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Intervento del giornalista televisivo Aldo Bello alla presentazione del libro di Ruggero Marino organizzata dall'Associazione culturale Hermesa Roma.

Da qualche tempo figura e opera di Cristoforo Colombo sono tornate agli onori delle cronache per una serie di ragioni che vanno esaminate a livello di editoria, come nel caso del testo del giornalista e scrittore Ruggero Marino, ma anche di scoperte di nuovi documenti, sulla cui attendibilità vanno esperite analisi specifiche. Per questo motivo dobbiamo procedere con una premessa suggerita, e in un certo senso imposta, da una vicenda abbastanza recente.
Alcune settimane fa l’Economist ha dato notizia di un’America scoperta dai cinesi prima del 1421. Il magazine sostiene questa tesi sulla scorta di una mappa del 1763, copiata da Mo Yi Tong da una originale del 1418, attualmente all’esame dei laboratori scientifici neozelandesi, che dovranno certificare se sia autentica oppure no. Nella mappa sono quasi perfettamente disegnate le coste dell’Africa, dell’Europa e dell’Asia, ma anche dell’Australia e delle Americhe, oltre alle due sorgenti del Nilo e a una rotta di passaggio a Nord-Est.
Dunque, scoperta delle Americhe, ma non solo. La storia, ricostruita da Gavin Menzies, comandante sommergibilista della Royal Navy, poi passato alla finanza, afferma che il Grande Ammiraglio del Celeste Impero. Zheng He, l’11 luglio 1405 intraprese un viaggio, che nel suo diario di bordo è così descritto: “Abbiamo attraversato più di 500 mila chilometri di mare e visto onde alte come montagne sorgere dall’acqua. Abbiamo visto terre lontane, nascoste dalla trasparenza blu dei vapori, mentre le nostre vele si spiegavano orgogliose come nuvole nel cielo”.
La copia della mappa ha alcune imprecisioni:in Europa non compaiono l’Inghilterra e l’Irlanda; in America del Nord la California è un’isola; l’America del Sud è molto tozza; l’Australia ha dimensioni ridotte. Nella parte alta , sei caratteri cinesi definiscono questa carta una "mappa generale del mondo integrato" In basso, a sinistra, spicca il nome dell’autore della copia, insieme con la dicitura: - I barbari che pagano rispetto alla dinastia Ming.

Questa storia si fa planetaria. Nel senso che tra il 1421 e il 1423, sotto la guida di Zheng He, quattro flotte, per complessive trecento navi, ciascuna delle quali era quattro volte più grande della caravella di Colombo, e 28 mila marinari (in media, 95 per vascello) salparono dalle coste cinesi, con la missione di raggiungere e disegnare tutte le terre emerse. Erano al comando di quattro ammiragli: Yang Qing doppiò l’India, passò a sud della Penisola Arabica, superò il Corno d’Africa e il Kenya, circumnavigò Madagascar e tornò indietro; Hong Bao doppiò il Capo di Buona Speranza e poi le isole del Capo Verde, navigò in Atlantico, seguì la costa sudamericana, invertì la rotta e, prima di rientrare in Cina, avvistò l’Australia; Zhou Wen doppiò l’Africa meridionale, raggiunse l’America del Nord, superò la Groenlandia e rientrò solcando l’Oceano Artico e passando per il mare che separa e unisce la Russia dall’Alaska con il ponte delle Isole Aleutine; infine Zhou Man, il più audace di tutti, doppiò l’Africa e l’America del Sud, valicando il malmostoso Capo Horn, risalì le coste delle due Americhe e tornò in patria dopo avere attraversato il Pacifico e circumnavigato l’Australia.
In sintesi. Se la mappa risulterà autentica, e se i meriti del Grande Ammiraglio Zheng He saranno riconosciuti, il vantaggio degli esploratori cinesi sugli europei sarà schiacciante. Costoro, infatti, sarebbero giunti in America 71 anni prima di Colombo, al Capo di Buona Speranza 76 anni prima di Vasco da Gama, avrebbero fatto il giro del mondo un secolo prima di Magellano, avrebbero scoperto l’Australia tre secoli prima di James Cook.

