AI VENERABILI FRATELLI
ARCIVESCOVI E VESCOVI DI SPAGNA
D’ITALIA E DELLE AMERICHE
LEONE PP. XIII
Venerabili Fratelli, Salute ed apostolica benedizione.
Allo spirare del quarto secolo dal dì che, auspice Iddio, l’intrepido Ligure approdò primo di tutti, di là dall’Oceano Atlantico a sconosciuti lidi, vanno lieti i popoli di celebrare con sentimenti di gratitudine la memoria di quel fatto e di esaltarne l’autore.
E certo non si saprebbe agevolmente trovar cagione d’infervorare gli animi e destar entusiasmo più degna di questa. Poiché il fatto è in se stesso il più grande e meraviglioso di quanti mai se ne videro nell’ordine delle cose umane: e l’uomo che recollo a compimento non è paragonabile che a pochi di quanti furono grandi per tempra d’animo e altezza d’ingegno. Surse per lui dall’inesplorato grembo dell’Oceano un nuovo mondo: milioni di creature ragionevoli vennero dall’oblio e dalle tenebre a integrare la famiglia umana: di barbare, fatte mansuete e civili: e quel che più infinitamente importa, di perdute che erano, rigenerate alla speranza della vita eterna, mercè la partecipazione de’ beni sovrannaturali, recati in terra da Gesù Cristo. L’Europa, percossa allora di meraviglia alla novità e grandezza del subitaneo portento, fece poi stima di quanto essa deve a Colombo, mano mano che le colonie stabilite in America, le comunicazioni incessanti, la reciprocanza di amichevoli uffizi, e l’esplicarsi del commercio marittimo diedero impulso poderosissimo alle scienze naturali, alla possanza e alle ricchezze nazionali, con incalcolabile incremento del nome Europeo. Laonde fra sì varie manifestazioni onorifiche, e in questo conserto di gratulazioni, non vuol rimaner muta la Chiesa cattolica, usa com’è ad accogliere volenterosa e promuovere secondo sua possa ogni onesta e lodevole cosa. Vero è che i sovrani suoi onori la Chiesa li serba all’eroismo delle virtù morali in quanto ordinate alla vita eterna: ma non per questo misconosce né tiene in poco conto gli altri eroismi: che anzi compiacquesi ognora di far plauso ed onore ai benemeriti della civil comunanza, e a quanti vivono gloriosi nella memoria dei posteri. Perché Iddio è bensìmirabile sovra tutto ne’ santi suoi; ma l’orma del divino valore rifulge a meraviglia anco negli uomini di genio, giacché il genio è pur esso un dono gratuito di Dio creatore e padre nostro.
Ma oltre a queste ragioni di ordine generico, abbiamo motivi al tutto particolari di voler commemorare, gratulando, l’immortale impresa. Imperocché Colombo è l’uomo della Chiesa. Per poco che si rifletta al precipuo scopo onde si condusse ad esplorare il mar tenebroso,e al modo che tenne, è fuor di dubbio, che nel disegno e nell’esecuzione dell’ardua impresa ebbe parte principalissima la fede cattolica: di guisa che eziandio per questo titolo tutto l’uman genere ha obbligo non lieve alla Chiesa cattolica.
Impavidi e perseveranti esploratori di terre sconosciute e di più sconosciuti mari, e prima e dopo di Colombo, se ne conta parecchi. Ed è ragione che la fama, memore delle opere benefiche, celebri perennemente il nome loro, in quanto che riuscirono ad allargare i confini delle scienze e della civiltà, a crescere il pubblico benessere: e ciò non a lieve costo, ma a prezzo di faticosi conati, e sovente di rischi gravissimi.
Ma pure da essi a Colombo è gran divario. La nota caratteristica di Colombo sta in questo, che nel solcare e risolcare gli spazi immensi dell’Oceano, egli aveva la mira a maggior segno che gli altri non avessero.
Non già che nulla potesse in lui la compiacenza nobilissima di avanzar nel sapere, di ben meritare della umana famiglia: non che tenesse in non cale la gloria, i cui stimoli chi è più grande più sente, o che disprezzasse affatto la speranza de’ materiali vantaggi: ma sovra tutte queste ragioni umane campeggiò in lui il sentimento della religione de’ padri suoi, dalla quale ei prese senza dubbio l’ispirazione del gran disegno, e sovente nell’ardua opera di eseguirlo ne trasse argomenti di fermezza e conforto. Imperocché è dimostrato ch’egli intese e volle massimamente questo: aprir l’adito all’Evangelo per mezzo a nuove terre e nuovi mari.
