Sono fra quanti non schifano Sanremo. Bello o brutto, a seconda dei gusti, lo seguo da sempre. Sembra banale, ma trovo che sia una cartina di tornasole dell’evoluzione, in meglio o in peggio del Paese. Basterebbe solo soppesare come è cambiato il look degli uomini, che pare abbiano scoperto scollature, lustrini, gonne e pagliacciate alla faccia del patriarcato.
E ve le immaginate Nilla Pizzi o Carla Boni in giarrettiere come la bella e scaltra Annalisa, che ormai si sente la Taylor Swift all’italiana? Le canzoni non sono male, lo spettacolo fra esibizioni canore e calcolata ricerca della commozione regge, nonostante la lunghezza tafazziana. Eppure si potrebbero eliminare le introduzioni allo spettacolo eternamente demenziali, il perditempo delle scale e qualche intervento eccessivamente logorroico. Sorprendente la scioltezza da bravo presentatore di Mengoni (troppo smorfiosa invece Giorgia), a parte il penoso monologo introduttivo, che porta a quello che è il vero grande difetto della manifestazione: l’iperbole. Ohé! son canzoni, canzonette, son cantanti non geni, è una gara canora non siamo alla rifondazione dell’Italia. Amadeus è il direttore-faina di un Festival, non un valoroso condottiero garante di tempi aurei. I record di ascolto non cancellano i problemi dell’Italia. In un’iperbole più nociva di un virus, perché i media se ne impossessano a tempo pieno e lo spolpano per giorni interi, per settimane, durante le quali l’Italia sembra essersi fermata ancora una volta al ballo del qua qua. Che umilia anche Travolta. Un ultimo dubbio, ma Fiorello è veramente quel grande showman di cui tutti parlano bene? Il suo programma è un circo stitico di risate tranne le loro e ricco di stupidità, con due spalle terra terra e un contorno di cretineria.