Questa lunga premessa, intanto, per negare quel che ha sostenuto Francis Fukuyama, secondo il quale la Storia è finita: perché in realtà non finisce mai, ma prosegue, magari ripetendosi, anche se in nessun caso allo stesso modo; e poi per dar torto a coloro i quali sono infastiditi dal cosiddetto revisionismo, cioè dalla rilettura della Storia attraverso nuove ipotesi, nuovi retroscena, e soprattutto nuovi documenti.
E, a questo punto, la domanda di fondo: viste le strabilianti iniziative cinesi, dobbiamo riscrivere tutte le pagine delle spedizioni per mare, ma anche per terra, degli esploratori europei?
Non proprio, o non proprio tutte, visto che, entrando nel cuore del Colombo scritto da Ruggero Marino, fra le altre cose inedite, fra le ipotesi verosimili, fra le scoperte sorprendenti, la data della scoperta dell’America è addirittura retrodatata rispetto a quella del 1418. Marino parla del Cipango, versione accettata del cinese Jin-pen-kuo, nome che ritiene riferito erroneamente al Giappone, e legge la descrizione che ne fa Marco Polo nel Milione, con originali note interpretative. Testualmente, dal capitolo IX: "Ed ecco venirci incontro la famosa descrizione di Marco Polo riferita allo strabiliante e fantomatico Giappone: - Cipangu è un’isola a levante in piano Oceano a 1.500 miglia dalla terraferma (che non può essere la Cina, annota in parentesi Marino). E’ un’isola immensa (il Giappone non lo è, rileva l’Autore). Gli abitanti sono di pelle bianca (altra nota: molti indios lo erano), e hanno belle maniere (ulteriore annotazione: sembra di leggere Colombo quando incontra gli indios): sono idolatri (così erano definiti gli indios) e indipendenti, non riconoscono signoria all’infuori della propria. Hanno stragrande quantità d’oro, perché l’oro si trova nel Cipangu in quantità eccezionale (sottolineatura: in Giappone l’oro non esisteva). Hanno perle in abbondanza (l’Autore ricorda che l’America colombiana sarà uno scrigno naturale di perle) ...qui è consuetudine, quando si dà sepoltura, di mettere in bocca al morto una perla (ultima nota: usanze analoghe avevano gli indios)".
Commento di Marino: le distanze di questo mondo pauroso e favoloso, sia pure calcolando una percentuale di errore, sono tali da escludere qualsiasi rapporto col Giappone. Siamo in pieno oceano, anzi nell’oceano più sconfinato, cioè il Pacifico, e i luoghi di cui si parla si raggiungono dopo un viaggio di un anno: predominano due venti, i monsoni; per questa ragione si parte in inverno e si fa ritorno in estate, sfruttando le due direzioni in cui quei venti spirano. Infine, c’è una storia di invasione del Cipango da parte dei Tartari. E il Giappone, che fra l’altro è a poca distanza dalla Cina, dunque si raggiunge in pochissimo tempo, non è stato mai invaso, mentre costumi e fisionomie di alcuni gruppi di nativi americani parlano chiaramente di incroci lontani.
Scrive Marino che correva l’anno 1281 quando i cinesi toccarono, e forse non per la prima volta, l’America. E a volerla dire tutta: l’America c’era, nei libri e sulle carte, ben prima del 1492, e anche prima del 1281. L’Autore cita Laura Miccinelli, studiosa italiana che, testualmente, "sulla scorta dei testi di altri due gesuiti e grazie alla lettura dei quipos incas, i nodi e le cordicelle, e di un codice segreto fatto di numeri arabi, ha potuto ricostruire uno scritto del 1532 in cui si parla dell’arrivo in America, ben dieci secoli prima, di Tartari e di uomini bianchi ‘dalla barba d’oro’, venuti ‘dal Nord’ ".
Commenta un intrigante Marino: ancora una volta genti provenienti dall’Asia, ancora popoli biondi e barbuti venuti dal Nord. Ulteriori approdi, mille anni e anche più, prima di Colombo, Gli Incas sarebbero il risultato di questi incroci. I quipos avevano custodito nel tempo la verità...

Perché tanto omertoso silenzio intorno alla vicenda del viaggio di Colombo e di uno stesso suo ipotizzato pre-descubrimiento? Marino svolge ricerche per oltre quindici anni, sviluppa un incredibile lavoro, per il quale indaga sulla vera paternità del Navigatore, che è ritenuto nepos, nipote, ma molto più probabilmente figlio di papa Cybo, Innocenzo VIII, al quale somigliava in modo impressionante; studia attentamente la lapide presente in San Pietro, sulla tomba di questo Pontefice firmata dal Pollaiolo, e si sofferma sul mistero della data di morte di Innocenzo, posticipata di un anno, nel 1493; e svolge ricerche su codici, su mappamondi, su documenti di cartografi, sulla mappa del musulmano Piri Reis, sulla probabile pre-scoperta da parte dello stesso Colombo, (che a fronte di una minaccia di ammutinamento dell’equipaggio, chiese soltanto tre giorni di tempo ancora; ed esattamente tre giorni dopo si toccarono “ufficialmente” le coste isolane del Nuovo Mondo); e sul sostegno e sui finanziamenti della Chiesa di Roma; e sulla firma, definita esoterica, Cristo ferens; e sugli interessi cristiani e islamici per il dominio del globo terracqueo; e sui segreti vaticani riguardo all’elezione di Innocenzo, e poi sulla damnatio memoriae che mise in ombra l’opera di questo grande papa, col tentativo, persino, di negare che la scoperta colombiana fosse avvenuta durante il suo pontificato; e infine su realtà, su leggende, su attese millenaristiche, su misteri gordiani, su parentele come quella – probabile – fra Marco Polo protetto da papa Fieschi-Innocenzo IV e papa Cybo-Innocenzo VIII, entrambi liguri, l’uno e l’altro molto impegnati nell’opera di ricucire l’ecumene.
Polo veneziano e Colombo genovese, e due pontefici che è quantomeno suggestivo ritenere legati da un’unione spirituale, quasi da una missione irrinunciabile. Polo e Colombo che sfidano, il primo, gli orizzonti terrestri da ovest ad est, e l’altro quelli marini da est verso ovest. Splendida la prosa di Marino quando tratta questo argomento: “Nessuno dal tempo di Alessandro Magno si era spinto oltre il ‘nodo-labirinto’ del condottiero macedone, messo come un cappio attorno alla conoscenza del mondo. Fra l’interdetto gordiano ad Oriente e l’interdetto a Occidente, alla finisterrae dell’Europa, con le Colonne d’Ercole, l’ecumene era praticamente blindata. In un perfetto equilibrio del terrore. Mostri da tutte le parti: di mare quelli che pullulavano nell’Atlantico. Di terra quelli che scorrazzavano in Asia, con le genti bestiali di Gog e Magog. Guai a chi vi si avventurasse senza autorizzazioni”.
Suggestivo quanto mai, per me che vengo da una terra messapica che culmina, a Leuca, con un Capo di Finibusterre; che di recente, nella spagnola Galizia, è passato per una stretta lingua di terra alla cui estremità c’è un altro scoglio intitolato Finisterre; che a suo tempo, traversando la Terra del Fuoco, appurò dai discendenti da un’antica famiglia veneta lì emigrati e residenti che quell’America si immergeva nel mare, sì, a Capo Horn, ma dopo un’ultima terra affiorante chiamata Finisterre!
Confini, comunque, violati: per il commercio, per gli affari, per il desiderio di dominio e di potenza. Violati lungo le vie della Seta e delle Spezie, quelli che portavano nel cuore dell’Asia e in Cina, e, oltre, al Cipango; per la conquista dell’ecumene cristiano, quello che apriva le rotte dell’Atlantico, quattro volte percorse dal navigatore genovese.

