Articolo tratto da Voyager - ai confini della conoscenza
Cristoforo Colombo, un navigatore genovese al servizio della monarchia spagnola, mentre cercava di raggiungere le Indie attraversando l’Atlantico, approdò su terre fino ad allora sconosciute, che egli credeva l’Asia. Si trattava invece di un nuovo continente a cui più tardi venne dato il nome di America” Con queste parole un libro di storia in vigore oggi nelle scuole introduce la Scoperta dell’America. Me è veramente andata così o, come spesso accade, ci troviamo davanti ad uno dei tanti casi in cui la storia si è adattata al volere dei vincitori, in questo caso i reali di Spagna? Chi era Cristoforo Colombo e perché sappiamo così poco di lui? Dove è realmente sepolto e perché ora si vuole fare l’esame del DNA su quelli che alcuni considerano i suoi resti mortali? Chi lo aiutò veramente ad organizzare la sua impresa e su quali misteriosi documenti si sarebbe basato per attraversare indenne l’Oceano? Era già stato in America? Perché avrebbe organizzato una spedizione con i Re di Spagna? Insomma, Cristoforo Colombo è stato veramente un eroe per caso o aveva un disegno preciso da portare a termine?
Sulla Treccani è scritto che “tutti i cronisti, geografi, cartografi dell’epoca delle grandi scoperte, italiani e stranieri, i quali hanno occasione di accennare alla patria di C. sono pressoché unanimi nel dire che il grande navigatore fu genovese e genovese si dichiara lui stesso nel suo testamento” Proprio nell’Archivio di Stato sono stati trovato documenti secondo i quali lui nacque a Genova nel 1451 da Domenico Colombo e da Susanna Fontanarossa, una famiglia di lanaioli e piccoli commercianti. (ci sono i 63 più importanti documenti relativi a Cristoforo Colombo e alla sua famiglia, compreso il famoso Documento Assereto del 1479, scoperto da Ugo Assereto e pubblicato nel 1905, in cui appare il suo nome, dichiarando di essere 'civis Janue' 'cittadino di Genova', e di avere 27 anni. Continuò ad essere cittadino genovese fino alla sua morte, infatti non volle mai nazionalizzarsi né in Portogallo né in Spagna.)
Della sua vita si sa piuttosto poco: di certo fu un navigatore, pare dai suoi 14 anni. Nel 1473 ha vissuto a Savona e da allora pare abbia viaggiato sempre, al servizio di case genovesi. Dei suoi viaggi si è scritto quasi di tutto: da Tunisi all’Islanda, con incontri con navi corsare, famiglie potenti e scienziati di fama, dagli studi all’Università di Pavia fino ai rapporti stabili con il Portogallo, allora forse la più importante potenza marinara. Sono stati anni fondamentali per la formazione di Colombo, anni che sono serviti per formare il progetto di viaggio che Colombo presenterà con forza ai reali di Spagna, anni dei quali sappiamo molto poco e che forse nascondono delle sorprese: di certo non era il marinaio testardo, ignorante ma fortunato che la tradizione ancora ci racconta.
Ma cosa nascondono gli anni sconosciuti di Colombo? Un giornalista e saggista romano, Ruggero Marino, avrebbe trovato le prove di uno stretto rapporto tra Colombo ed Innocenzo VIII, un Papa genovese come lui, già Vescovo di Savona nel periodo in cui Colombo visse lì, e morto solo 7 giorni prima della sua partenza da Palos per quelle che allora vennero chiamante “le Indie”. E’ stato il Papa allora ad aiutare Colombo? I Re di Spagna, che dovevano essere solo lo sponsor politico del viaggio, hanno poi preso il sopravvento? Ad aiutare quest’ultimo disegno ci sarebbe stata la morte tempestiva di Innocenzo VIII, seguita subito dall’elezione di Alessandro VI, Rodrigo Borgia, uno spagnolo dai modi pare molto determinati, che avrebbe poi dato agli spagnoli le nuove terre scoperte da Colombo.
