Le tesi dello studioso e scrittore Ruggero Marino sorprendono la platea di New York riunita per celebrare il tradizionale Columbus Day. Sempre più critici gli Usa sull’aspetto colonialista della missione.
DALL’INVIATO A NEW YORK. Cristoforo Colombo era partito alla scoperta della Indie Occidentali per conto del Papa Innocenzo VIII, e non del re di Spagna. Era un uomo molto più colto e potente di quanto non abbia tramandato la storia, forse figlio illegittimo dello stesso pontefice. Il suo obiettivo non era semplicemente quello di conquistare nuove terre da sfruttare per le loro ricchezze, e quindi soggiogarne gli abitanti, ma piuttosto cercare un nuovo mondo dove costruire l’unità fra le tre religioni monoteistiche, aperto anche a qualsiasi setta volesse unirsi.
Sono le tesi originali e per molti versi sorprendenti, che lo scrittore e giornalista Ruggero Marino è venuto a presentare a New York, durante una conferenza tenuta all’Explorers Club. L’incontro è avvenuto proprio in corrispondenza con le celebrazioni del Columbus Day, sempre più contestato negli Stati Uniti, dove i critici dell’esploratore genovese lo considerano come il simbolo del colonialismo.
Marino studia da anni la figura di Colombo, a cui ha dedicato diversi libri, e le sue ricerche lo hanno portato a svelare dettagli che potrebbero rivoluzionare l’immagine e la sostanza dello scopritore dell’America. Lo scrittore ha aperto la sua relazione sottolineando che già le strette relazioni del navigatore con re, papi e potenti dell’epoca, dovrebbero suscitare sospetti sul fatto che si trattasse solo di un marinaio. La sua cultura era profonda, e spaziava anche nella teologia, quando ad esempio diceva che «lo Spirito Santo è presente in cristiani, musulmani, ebrei e di qualsiasi altra setta».
Questa visione, rivoluzionaria anche per i nostri tempi insanguinati dalle differenze tra le fedi, lo era a maggior ragione alla fine del ‘400. Marino ha scoperto legami con Giovanni Battista Cybo che vanno oltre la somiglianza fisica, e fanno sospettare una qualche parentela, al punto da pensare che Cristoforo fosse suo figlio. Ma aldilà di questo, è l’interesse per religione, esoterismo e teologia, a fargli pensare che l’obiettivo del genovese non fosse solo colonizzare ricche terre, ma usarle per un progetto più alto e ambizioso: l’unità fra cristiani, ebrei e musulmani.
Anche l’abituale versione secondo cui Colombo pensava di andare in India, e quasi per caso aveva scoperto l’America, sarebbe in realtà un errore. Primo, perché l’esistenza di questo continente non era una nozione estranea a persone come lui; secondo, perché le Indie Occidentali non coincidevano con l’India di oggi, e il loro concetto geografico dell’epoca poteva anche includere quella che oggi chiamiamo America.
Marino scagiona poi l’esploratore italiano dall’accusa di complicità con le violenze contro gli indigeni, sottolineando prima di tutto che le sue azioni vanno contestualizzate in un mondo e un’epoca in cui lo schiavismo era molto comune. Il genocidio, secondo lo scrittore, era cominciato quando lui aveva ormai perso il comando delle operazioni, e comunque se non fosse stato lui a scoprire l’America, cinesi o musulmani avrebbero comunque conquistato il continente.
Resta da vedere quanto questi argomenti potranno cambiare il giudizio su Colombo dei detrattori americani, che comunque lo considerano il punto di inizio e il simbolo della colonizzazione, chiunque fosse il suo mandante e qualunque fossero le sue motivazioni. Le ricerche di Marino però aprono spiragli che potrebbero cambiare la storia moderna come l’abbiamo conosciuta finora.