Oltre alla piramide di Caio Cestio a Roma esisteva un’altra piramide in ambito vaticano. Che cambiò di luogo fino a essere posta in borgo dove era ancora presente durante il pontificato di Innocenzo VIII, Giovanni battista Cybo, il papa “sponsor” di Colombo. Si trovava nella zona di borgo, più o meno dove si apre ora via della Conciliazione. Finché non fu rimossa da papa Borgia nel 1499. Sarebbe interessante conoscerne il perché.
Da Enrico Calzolari autore del libro "Lunigiana terra di Templari" e "Lunigiana e rotta atlantica dei Templari" riceviamo e pubblichiamo:
A Volastra (Cinque Terre) vi era la chiesa di San Lorenzo dei Templari, con il simbolo della cavalcatura in facciata. All'interno, nel corso dell'ultimo restauro, è stata ritrovata una croce pomellata. La chiesa è stata poi dedicata a Nostra Signora della Salute. All'estremità del sagrato è stato abbandonato un cippo contenente nella parte alta due cavalieri con cotta da guerra e mani giunte, in preghiera di fronte al fiore della vita, che è in questo caso rappresentato dalla pianta di mais giovane. Al di sotto vi è la rappresentazione della bandiera della flotta da guerra templare, con teschio e tibie incrociate, che, alla chiusura amministrativa dell'Ordine, è stata adottata dai pirati, sapendo che era considerata una bandiera imbattibile sui mari ( i Templari erano anche maestri di arti marziali).
Prove della conoscenza del mais esistono a Barga, a Tuscania, a Caramanico Terme, nella facciata della chiesa dedicata a San Tommaso Becket (sia pianta giovane sia la pannocchia). Prove della conoscenza del cacao esistono a Tuscania ed a Caramanico Terme, all'interno della chiesa (sia la cabossa intera sia la cabossa tagliata a metà con i grani del cacao). Nessuno ha mai identificato il cacao. Perché negare che la pianta giovane del mais (con 9 ramificazioni - 6 + 3 )sia rappresentata nel cippo di Volastra, peraltro vandalizzato?
Io non sapevo della notizia della coltivazione del mais nella diocesi di Acri, con tanto di pergamena datata al 1257, pubblicata da parte di Loredana Imperio (LARTI).
Una sequenza di immagini fra i vari continenti di esseri con le teste adorne di piume. Possibile che anticamente ci si vestisse uguali senza che vi siano stati contatti fra le varie popolazioni? Basta guardare agli abbigliamenti odierni. Diversissimi da paese e paese per avere la risposta più logica. Lo stesso potrebbe dirsi per l’uso dei tatuaggi oggi tornati di moda. Proprio perché le mode trasmigrano da una località all’altra grazie oggi al tam tam mediatico. In alto un capo indiano fra due statuette azteche in basso una testa etrusca, una ceramica in Iraq e un sileno a Pompei. Vedi anche: http://www.pianetagaia.it/blog/post/1122/popoli-tatuati
L'ananas, in spagnolo piña, frutto tipico del Latinoamerica, dalla pronuncia esattamente uguale alla pigna, nostrana, con la quale potrebbe confondersi, rappresenta uno dei tanti misteri relativi ad una trasmissione di conoscenze fra i due mondi in tempi antecedenti alla cosiddetta “scoperta” dell’America. La troviamo difatti disegnata negli affreschi di Pompei, nelle teche del museo egizio del Cairo, dove l’ha fotografata Adriano Forgione, in una statuetta romana rinvenuta da Elio Cadelo in un museo di Ginevra. Così come girando nel Museo del Palazzo Massimo alle Terme di Roma si può fare l’ennesima incredibile scoperta. Su un pavimento del secondo piano si può notare, difatti, qualcosa di molto particolare. Il mosaico, datato agli inizi del I secolo dopo Cristo, riproduce un cesto di frutta che nasconde un vero enigma. Vi sono riprodotti, partendo da sinistra, alcuni fichi, delle mele cotogne, un grappolo di uva nera, alcune melagrane e un alimento impossibile: appunto un ananas.