Innocenzo VIII era Giovanni Battista Cybo, la cui famiglia era originaria di Rodi, l’isola dei cavalieri oggi chiamati di Malta che avevano ereditato tanti tesori templari, e legato da vincoli di parentela con Lorenzo il Magnifico, tra l’altro morto pochi mesi prima di lui. Possono essere stati questi due grandi uomini ad aiutare Colombo a organizzare la sua impresa e a trovare i finanziamenti? Sulla lapide (del 1621) che lo ricorda all’interno della Basilica c’è scritto “Novi orbis suo aevo inventi gloria” nel tempo del suo pontificato la gloria della scoperta di un nuovo mondo, e poi: “regi hispaniarum cattolici nomine imposto” cioè ha dato il nome di cattolici ai re di Spagna Ferdinando D’Aragona e Isabella di Castiglia: due elementi forse strettamente legati.
In effetti, come ha notato Marino, la maggior parte dei finanziatori dell’impresa di Colombo furono tutti legati a Innocenzo VIII: gli armatori e i banchieri genovesi suoi parenti, tra cui Francesco Pinelli, nipote del Papa, o Louis de Santàngel, il banchiere che riceveva le rendite ecclesiastiche in Aragona, o il banchiere di Lorenzo il Magnifico, il fiorentino Giannotto Berardi.. Lo stesso Colombo si auto-finanziò l’impresa, mentre i reali di Spagna avrebbero dato alla spedizione una copertura più politica che economica. Ed è una leggenda che la regina Isabella abbia venduto dei gioielli per finanziare Colombo.
E come avrebbe fatto Colombo a convincerli della validità di un viaggio tanto azzardato? Dopo anni di insistenze, tutto si sbloccò quando, nel gennaio del 1492, la Spagna vinse la sua battaglia contro i Mori e conquistò Granada. Determinante pare sia stata anche l’intercessione a favore di Colombo di religiosi legati ai reali, un’ulteriore prova del fatto che l’impresa doveva avere l’approvazione del Papa. Che era allora ancora Innocenzo VIII.
Nell’aprile del 1492 si siglò l’accordo tra Colombo e i Re di Spagna. Colombo ottenne la nomina di Ammiraglio dei mari e viceré delle terre e delle isole eventualmente scoperte, e questo diritto sarebbe andato in eredità ai suoi discendenti, compresa la decima parte dei proventi, esenti da tasse.
Le tre caravelle S. Maria, Pinta e Nina avevano in tutto un equipaggio di 100-150 uomini. Ufficialmente la spedizione aveva uno scopo commerciale ed era destinata a raggiungere i ricchi paesi dell’Asia orientale, oltre ad altre terre sconosciute.
Ma oltre alle motivazioni economiche, dietro all’impresa c’erano motivi di ordine religioso. Colombo era religiosissimo, legato ai francescani, che con i domenicani lo hanno protetto ed aiutato. Pare anche che sia morto indossando il saio francescano. Nel suo Diario di bordo, si leggerà che "in ogni posto dove sbarcava faceva innalzare una croce e ve la lasciava".
Secondo il giornalista Ruggero Marino, dietro all’impresa di Colombo si nascondeva l’intenzione di mettere in piedi una vera e propria crociata per liberare Gerusalemme ed il Santo Sepolcro. Le nuove terre avrebbero portato le ricchezze necessarie alla Spagna per iniziare questa nuova conquista, visto l’esito positivo della lotta contro i Mori a Granada. Da qui l’appoggio del Papa Innocenzo VIII e l’arrivo dei finanziamenti, da qui il titolo di Re cattolicissimi ai reali spagnoli.
Per questo forse Colombo si considerava “colui che porta Cristo”. A questo proposito un vero e proprio mistero che dura ormai da più di 500 anni è la sua inspiegabile firma, un criptogramma pare, strettamente collegato alla sua convinzione di avere avuto una precisa missione da Dio e che nessuno è mai riuscito a svelare completamente, una firma che non poteva essere di quel marinaio ignorante che ci ha tramandato la storia.
E non è tutto. Colombo ha studiato a lungo libri e carte nautiche dell’epoca, era un appassionato lettore del Milione di Marco Polo, era in contatto con Toscanelli, un grande matematico ed astronomo fiorentino, dal quale ricevette delle mappe, studiò a fondo l’Imago Mundi, del cardinale D’Ailly, e chissà quanti altri testi antichi, favorito magari dall’appoggio di Innocenzo VIII.
