al suo essere icona di rigenerazione, ragione per cui – spiega Antonelli – spesso il culto si troverà associato all’acqua, simbolo per eccellenza di purificazione e rinascita alla vita nello spirito».
E proprio questa dimensione spirituale, immagine di continua rinascita, di opposizione al male in nome della verità, che ha trovato fortuna anche nell’islam. A fare da ponte tra devozione cristiana e musulmana è il concetto di rigenerazione, di capacità di ridare la vita, ma non solo. Anche nell’immaginario islamico, infatti, Giorgio è il vincitore del drago, un «eroe che lotta contro il mostro», simbolo di quella «lotta interiore dell’uomo tesa a dominare e vincere le proprie debolezze e, superando i propri limiti, elevarsi verso Dio».
Il racconto del combattimento con il drago gioca, quindi, un ruolo determinante nella diffusione del culto di questo santo. Ma di questo particolare leggendario della vita di san Giorgio non c’è traccia nelle fonti più antiche: esso nasce diversi secoli dopo il martirio sempre in Oriente, diffondendosi in seguito, soprattutto grazie alle Crociate, in ogni luogo. La leggenda del santo cavaliere, protettore dei soldati cristiani, apparve sul finire del primo millennio e si rafforzò proprio con le Crociate: il 15 luglio 1099, quando il santo apparve agli eserciti impegnati nella prima Crociata, egli divenne definitivamente il patrono di quelle “guerre sante”.
Proprio in questo periodo si diffuse la leggenda della lotta contro il drago, che terrorizzava una città pagana: la vittoria di san Giorgio contro il mostro portò al battesimo il re e tutti gli abitanti. E qui s’inserisce l’immagine della rosa: secondo una versione catalana della leggenda, là dove venne versato il sangue del drago nacque un roseto e il santo ne colse una regalandola alla figlia del re che aveva salvato. Un racconto che ha un messaggio spirituale dalla portata universale: la vittoria contro il male genera nuova vita. «La lotta del santo con il drago – scrive Antonelli –, leggenda di un linguaggio epico tipico dell’epoca medievale, è dunque un’espressione figurata sia della lotta macrocosmica, la lotta esteriore, che della lotta microcosmica, la lotta interiore, e la vittoria è riferita all’una e all’altra. Nella lotta interiore risiede il carattere simbolico di un’azione spirituale, quellajihad akbar cui si riferiscono i mistici islamici, la grande guerra, la guerra suprema, quella contro se stessi e i propri limiti. La lotta è perciò intesa come sforzo, sforzo su se stessi, jihad ala nafs». Così, quindi, la guerra di san Giorgio diventa la “guerra santa” che ogni credente, di qualsivoglia fede, deve affrontare per incontrare Dio.
Da Avvenire