Come molti sto seguendo i mondiali di calcio. Uno spettacolo che va oltre il gioco. Dove al posto di tante chiacchiere saccenti, inutili e spesso fastidiose (un discorso a parte meriterebbe il prolisso e ampolloso circo-lo dei mondiali), sarebbe meglio, ogni volta che è possibile, nelle pause e negli intervalli, inquadrare il pubblico, in un campionario di facce, di espressioni, di gioie, di lacrime e di travestimenti incredibili.
Il gioco del calcio, come accade spesso agli sport, unisce i popoli. Ma allo stesso tempo è la dimostrazione di quanto siamo diversi. Ci limitiamo a tre immagini. I tifosi giapponesi, che ripuliscono di loro iniziativa gli spalti dopo la partita, come il loro “mister” che si inchina al suo pubblico dopo l’eliminazione. Anni luce lontani da come ci comportiamo in Italia. Una lezione di senso civico ed educazione. E ancora i giocatori del Marocco, che si inchinano, sicuramente in direzione della Mecca, dopo l’inaudita vittoria sulla Spagna. Un segno di rispetto per la fede, ma anche il pericolo che la religione condizioni ancora troppo le menti della civiltà musulmana. In una rivalsa legittima, come però la moneta dalla doppia faccia che l’arbitro fa volteggiare ad inizio partita.