La presenza di questo succoso frutto ha lasciato senza parole, perché la pianta dell'Ananas sativus, appartenente alla famiglia delle Bromeliacee, arrivò nel vecchio continente solo dopo i viaggi di Cristoforo Colombo. Quindi prima della scoperta dell'America gli Occidentali non potevano conoscere questo frutto tropicale. Il Museo nazionale romano è uno dei siti archeologici più importanti di Roma, ospita collezioni riguardanti la storia e la cultura della città in epoca antica. La struttura si trova negli ambienti del convento costruito nel Cinquecento nelle terme di Diocleziano. Impossibile parlare solo di coincidenze, è evidente, anche se non si sa come, che i romani all'inizio del I secolo dopo Cristo conoscessero l'ananas. Il mistero dell'ananas è un vero rebus che ha aperto la strada a varie ipotesi, come riportato da Wikipedia. Si è pensato alla possibilità di scambi commerciali oltreoceano o di importazioni dall'Africa occidentale, dove l'ananas è coltivato. Un'ipotesi vorrebbe che l'artista avrebbe cercato di raffigurare una pigna, ornandola con un ciuffo di foglie, ottenendo un risultato ingannevole per i posteri. Altra possibilità è che il mosaico sia stato sottoposto ad un restauro integrativo che ha portato all'introduzione dell'anomala presenza. Sono le solite “pezze” messe a contraddire una presenza inspiegabile. Come ultima curiosità varrà la pena di ricordare che il papa “sponsor” di Colombo, Innocenzo VIII, creò in San Pietro una fontana proprio con una grande pigna romana (vedere in altra pagina del sito), oggi situata nel cortile omonimo. Ancora una coincidenza o un gioco sottile di allusioni?
«Per gli Aztechi l' VIII giorno, il “Coniglio”, era governato da Mayauel, dea della Luna associata al Pulque, bevanda inebriante ricavata da un cactus* [ma] immagini del coniglio che estrae dalla luna l'elisir dell'immortalità sono presenti già nella Cina Han intorno al I secolo a.C. o poco prima» (David H. Kelley).
In entrambi i sistemi calendariali, i giorni sono associati agli elementi (acqua, fuoco, terra, metallo e legno) e agli animali (cervo, cane, scimmia, etc.) anche se non vi è sempre esatta corrispondenza - variabile in base alla fauna locale - . Un giorno legato al “Giaguaro” del calendario maya coinciderebbe con la “Tigre” di quello cinese, allo stesso modo il “Coccodrillo” mesoamericano troverebbe rispondenza nel “Drago” asiatico. L'impiego del programma informatico INTERCAL ha confermato l'elevata relazione sistemica tra il calendario maya ed il calendario cinese. Sono state notate anche somiglianze linguistiche: i termini che riflettono ordini vigesimali di grandezza in alcuni dialetti maya e le parole che riflettono ordini decimali di grandezza in alcuni dialetti cinesi risultano (quasi) intercambiabili. Analogie di questo tipo suggeriscono che i calendari mesoamericani e cinesi possano avere avuto la stessa origine e non si siano sviluppati in maniera indipendente. Possono esserci stati contatti tra i popoli del Messico/Guatemala ed alcune popolazioni eurasiatiche tra il I ed il II secolo d.C.
(*) Le raffigurazioni del coniglio legato alla luna compaiono per la prima volta in Mesoamerica intorno al VI secolo d.C.
[A destra una rappresentazione della ruota dello zodiaco cinese e al centro il disegno della Piedra del Sol azteca, non maya come erroneamente riportato nella didascalia dell'articolo di riferimento (http://www.theepochtimes.com/n3/2150907-mayan-calendar-similar-to-ancient-chinese-early-contact/)]
Le similitudini appaiono sorprendenti ancora una volta anche con il calendario egizio (immagine a sinistra), come ci ha fatto notare Bruna Rossi.
S.L.
