Una beatificata, l’altra massacrata. Da una parte la battagliera Rula Jebrael, dall’altra la vistosa Diletta Leotta. Il monologo della prima era straziante, ha ricevuto consensi da ogni parte. Ma c’è un ma …, il testo come era comprensibile, non era suo e a quanto pare non sono bastate nemmeno quattro mani. Dunque con tutto il rispetto, per la tragedia della madre, Rula che se la tira è venuta soprattutto come attrice. In linea con le foto complici con il produttore-stupratore Weinstein, quello del “Me too” e con la vicinanza con una cantante struprofilo invitato a Sanremo. Se fosse stata coerente avrebbe dovuto rifiutare di presentarsi su quel palco. Ma si sa che cosa non si farebbe per l’audience, soprattutto quella personale. E soprarutto fare pubblicamente i nomi degli autori del testo per il quale viene oggi osannata Come da calcolo preciso. Brava, ti sai gestire al meglio come donna-azienda.
Tutto il contrario per la giornalista sportiva Diletta Leotta. Il suo monologo, per la verità troppo lungo, era semplice, fresco anche se ruffiano (meno comunque di quello di Rula) e lei lo ha recitato senza sbagliare toni e parole. Diletta è andata sul dilettevole, dandosi persino della bona, ma insistendo troppo sugli insegnamenti della nonna in platea. In un Festival che vorrebbe esaltare la bella famiglia italiana. Anche quella allargata di Albano, che dopo le belle mogli sta promuovendo le figlie . Diletta a mio parere è risultata semplice, sincera, garbata. E se le donne possono indossare liberamente quello che vogliono, perché non dovrebbero cercare di diventare come vorrebbero? Diletta non sarà una paladina, si accontenta del suo essere donna. Forse troppo poco per questi tempi rovesciati di inizio millennio in cui lui diventa signorina mentre lei imbraccia il fucile.