Alain Delon
Alain Delon
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Era di un bellezza strepitosa. Una sorta di Venere del Botticelli in versione maschile e ambientata ai nostri tempi. Dostoevskji ha scritto che “la bellezza salverà il mondo”.

La bellezza non ha salvato Alain Delon, né nella sua adolescenza e soprattutto nella sua vecchiaia. Abbandonato a 4 anni dal padre, quella lacerazione lo ha accompagnato tutta la vita. Nella sua recente morte ho letto quasi esclusivamente peana. Un grande attore, un’affascinante presenza, ma non fu un santo. Come padre rinnegò un figlio che era una goccia d’acqua: “Non ha miei occhi”. Quello che aveva sofferto lui lo replicò su un innocente. Un Casanova seriale a cannibalico. Le donne lo braccavano, lui se ne serviva usa e getta. Ne fece le spese anche la veramente amata Romy Scheneider. “Ho avuto tutto, ho provato tutto”. A 17 sul fronte in Indocina. Un sorriso malinconico e sfrontato, un capello che era una cornice straordinaria al volto delicatamente efebico. Per quanto vincente dirà che solo i suoi cani non lo hanno tradito. Il successo mondiale, un’icona di un tempo e degli schermi. Poi il triste declino anche se per molto ancora bello. Il non riconoscersi più in questo mondo, sentirsi truffato dai costumi e dal tempo. La minaccia di eutanasia, lo spegnersi sempre più triste. Cosa vorrebbe di più nell’aldilà? “Incontrare mio padre e mia madre finalmente insieme”. Tantissimo amato, mai come avrebbe voluto lui. Ora chissà cosa combineranno ancora con Jean Paul Belmondo: i due francesi malandrini di una stagione irripetibile.

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