Una terra verde a sud dell'equatore, nella zona antartica. Così appare l'Australia in un affresco di Palazzo Besta, splendida dimora nobiliare della Valtellina, meta turistica per chi si reca a Teglio in provincia di Sondrio. Fin qui nulla di strano, se non fosse che quella mappa, come il castello che la ospita, risalirebbe ai primi decenni del 1500, ben più di due secoli prima che, nel nome di re Giorgio III, James Cook proclamasse la "terra australis" territorio britannico e ne avviasse l'esplorazione (1770).
Ad accorgersi per primo della singolarità del dipinto è stato Ruggero Marino, giornalista e scrittore: "Quasi per caso", ha raccontato a Galileo, "notai l'affresco in una puntata della trasmissione televisiva Linea Verde. E rimasi stupito dal fatto che nessuno si era soffermato sullo stupefacente valore geografico e cartografico di questo affresco nella Sala della Creazione. Dopo tre anni mi sono potuto recare sul posto e mi sono accorto che nel dipinto una didascalia parla di una "terra australis" non ancora completamente "cognita". Non ancora esplorata a fondo, dunque, ma comunque nota quel tanto necessario per poterla disegnare in posizione più o meno esatta, dilatata in orizzontale per questioni di proiezione e colorata di verde, non di bianco, a indicare che si trattava di una terra abitata e non ghiacciata". E le sorprese non finiscono qui. Altre immagini di cui il castello si adorna mostrano un Nuovo Mondo dai contorni precisi, una conoscenza dell'America incredibile per quei tempi. "Non vi è alcun dubbio", afferma Marino, che ha illustrato la sua tesi su Hera, mensile dedicato ai miti e ai misteri della storia, "che le conoscenze sulla cartografia del XVI secolo sarebbero tutte da rivedere".
Ma chi, prima del capitano Cook, sarebbe approdato in Australia? Portoghesi, olandesi e, forse ancor prima, cinesi. "Sono certo che questa terra", va avanti lo scrittore, "è stata toccata nel 1499 dai portoghesi, poiché gli studi sul legno di un'imbarcazione naufragata all'epoca presso le coste australiane hanno mostrato che si tratta di quercia, legno tipico delle regioni mediterranee". Poi all'inizio del XVII secolo i navigatori olandesi, in cerca di oro e spezie, arrivarono a Cape York (North Queensland) e si sa che nel 1642 la Compagnia Olandese delle Indie Orientali organizzò una spedizione nei territori del Sud. I portoghesi, tuttavia, mostrarono una conoscenza delle rotte fin troppo precisa e sicura. Il che si spiegherebbe, secondo Gavin Menzies, ex ufficiale della Marina Britannica (con la cui tesi Marino è in gran parte d'accordo), con il fatto che nel 1421 una flotta cinese (oltre 100 navi e circa 1000 uomini) al comando dell'ammiraglio Zheng He attraversò l'Oceano Indiano, doppiò il Capo di Buona Speranza ed esplorò le coste sudamericane e quelle australiane. Numerosi cartografi avrebbero preso parte alla spedizione con il compito di realizzare la mappa del viaggio. Nel 1428 questa carta sarebbe giunta in Portogallo e da qui si sarebbe diffusa in tutta Europa.
Menzies, autore del libro "1421: la Cina scopre l'America" (ed. Carocci, 2002), sarebbe arrivato a questa conclusione a seguito delle sue indagini veneziane. Proprio nella città lagunare, infatti, avrebbe rinvenuto, circa dieci anni fa, un planisfero costruito nel 1459 raffigurante il Capo di Buona Speranza, la cui scoperta, però, è tradizionalmente attribuita a Vasco de Gama e datata 1497. Sulla stessa mappa una frase scritta in lingua fenicia parlava di un viaggio effettuato nel 1420 con il quale il Capo era stato "girato" per raggiungere le isole di Capo Verde, nell'Oceano Atlantico. Accanto, il disegno di una giunca cinese. E nei Caraibi, secondo Menzies, ci sarebbero i resti di nove imbarcazioni cinesi affondate nel dicembre del 1421. Cook, dunque, quando nel 1768 ricevette l'ordine dal ministero della Marina britannico di condurre una spedizione scientifica nel Pacifico sapeva precisamente dove andava, grazie alle cartine elaborate dai navigatori cinesi.
"Non trovo queste ipotesi particolarmente eclatanti", dichiara Cosimo Palagiano, docente di geografia umana all'Università di Roma "La Sapienza". "Già prima di Cook, infatti, molti ritenevano che il continente australe dovesse esistere per forza, per controbilanciare la massa terrestre situata a nord dell'equatore". D'altra parte, scoperte e supposizioni di questo tipo possono essere motivo di ricerche più approfondite, "tanto più", continua il docente, "che gli studiosi dovrebbero sempre avere un atteggiamento aperto e non conservatore. Ma pur sempre cauto".
Eppure, insiste Marino, "i falsi storici esistono". Come nel caso della "questione colombiana". Anche Cristoforo Colombo cioè avrebbe conosciuto nel 1492 il percorso e la meta del suo viaggio. E proprio al navigatore genovese Marino dedica le sue ricerche da 13 anni, nel tentativo di gettare nuova luce sulle sue origini, in particolare sul suo rapporto con papa Innocenzo VIII (di cui sarebbe figlio, come lo scrittore sostiene nel libro "Cristoforo Colombo e il Papa tradito", ed. Rtm, 1997), sulla sua impresa e sul contesto storico in cui visse, non senza scontrarsi con le accademie. Colpevoli, secondo Marino, del più grosso fenomeno di disinformazione della storia moderna: "Colombo fu l'ultimo scopritore dell'America e non certo il primo. Non fu un avventuriero o un semplice marinaio, come si è fatto credere, bensì uno scienziato che sapeva benissimo dove stava andando. E fu sicuramente il più abile tra i conquistadores, colui che cambiò la storia. Se non fosse giunto lui, infatti, il destino dell'America sarebbe stato probabilmente assai diverso: sotto la bandiera rossa di Mao o, chi lo sa, sotto la mezzaluna dei musulmani". E in Australia, se non ci fosse stato Cook, forse si parlerebbe cinese o portoghese.