La qual cosa può parere men verosimile a chi, ogni pensiero e ogni cura restringendo entro ai confini del mondo sensibile, ricusa di adergere l’occhio più in alto. Per contrario a meta più eccelsa amano per lo più di aspirare le anime veramente grandi, perché sono le meglio disposte ai santi entusiasmi della fede. Colombo disposato lo studio della natura allo zelo della pietà, avea mente e cuore profondamente formati alle credenze cattoliche. Laonde persuaso per argomenti astronomici e antiche tradizioni, che al di là del mondo conosciuto doveano pure estendersi dalla parte d’occidente gran tratti di paese non per anco esplorati, la fede rappresentavagli allo spirito popolazioni sterminate, involte in tenebre deplorevoli, perdute dietro cerimonie folli e superstizioni idolatriche. Infelicità grande, agli occhi suoi, condurre la vita in assuetudini selvagge e costumi ferigni: ma incomparabilmente più grande l’ignorare cose di capitale importanza, e non avere pur sentore dell’unico vero Dio. Onde, pieno di tali pensieri, si prefisse più che altro di estendere in Occidente il nome cristiano, i benefizi della cristiano carità, conforme risulta evidentemente da tutta la storia della scoperta. Infatti quando ai re di Spagna, Ferdinando ed Isabella, propose la prima volta di voler assumere l’impresa, ne chiarisce lo scopo col soggiungere, che la gloria della Loro Maestà vivrebbe imperitura, ove consentissero di recare in sì remote contrade il nome e la dottrina di Cristo. E non molto dopo pago de’ voti suoi, affida allo scritto ch’egli dimanda al Signore di far sì colla divina sua grazia che i re (di Spagna) siano perseveranti nella volontà di propagare a nuove regioni e nuovi lidi la santa religione cristiana. Tutto premuroso d’implorar missionarii da Papa Alessandro VI, gli scrive: “spero bene, coll’aiuto di Dio, di poter ormai spargere in tutto il mondo il santo nome e il Vangelo di Gesù Cristo”. E crediamo dovesse sovrabbondar di giubilo, allorché, reduce dal primo viaggio, scriveva da Lisbona a Raffaele Sanchez: “doversi rendere a Dio grazie immortali per avergli largito sì prospero successo. Che Gesù Cristo s’allieti e trionfi qui sulla terra, come s’allieta e trionfa ne’ cieli, prossima essendo la salvezza di tanti popoli, il cui retaggio sino ad ora fu la perdizione”.
Che se a Ferdinando e Isabella ei suggerisce di non permettere se non a cristiani cattolici di navigare al nuovo mondo e piantar traffichi nelle nuove contrade, la ragione si è, che il disegno e l’esecuzione della sua impresa non ebbe altro scopo che l’incremento e l’onore della religione cristiana. E ciò conobbe appieno Isabella, essa che assai meglio d’ogni altro seppe leggere nella mente del grande: è anzi fuor di dubbio che quella piissima principessa, di mente virile e di animo eccelso, non ebbe ella medesima altro scopo. Scriveva infatti di Colombo ch’ei affronterebbe coraggiosamente il vasto Oceano a fin di compiere un’impresa di gran momento per la gloria di Dio. E a Colombo medesimo, reduce dal secondo viaggio, scriveva: essere egregiamente impiegate le spese ch’ella avea fatto e che farebbe per la spedizione delle Indie, in quanto che ne seguirebbe la diffusione del cattolicismo.
Dall’altro canto, se si prescinda da un motivo superiore, d’onde avrebbe potuto egli attingere perseveranza e fortezza pari alle dure prove, che gli fu forza affrontare e sostenere sino all’ultimo? Intendiamo l’opposizione de’ dotti contemporanei, le repulse da parte dei principi, i rischi del mare in fortuna, le veglie incessanti, sino a smarrirne più di una volta la vista: aggiungasi le fiere tenzoni coi selvaggi, i tradimenti di amici e compagni, le scellerate congiure, le perfidie degl’invidiosi, le calunnie de’ malevoli, le immeritate catene. All’enorme peso di tante sofferenze ei doveva senz’altro soccombere, se non l’avesse francheggiato la coscienza dell’impresa mobilissima, feconda di gloria alla cristianità, di salute a milioni di anime. Impresa, intorno alla quale fanno luce gli aggiunti del tempo. Imperocché Colombo svelò l’America, mentre una grave procella veniva addensandosi sulla Chiesa: sicché per quanto è lecito a mente umana di congetturar dagli eventi le vie misteriose della Provvidenza, l’opera di quest’uomo ornamento della Liguria, sembra fosse particolarmente ordinata da Dio, a ristoro dei danni, che la santa fede avrebbe poco stante patito in Europa.