La sua era un’epoca di scoperte, di cartografi e di naviganti avventurosi. E tra le carte considerate misteriose, c’è quella del cartografo turco Piri Reis Ibn Haja Mehemet, famosa come mappa di Piri Reis. Una mappa nella quale sono riprodotte terre che all’epoca ancora non si conoscevano e nella quale si parla proprio di Colombo e di un suo incredibile viaggio.
Giuseppe Carrisi, giornalista di Rai International ha filmato la mappa di Piri Reis al Museo Topkapi di Istanbul e ne ha fatto tradurre alcuni passi. Sul bordo della mappa, Piri Reis ha scritto: “Queste coste hanno ricevuto il nome di spiagge delle Antille. Furono scoperte nell’anno 890 del calendario arabo (il nostro 1485 come ha rilevato Marino) e si racconta che un infedele genovese di nome Colombo fu colui che trovò questi luoghi” “Si sa che un libro capitò nelle mani del citato Colombo nel quale si diceva che, al termine del Mar dell’Est (L’Atlantico) sul lato occidentale c’erano coste, isole e ogni tipo di metallo e di pietre preziose”
Se questo fosse vero, Colombo, in quegli anni così poco conosciuti, avrebbe fatto un primo viaggio esplorativo guidato da un libro che noi non conosciamo (forse veniva dalla Biblioteca di Alessandria), in accordo probabilmente con Innocenzo VIII.
L‘America quindi lui l’avrebbe scoperta nel 1485, ben 7 anni della data ufficiale, ed avrebbe organizzato la spedizione con gli spagnoli sicuro di quello che avrebbe trovato, certo di andare ad evangelizzare altri popoli e di assicurare ai “re cattolicissimi” il necessario per la crociata in Terra Santa. Dunque non un marinaio sprovveduto convinto di andare nelle Indie ma un uomo del Papa che ha portato avanti discretamente un disegno ben preciso.
Alle 8 di mattina del 3 agosto 1492 Colombo iniziava il suo viaggio ufficiale, prima verso le Canarie e poi verso quello che tutti consideravano l’ignoto. Il 12 ottobre è sbarcato su un’isola alla quale diede il nome San Salvador
Cinque mesi dopo tornò in Spagna con una sola caravella, acclamato come un sovrano. Ma nel frattempo era cambiata la situazione: ad Innocenzo VIII era succeduto lo spagnolo Alessandro VI Borgia, che aveva cancellato il ricordo del suo predecessore. Colombo organizzò altre spedizioni, fino a che nel 1504 morì la regina Isabella, sua protettrice. Due anni dopo morì anche lui, tra l’indifferenza di tutti, senza essere riuscito ad ottenere dal re le ricchezze che si era guadagnato con la scoperta del Nuovo Mondo e che dovevano servire anche a liberare Gerusalemme con una nuova crociata.. Neanche i figli riuscirono ad avere quello che spettava al padre, nonostante una lunga causa con il Fisco spagnolo. Iniziò, in compenso, una sistematica e duratura opera di svalutazione del navigatore genovese
Quindi l'11 ottobre del 1965 uscì un articolo nel "New York Times", il cui titolo era: "Una mappa del 1440 mostra il Nuovo Mondo". Prendeva la palla al balzo l'"Herald Tribune", con un altro titolo: "Nuove prove: i vichinghi vinsero Colombo". Il fatto era che gli studiosi dell'Università di Yale avevano scoperto una mappa, che dimostrava che i vichinghi avevano attraversato l'Oceano Atlantico e sbarcato in qualche luogo del Nordamerica, che chiamarono Vinland. Dopo tanto rumore e schiamazzi si dimostrò che gli studiosi erano stati ingannati , infatti la mappa era un falso, come i caratteri runici trovati 'per caso' in una pietra negli Stati Uniti.
LA MORTE E LE TOMBE
Il 19 maggio 1506 Colombo ratificò il testamento, nominando suo figlio Diego come erede principale. Sembra che morì per insufficienza cardiaca, a causa della gotta (sindrome di Reiter). Il 21 fu sepolto nella cappella di Santa María de la Antigua, nella chiesa di san Francesco a Valladolid. In aprile del 1509, per desiderio di suo figlio Diego, la sua salma fu trasportata a Siviglia e collocata nella certosa di Santa María de las Cuevas, nella cappella di Santa Anna, più tardi vi si appose una lapidetta con queste parole: "A Castiglia e a Leone, Nuovo Mondo dette Colombo" (che rimano in spagnolo 'A Castilla y a León, Nuevo Mundo dio Colón').
