I QUATTRO CONTINENTI DI CRATETE DI MALLO (II sec. A. C.)
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Enciclopedia Italiana (1931)
di Gino Funaioli

CRATETE di Mallo (Κράτης ὁ Μαλλώτης, Crates Mallütes). - Di poco maggiore d'età ad Aristarco di Samotracia, emerge con lui e per più rispetti, di fronte a lui, tra i dotti della prima metà del sec. II a. C., fiorendo egli sotto Eumene II (197-159 a. C.), il creatore della biblioteca di Pergamo, come l'altro sotto Tolomeo Filometore (181-147 a. C.). E a Pergamo, C. capeggiò l'indirizzo culturale che è legato al nome della città e che dall'alessandrino si contraddistingue per una più larga visione di cose, filosofica, antiquaria, archeologica, ma anche per una poco felice applicazione di principî. In contrasto ad Aristarco C. posponeva la γραμματική alla κριτική, il che vuol dire l'esegesi degli autori fondamentalmente concepita come intelligenza verbale all'approfondimento filosofico, logico-storico, della grammatica, alla valutazione degli stili e dei varî caratteri che si rivelino nei prodotti letterarî, allo studio della materia ivi contenuta (Sext. Emp., Adv. gramm., 248-79). C. è tutto orientato verso lo stoicismo. Sostenevano gli stoici che nella parola non c'è rispondenza fra concetto e forma, che tutto nella lingua si deve al capriccio dell'uso; ed egli a partire di costì, e andando innanzi, attaccò l'analogia nel particolare senso in cui già Aristofane di Bisanzio e poi Aristarco sostanzialmente l'intendevano, non nel senso generico di razionalità del linguaggio, ma di regolarità di flessione, e su questo terreno alla ἀναλογιά oppose l'ανωμαλία, l'inaequalitas declinationum consuetudinem sequens (Gell., II, 25,3). E con gli stoici egli amalgamò sicuramente grammatica e retorica, comprendendo nell'arte grammaticale, oltre che gli elementi del linguaggio e le parti del discorso, anche i vitia e le virtutes orationis, o la purità e l'eleganza del dire, un capitolo in Alessandria estraneo alla τέχνη e trattato a sé con criterî fondamentalmente diversi: per gli stoici, e quindi per C., norma del parlare è l'uso, per gli Alessandrini la regola. Né meno si fa sentire l'azione dello stoicismo in C. esegeta.
Commentarî ebbero forse da lui Esiodo, Euripide e Aristofane, sebbene per nessuno di loro risulti con assoluta sicurezza e vi sia, almeno per più casi, la possibilità che allusioni a codesti poeti derivino dai lavori omerici. Dei quali saranno da tenere distinti i Διορϑωτικά, probabilmente un commento accompagnato dal testo critico, dagli ‛Ομμηρικά, una trattazione, si direbbe, di carattere geografico. In Omero, che appunto costituì il supremo interesse di C., non altrimenti che di Aristarco, balzano vive agli occhi le differenze delle vedute e dei metodi loro. C. mira a intendere storicamente il suo poeta, dove Aristarco lo considera a sé e per sé; male però lo conduce allo scopo il mezzo di cui si serve, che è l'esegesi allegorica. Nata essa già nel secolo VI e accolta poi dai cinici e dagli stoici, diviene ora strumento in mano d'un letterato filosoficamente colto, e fra letterati rimarrà quindi per i secoli nel mondo ellenistico e romano a dischiudere i profondi segreti della poesia. E ancora sotto l'impulso delle dottrine stoiche C. non cerca in Omero il bello e il dilettevole, bensì l'utile; la teologia morale e la scienza, l'elemento didattico. In armonia alla Stoa il globo terrestre d'Omero è per lui a forma sferica, l'immagine di che è lo scudo d'Achille. La corrente oceanica passa per la zona torrida e di là si spinge verso ognuno dei due poli a circondare la terra. Le peregrinazioni d'Ulisse sono trasferite dal Mediterraneo all'Oceano Atlantico, onde una controversia speciale con Aristarco (Gell., XIV, 6,3). E Omero avrebbe conosciuto le notti polari: di qui il buio del Tartaro, che C. sotto l'influsso stoico identifica con la zona artica, e la lezione Κερβερίων che poneva in luogo di Κιμμερίων nella Nekyia (Od., XI, 14). Così C. ci si presenta con una sua singolare fisionomia; e nonostante tutto, con l'originalità delle sue idee, accoppiata al buon diritto di certe posizioni teoriche, si capisce come egli creasse una scuola, se pur tale da non gareggiare con l'aristarchea. All'insegnamento diretto di C. che si esplicò per qualche tempo in Roma probabilmente intorno al 169 a. C. (Suet., De gramm., 2) e insieme, certo, all'autorità che Panezio, un allievo di C., godé nel circolo di Scipione l'Emiliano, si deve il prevalere della tendenza stoico-pergamena nella nascente filologia romana.

Bibl.: I frammenti presso C. Wachsmuth, De C. Mallota, Lipsia 1860; id., in Rheinisches Museum, XLVI (1888), p. 552 segg.; E. Maass, Aratea, Berlino 1892, p. 165 segg.; Helck, De C. Mall. studiis criticis quae ad Iliadem spectant, Lipsia 1905; id., ad Odysseam, Dresda 1914; C. Reinhardt, De Graecorum theologia, Berlino 1910, p. 59 segg. In genere, W. Kroll, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, col. 1634 segg.; J.E. Sandys, History of Classical Scholarship, I, Cambridge 1921, p. 156 segg.; K. Barwik, Reminius Palaemon, Lipsia 1922, pp. 180 segg., 216 segg., 256 segg.

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