Avessimo avuto non l’edizione emendata dal domenicano bolognese fra’ Francesco Pipino, ma il Milione originale dettato in carcere da Marco Polo a Rustichello da Pisa; avessimo avuto alcuni dei documenti consultati da Colombo in Vaticano, o altri provenienti da luoghi lontani o riecheggianti testi della mitica biblioteca di Alessandria, o infine le mappe di cartografi e viaggiatori del “Mondo Trinitario”, o mondo “a forma di T”, con i soli continenti d’Europa, d’Asia e d’Africa, con le culture e con le civiltà che avevano avuto relazioni, allacciato rapporti, compiuto viaggi ed esplorazioni, ascoltato marinai e mercanti, scritto diari, raggiunto corti lontane, monarchi potenti, popoli esotici… Molto, forse troppo è ancora segregato in archivi inaccessibili; e altrettanto è andato perduto: e di tutto questo spesso si duole Marino, più frequentemente nelle ricchissime note che corredano ciascuno dei dodici capitoli del testo. Che, come si sa, contiene meno, molto meno di quel che si è accumulato dopo ricerche condotte in oltre tre lustri. Dopo tutto ciò che ha scritto sul tema, altro ancora sembra promettere questo Autore, utilizzando i materiali rimasti nel cassetto.
Che devono essere proprio tanti, anche a giudicare dall’interminabile lista di nomi delle persone che, a chiusura, Marino ringrazia per apporti o segnalazioni di letture e documenti. E vi è compreso il rammarico per un elenco, elegantemente non stilato, di coloro i quali, contattati, si son guardati bene dal rispondere, e di coloro i quali hanno messo in atto molteplici tentativi di scippo, o manifestato opposizioni preconcette, o infine propalato vere e proprie calunnie. Segni tangibili, tutti questi, dell’originalità e dell’importanza dell’opera di Marino.
Opera vasta, che sottende una cultura profonda, e un amore per la ricerca storica, e la capacità di usare strumenti espressivi comprensibili per la narrazione di vicende complesse, per l’impostazione di ipotesi non peregrine, per la proposizione di esiti scientifici documentati. Una storia come mosaico di storie complementari attorno, a lato e dentro il filone portante: che è quello di un Colombo che per la prima volta prende coscienza di un Nuovo Mondo, che rivoluziona storia, geografia, scienza, teologia, e che dà luogo a una linea di confine, di discrimine fra l’evo antico e il moderno; e che ci traghetta nella nostra età, anche se la traversata sarà irta di misteri, di intrighi, di coni d’ombra, di persistenti lacune. La scoperta di quel Nuovo Mondo fu una luce gettata sulla civiltà planetaria. E si sa che, dove più forte è la luce, più nere sono le ombre.
Intanto, molte ne dissolve questo Colombo, testo di revisione totale. Siamo noi, dunque, a dover esprimere gratitudine nei confronti di Marino. Che salotti e accademie, se insensibili, restino chiusi nei loro minuscoli orizzonti. La passione, se autentica, alla fine dà buoni frutti. E questo libro è frutto di una passione tattile, che coinvolge fino in fondo. E proprio per questo desidero riportare la dedica che Marino ha scritto sulla mia copia. Dice: - Cristoforo Colombo, uno spirito che da 500 anni naviga ancora alla ricerca di se stesso -. Spirito inappagato, che ha un’eterna sete di conoscenza. E di verità.

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