Bartolomeo morì nel 1515 e fu sepolto nella chiesa di San Francesco a Santo Domingo; Diego, figlio di Cristoforo, morì a Montalbán nel 1521, anche i suoi resti furono inviati a Santo Domingo, dove a poco a poco vi giunsero quelli degli altri Colombo. Ultimi furono quelli di Luigi e di suo fratello Cristoforo II, figli di Diego e nipoti di Cristoforo. Finalmente nel 1541 vi giunsero i resti di Cristoforo che furono collocati nella cappella dell'altar maggiore della cattedrale. Le tombe furono danneggiate a causa dei terremoti e saccheggi dei corsari, tra i quali Francis Drake; in ogni modo restarono al loro posto fino al 1795 quando la Spagna consegnò alla Francia una parte della Spagnola (oggi Haiti). In presenza dei duchi di Veragua, discendenti dell'Ammiraglio, le tombe furono trasportate nella cattedrale dell'Avana, Cuba, dentro le casse c'erano solo delle spoglie. Dopo il trattato di Parigi, del 1898, che segnò la fine della guerra tra la Spagna e gli Stati Uniti, le spoglie, da Cuba, ritornarono a Siviglia, a bordo della nave da guerra 'Conde de Venadito' fino a Cadice, poi da Cadice a Siviglia a bordo del panfilo reale 'Giralda'. Però già dal 1877 cominciarono a sorgere dei dubbi se i resti che si trovano attualmente a Siviglia, in un mausoleo ideato da Arturo Mélida, erano realmente dell'Ammiraglio o di suo figlio Fernando, o di altri discendenti. Infatti s'era trovata una cassa di piombo, nella cattedrale di Santo Domingo, che conteneva delle ceneri e 69 frammenti ossei, su un lato della quale c'erano due targhe di piombo con le lettere: 'CCA' (Cristóbal Colón Almirante?) e sopra un'altra con le parole 'Illtre y Esdo.Varón Dn. Criztoval Colón.' (Illustre ed Esimio Uomo Don Cristoforo Colombo?). Finalmente dentro la cassa ce n'era un'altra d'argento con queste parole: Ua.pte.de los r.tos. Del p.er. Al.te D Cris.toval Colón.Desr. U. Cristóval Colón. (che significano forse 'una parte dei resti del primo ammiraglio Cristoforo Colombo') A Santo Domingo si pensò che gli spagnoli, nella fretta, avevano portato via i resti di qualche altro membro della famiglia Colombo, probabilmente quelli di Diego, lasciando nella cattedrale quelli di Cristoforo, che furono collocati solennemente in un nuovo monumento nella stessa chiesa. Il console genovese a Santo Domingo, Luigi Cambiaso, chiese ed ottenne una piccola porzione dei resti che divise in tre parti, una l'inviò a Genova, dove si conserva in un'urna nel palazzo Tursi, un'altra a Pavia, perché si credeva erroneamente (come aveva affermato Fernando Colombo), che avesse studiato nell'Università di codesta città, conservata tutt'ora in un'urna della biblioteca universitaria e, l'ultima parte, in Venezuela, che era stata la prima terraferma da lui scoperta.
La Reale Accademia Spagnola di Storia decretò che le prove addotte dalla Repubblica Domenicana non erano valide e affermò che i resti autentici erano a Siviglia. Molti studiosi credono che i suoi resti si trovino divisi tra Siviglia e Santo Domingo, mentre altri affermano che si trovano ancora a Santa María de las Cuevas, che oggigiorno è una fabbrica di ceramica, e altri finalmente che le sue spoglie non uscirono mai dalla primitiva tomba, nella chiesa di San Francesco a Valladolid, dato che i francescani lo veneravano tanto che mai avrebbero permesso di lasciarli in mano dei domenicani. Ma il convento e la chiesa furono distrutti durante l'occupazione napoleonica, ed oggi al suo posto esiste il 'Café del Norte' (Caffè del Nord), e molti abitanti della città sono sicuri che i resti si trovino ancora lí, nascosti in qualche parte dei sotterranei.