Chiamare gl’Indiani al cristianesimo era, senza fallo opera e uffizio della Chiesa. La quale sin da primordi della scoperta, pose mano a fare il dover suo, e proseguì e prosegue sempre a farlo col medesimo zelo, inoltratasi, non è molt’anni, sino all’ultima Patagonia. Nondimeno persuaso di dover percorrere e spianar la vita all’evangelizzazione delle nuove contrade e tutto compreso da questo pensiero, ogni suo atto coordinò Colombo a tal fine, nulla quasi operando se non ispirandosi alla religione e alla pietà. Rammemoriamo cose a tutti note, ma preziose a chi voglia penetrare nella mente e nel cuore di lui. Forzato di abbandonare, senza aver nulla conchiuso, il Portogallo e Genova, e voltosi alla Spagna, all’ombra di un cenobio ei viene maturando l’alto disegno, confortatovi da un monaco Francescano suo fido. Dopo sette anni, spuntato finalmente il giorno di far vela per l’Oceano, s’accosta ai divini sacramenti; supplica alla Regina del cielo che piacciale di protegger l’impresa e di guidare la rotta: e non comanda di levar le ancore se non dopo invocata la Santissima Trinità. Avanzatosi quindi nel cammino, fra lo infuriar dei marosi e il tumultuar dell’equipaggio, mantiene inalterata la serenità della sua fermezza, mercè la fiducia in Dio. Parlano del suo intendimento persino i nomi novellamente imposti alle isole novelle: a ciascuna delle quali, appena postovi il pié, adora supplichevole Dio onnipotente, e non ne prende possesso che in nome di Gesù Cristo. Dovunque approdi, il primo suo atto è di piantar sulla spiaggia la croce: e dopo aver tante volte, al rombo de’ flutti mugghianti, inneggiato in alto mare al nome santissimo del Redentore, lo fa risuonare egli pel primo nelle isole da lui scoperte: e però alla Spagnuola il primo edifizio è una Chiesa, la prima festa popolare una solennità religiosa.
Ecco dunque ciò che intese, ciò che volle Colombo nell’avventurarsi per tanto spazio di terra e di mare all’esplorazione di contrade, ignorate sino a quel tempo ed incolte: le quali per altro in fatto di civiltà, d’influenza, di forza, salirono poi velocemente a quel grado di altezza, che ognuno vede. La grandezza dell’avvenimento e la incommensurabile importanza degli effetti che ne seguirono, rendono doverosa la ricordanza e la glorificazione dell’eroe. Ma è debito, innanzi tutto, di riconoscere e venerare singolarmente gli alti decreti di quella mente e eterna, alla quale ubbidì, consapevole strumento, il rivelatore del nuovo mondo.
A celebrar degnamente e in armonia colla verità storica le solennità Colombiane, è dunque d’uopo che allo splendore delle pompe civili vada compagna la santità della religione. Onde, come già al primo annunzio della scoperta furono rese a Dio immortale, provvidentissimo, pubbliche grazie, primo a darne l’esempio il Pontefice; così ora nel festeggiar la memoria dell’auspicatissimo evento stimiamo doversi fare il medesimo.
- Disponiamo perciò che il giorno 12 ottobre, o la Domenica susseguente, se così giudicherà espediente l’Ordinario del luogo, nelle Chiese Cattedrali e Collegiate di Spagna, d’Italia e delle Americhe, dopo l’Uffizio del giorno, sia cantata solennemente la Messa de Sanctissina Trinitate.
- Oltre alla regioni sopra mentovate, confidiamo che per iniziativa dei Vescovi il medesimo si faccia nelle altre, essendo conveniente che tutti concorrano a celebrare con pietà e riconoscenza un avvenimento che tornò profittevole a tutti.
- Intanto come auspicio dei divini favori e pegno della Nostra paterna benevolenza a voi, Venerabili Fratelli, e al Clero e popolo vostro impartiamo affettuosamente nel Signore la Benedizione apostolica.
Dato a Roma presso S. Pietro, a dì 16 luglio 1892, anno decimoquinto del Nostro Pontificato.
LEO PP. XIII