Più che uno scontro di civiltà, religioso o altro è uno scontro di culture e di secoli. Noi troppo avanti nella modernità con la mercificazione dei valori e la perdita della spiritualità, loro troppo indietro nel passato, ancorati al medio evo, mummificati in tradizioni ancestrali e nella sacralità di una fede strumentalizzata e resa fonte di odio. Mentre noi in teoria predichiamo l’amore. Difficile, se non impossibile, il dialogo. Nel nostro mondo, a dispetto delle resistenze anche violente, le donne stanno compiendo passi da gigante. In molti dei loro paesi le donne non contano nulla. Condannate se mi mettono al volante, frustate e uccise se cercano di vestirsi all’occidentale. Gettate nelle fosse e lapidate, spinte dai padri e dai fratelli, i primi a lanciare le pietre. Da una parte una civiltà che cerca, sia pure fra forti resistenze, di scoprire il suo lato femminile, dall’altra una “civiltà” strenuamente machista e tribale. Dove le armi diventano un status symbol di potere e di maturità. Come la jambyia, la lama il cui possesso nello Yemen, brodo di cultura di molto fanatismo assassino, segna allo scadere dei 14 anni, per i ragazzi, la fine dell’adolescenza. Il corrispettivo nella nostra cresima, che converte in “soldati di Cristo”. Un pugnale che dà vita alla danza dei coltelli persino durante i matrimoni. E si accompagna alle raffiche di kalashnikov verso il cielo. L’Islam gioca e si diverte con gli strumenti di morte, li ritiene irrinunciabili per l’uomo. E la donna si accetta, se a sua volta imbraccia il fucile o diventa una bomba che cammina. Colmare questo baratro appare troppo arduo. L’Occidente non ci riuscirà mai tendendo la mano. Gli unici che potrebbero farlo sono i rari paesi di un Islam aperto all’era moderna. Di cui condivide il benessere, la tecnologia e il comfort, ma non le idee. Un Islam che ancora non riesce però a separare, una volta per tutte, il suo cammino da quello retrogrado di quanti, a dispetto di tutto, rimangono “fratelli”.