Diego Colombo s'era sposato con Maria di Toledo, duchessa d'Alba e nipote del re Fernando. Viveva a Corte e, dopo la morte di suo padre, continuò per conto suo a reclamare i diritti delle "Capitulaciones", soprattutto perché voleva essere inviato a Santo Domingo come viceré e governatore, e ne aveva tutto il diritto. Ma Fernando respinse la richiesta. Allora Diego pregò suo fratello Fernando di ricorrere ad un arbitraggio d'un tribunale. Il re Fernando accettò la sfida, sicuramente con la convinzione che avrebbe terminato d'una buona volta con questi litigi e pretese dei Colombo, e anche curioso di vedere se qualche giudice avessero osato opporsi alla Corona. Così cominciarono i processi che durarono 25 anni (1507-1532), e terminarono con Carlo V e con Luigi Colombo, figlio di Diego e nipote di Cristoforo. Solo una parte dei documenti di questi processi si è salvata, la censura reale fece distruggere il resto. Malgrado tutto risultano più che evidenti i sotterfugi, le diffamazioni, gl'inganni e le menzogne utilizzati dai giudici per dar ragione al Re.
Il giudice Villalobos, tra tanti altri, cercò di screditare Colombo con tutti i mezzi possibili, utilizzando anche leggende e menzogne, facendo testimoniare i membri della famiglia Pinzón e perfino i marinai, già vecchi decrepiti, del primo viaggio. Fu precisamente in quegli anni quando si creò la maggioranza delle calunnie, come quella di un Colombo plagiario di idee e progetti altrui, di straniero inetto, di pessimo marinaio (3), d'impostore che non scoprì mai nulla, di schiavista avido d'oro e di ricchezze di ogni tipo, d'assassino e di pessimo amministratore (4). Tra le tante leggende ridicole inventate per screditare Colombo bisogna ricordare che Gonzalo Fernández de Oviedo nella sua "Storia Naturale delle Indie", pubblicata a Siviglia nel 1535, scrisse che le Indie erano appartenute alla Corona castigliana da tempi molto remoti, sin dal 1558 a.C., secondo ciò che affermavano cinque scrittori diversi. Cosicché da 3050 anni le isole scoperte da Colombo erano già dei Re di Spagna e Dio, senza un gran mistero, gliele aveva restituite... È curioso che anche Carlo V gli credette (o chissà si stava afferrando a qualsiasi pretesto, per assurdo che fosse, per non dar a Colombo ciò che gli spettava), e mandò a dire a Oviedo che voleva conoscere i particolari, testimoni, scrittori o i libri dove aveva letto ciò che affermava, e che gli rispondesse subito. Logicamente non ricevette mai nulla. menzogne o di leggende, si trovano ancora: A) il priore Juan Pérez ricevette Colombo in gran miseria. B) il 12 ottobre Colombo scoprì Cuba. C) Colombo nacque a Genova, sicuramente da famiglia ebrea-spagnola D) Colombo morì povero e non si può dimostrare dove nacque. E) a bizzeffe si trovano ancora le leggende dei gioielli impegnati della Regina, che Colombo morì povero e incatenato, che l'equipaggio del primo viaggio era composto in maggior parte da galeotti, che i marinai i Palos si burlavano di Colombo che lo avevano visto, anni prima, mendicare, se era genovese o catalano, ecc.
In ogni modo per più di tre secoli non ci fu in tutta l'America un solo monumento che lo ricordasse, né esisteva alcuna biografia sua.
Cristoforo, che significa "colui che porta Cristo", che era devoto di san Francesco d'Assisi, che apparteneva all'ordine dei terziari, che era continuamente aiutato ed amato dai francescani e dai domenicani, e che spesso viveva nei loro conventi. Tanto più che battezzò centinaia d'isole, cittadine, baie con i nomi di Cristo, della Madonna e dei santi, che volle una sepoltura cristiana e in un convento, che faceva pellegrinazioni continue, che si confessava giornalmente e pregava varie volte al giorno, che voleva liberare il Santo Sepulcro e che i suoi genitori e i suoi fratelli avevano nomi di santi.
Colombo, prevedendo già l'ostilità del Re, aveva consegnato, nel 1502, gli originali o le copie dei documenti più importanti al delegato della Repubblica di Genova Nicola Oderigo, affinché li depositasse nella Banca di San Giorgio. La lettera che li accompagnava comincia così: "Nobilissimi Signori, sebbene il mio corpo si trova qui, il mio cuore è sempre costì (a Genova)". Fondata nel 1407 quella di San Giorgio fu la prima banca pubblica nel mondo.
Il testamento originale andò perduto, ma ne esistono trascrizioni.Comincia invocando la Santissima Trinità e vi ricorda tutti i diritti a lui concessi nelle "Capitulaciones" e le terre da lui scoperte. Stabilisce l'ordine di successione cominciando dai suoi figli e terminando con i suoi fratelli:"Che mio figlio Diego tenga e sostenga sempre nella città di Genova una persona della nostra stirpe che abbia costì casa e moglie, e gli si conceda una rendita per mezzo della quale possa vivere onestamente... ...infatti da essa (Genova) partii e in essa nacqui... ...che si depositi il denaro nella Banca di San Giorgio a Genova, città nobile e potente sul mare". Ricorda inoltre ai Re che il suo desiderio è quello di liberare il Santo Sepolcro e che lui metterà a disposizione il suo danaro per una crociata, e che suo figlio Diego dovrà parteciparvi, difendendo sempre la Chiesa dagli scismi e dalle eresie e cercando di convertire alla fede cristiana tutti i popoli delle Indie. Ordina a suo figlio Diego "che procuri e lavori per l'onore e il bene e lo sviluppo della città di Genova e inverta tutte le sue forze e i beni per difendere ed accrescere il bene e l'onore della sua Repubblica... ...che abbia e mantenga nella Spagnola una cappella con tre cappellani che dicano tre messe al giorno, una in onore della Santissima Trinità, un'altra alla Concezione di Nostra Signora e l'altra per l'anima di tutti i fedeli defunti, e per l'anima mia, e di mio padre e madre e moglie". Ricorda ancora a suo figlio che paghi tutti i debiti suoi, gli raccomanda Beatriz Enríquez affinché possa vivere onestamente. Finalmente lascia del danaro, senza che loro sappiano da chi proviene, a Gerolamo dal Porto, cancelliere a Genova, ad Antonio Vazo, mercante genovese che vive a Lisbona, agli eredi dei Centurione, degli Scoto, e di Paolo di Negro, genovesi, a Battista Spìnola o ai suoi fratelli, nel caso in cui fosse già morto, ed a un ebreo che viveva vicino alla porta del ghetto di Lisbona. Nel testamento ringrazia i Re e riafferma la sua lealtà e obbedienza.
Sappiamo che suo padre, di nome Domenico, esercitava il mestiere di tessitore e, legato al clan familiare dei Fregoso, fu guardiano della porta dell’Olivella. Conosciamo anche il nonno, Giovanni, anch’egli tessitore. E poiché allora i genovesi erano quelli che si muovevano su più ampi spazi marittimi, assicurando i trasporti per mare dal Mar Nero alle Fiandre e all’Inghilterra, si possono ben comprendere le sue esperienze giovanili a Chio, il lungo soggiorno in Portogallo, con le prime esperienze oceaniche e il concepimento del suo progetto, perfino certi aspetti del suo soggiorno in Andalusia, ove la presenza di uomini d’affari genovesi e fiorentini era, come in Portogallo, notevole.
Tuttavia è bene ricordare che il suo progetto si basava su un duplice errore geografico, pur condiviso da sapienti di grande autorità, e verrebbe voglia di esclamare con la liturgia del Sabato Santo: felix culpa! : infatti egli riteneva la Terra molto più piccola e l’Asia molto più estesa verso l’Europa. Così gli poté apparire realizzabile un viaggio che, senza l’inattesa presenza di un altro continente, si sarebbe rivelato, evidentemente, impossibile. È importante ricordare questo fatto perché ci permette di comprendere il parere negativo sia degli studiosi consultati dal re del Portogallo, Giovanni II, sia di quelli spagnoli, in buona parte dell’università di Salamanca, interpellati dai Re Cattolici. Essi avevano, da un punto di vista matematico e geografico, ragione. Naturalmente non era in questione la sfericità della Terra, dato pienamente acquisito dalla cultura geografica medievale, ma la sua dimensione.
Nel Diario di bordo c’è la convinzione di svolgere una missione accompagnata dal favore divino. In data 23 settembre 1492 egli istituisce un parallelo fra sé e Mosé: come allora a Mosé, che conduceva gli ebrei fuori dalla schiavitù egiziana, risultò utile il mare grosso in assenza di vento, così lo stesso straordinario fenomeno si è ripetuto a suo vantaggio per tranquillizzare i marinai timorosi circa la possibilità di fare ritorno. Il problema della conversione degli indigeni è, fin dallo stesso primo contatto del 12 ottobre, al centro dell’attenzione dello scopritore: "Conobbi che era gente che meglio si salverebbe e si convertirebbe alla nostra santa fede con l’amore che con la forza". E in data 27 novembre, rivolgendosi ai sovrani spagnoli, dopo aver esposto la necessità di superare la barriera linguistica, scrive: "E poi si raccoglieranno i benefici e si lavorerà per fare cristiani tutti questi popoli, il che agevolmente si farà perché essi non hanno setta alcuna, né sono idolatri".
Sempre il Diario di bordo ci informa sul comportamento e sui pensieri di Cristoforo Colombo durante la spaventosa tempesta che coglie le due caravelle superstiti a metà febbraio, durante il viaggio di ritorno. In tali drammatici frangenti egli ha il timore che Dio gli impedisca il ritorno e "attribuì questo alla sua poca fede e alla mancanza di fiducia nella Provvidenza divina. D’altra parte lo confortavano le grazie che Dio gli aveva fatto, dandogli tanto grande vittoria, permettendogli di scoprire quello che aveva scoperto. [...] E che, come nel passato aveva posto il suo fine e indirizzato tutta la sua impresa a Dio e lo aveva ascoltato [...] doveva credere che gli darebbe compimento di quanto cominciato e lo porterebbe a salvamento".
Da buon capitano medievale Cristoforo Colombo si preoccupa "che si estraesse a sorte un pellegrino che andasse a Santa Maria di Guadalupe e portasse un cero di 5 libbre di cera", e la sorte designa proprio lui: a questo santuario dell’Estremadura condurrà di persona i primi indiani portati in Spagna a ricevere il battesimo. Poi viene deciso anche "di mandare un pellegrino a Santa Maria di Loreto, che è nella marca di Ancona, terra del Papa, che è una casa dove Nostra Signora ha fatto e fa molti e grandi miracoli"; "dopo di ciò l’Ammiraglio e tutto l’equipaggio fecero voto di andare, arrivando alla prima terra, tutti in camicia in processione a far preghiera in una chiesa che fosse dedicata a Nostra Signora" (23). Va inoltre ricordato che l’Ammiraglio tiene sempre presenti, anche nel corso delle sue esplorazioni, il calendario liturgico, le solennità ecclesiastiche e i misteri della Fede (24). Il 6 dicembre 1492, giorno della festività di san Nicola, chiama con quel nome il porto dell’isola Hispaniola — poi Haiti — in cui si trovava, come nel secondo viaggio un promontorio riceve il nome di Cabo Cruz il 3 maggio, giorno del rinvenimento della Croce.
Un motivo ricorrente nei testi di Cristoforo Colombo è quello della finalizzazione dei risultati della sua impresa alla liberazione del Santo Sepolcro. Nel Diario di bordo, dopo aver narrato la costruzione del primo insediamento, quello di Navidad — fondato il 25 dicembre del 1492, subito dopo il naufragio della Santa Maria. —, afferma che intende ritornare in un secondo viaggio dalla Castiglia e trovare oro e spezie "in tanta quantità che i re, prima di 3 anni, intraprendessero e preparassero [l’azione] per andare a conquistare la Casa Santa" confermando così l’impegno preso "con fermezza" con i sovrani prima della sua partenza, e cioè "che tutto il guadagno di questa mia impresa si spendesse nella riconquista di Gerusalemme".
Dopo il terzo viaggio, fra il 1501 e il 1502, l’Ammiraglio, temporaneamente caduto in disgrazia presso i sovrani, pone mano al Libro de las Profecias, una raccolta di passi biblici, di Padri della Chiesa e di Seneca : il manoscritto è conservato nella Biblioteca Colombina di Siviglia.
Nel 1501, in una lunga lettera ai Re Cattolici, afferma chiaramente di considerarsi il missionario predestinato a portare a Cristo gli abitanti delle terre da lui scoperte E se indubbiamente il progetto crociato non fu realizzato, come dimenticare, comunque, che "l’oro del Nuovo Mondo servirà a finanziare eserciti e armadas contro i Turchi"?