La piana di Nazca, in Perù, con le sue misteriose linee e i disegni impressi nel terreno arido e in parte pietroso, è un enigma irrisolto sul quale in molti si sono scervellati, anche con studi durati tutta la vita: Non hanno tuttavia fornito la risposta definitiva. Naturalmente si parla persino di piste di atterraggio per extraterrestri. Siamo stati a Nazca in tempi in cui il mistero non aveva ancora avuto la diffusione planetaria dei nostri giorni e abbiamo conosciuto il dottor Chiabrera, il collezionista delle pietre di Ica, che aveva raccolto in un suo personale museo.
Buchi nella terra che nessuno sa spiegare. Strane sequenze di perforazioni del terreno in una convergenza di usanze rimaste misteriose che ancora una volta unbiscono Oriente ed Occidente. Si trovano vicino alle misteriose linee di Nazca in Perù. Come in Egitto nel deserto. O addirittura a oltre 50 metri sotto il livello dell’acqua nel lago di Qarum nella zona occidentale del paese. Quando sono state fatte? Chi le ha fatte e perché? Tutti interrogativi sino a questo momento rimasti senza risposta.
A Firenze, nella Cappella dei Magi, a palazzo Medici Riccardi, si può ammirare il capolavoro di Benozzo Gozzoli affrescato sulle pareti. Nel quale si nasconde, in un misterioso secondo piano, un personaggio dalle pelle scura e con tre piume in testa: un inconfondibile indio americano. Questo decenni prima della “scoperta” ufficiale nel 1492 del continente americano.
Anche le mura parlano un linguaggio comune fra Oriente e Occidente. Mura antichissime, mura megalitiche che si ritrovano in località agli antipodi fra di loro. Le architetture mutano e si sono diversificate sempre nel corso dei secoli alle varie latitudini, possibile che in un’era lontana si siano seguiti gli stessi identici criteri senza una conoscenza comune? Possibile che si tratti di una coincidenza o non piuttosto di contatti realmente avvenuti? Ne mostriamo solo alcune come esempio, da quelle italiane di Alatri, del Circeo e di Amelia, l’antica Ameria in un nome che richiama suggestivamente il continente americano. Contrafforti ciclopici si ritrovano anche nell’antica Grecia (a sinistra sotto), in Giappone (nella seconda fascia a destra) e nel Perù (le ultime due due foto). Da notare infine, nelle mura degli Incas, l’incredibile perfezione degli incastri. Combaciano al punto tale che non vi può penetrare la punta di un coltello, mentre le pietre sembrerebbero tagliate come un burro. Cosa che sarebbe difficile, se non impossibile, anche oggi. Come hanno fatto se non avevano alcuna tecnologia a detta degli esperti? Mentre a guardarle con attenzione viene un pensiero azzardato, ma forse nemmeno troppo. E cioè che quel tipo di costruzioni perfette in Latinoamerica siano state esportate e replicate nei nostri territori per essere imitate dagli europei in modo molto più grezzo e artigianale. D’altronde i Greci non hanno combattuto con gli atlantidei?
Eddy Kühl Managua, Nicaragua 25 Junio 2015 Edición Impresa
¿Por qué? «Chontales» no es nombre local del centro-norte, sino que así le llamaban los nahuas del Pacífico a estas hermosas sierras en el horizonte azul en el centro de la Provincia, pues para ellos significa extranjeros, groseros, que no hablaban náhuatl. Los amerrique eran de los mismos matagalpas (misma lengua, misma cerámica “cacaolí naranja”, mismas estatuas de piedra cilíndricas (no eran ídolos), costumbres, etc., quienes negociaban con los mayas del norte, estos (los mayas) se cree que bajaron hasta acá al sur, e hicieron súperestructuras que ahora buscamos profesionales nicas con la “Fundación Ulúa-matagalpa, y estamos seguros de encontrarlas al sur de este departamento. Pues la toponimia de “Amerrique”, “lugar del viento” o “donde el viento sopla”, así llamaron los mayas a esta cordillera.
In his book The Naturalist in Nicaragua written in 1874, British geologist Thomas Belt stated that the source of America’s name originated in the Amerrique Mountains – an important source of gold in the early 1500s. Nicaraguan archaeologist Jorge Espinosa also stated that the Amerrique gave their name to the Western Hemisphere, however, he based his thesis, for the University of Louisiana, on historical maps – drawn by John Cabot in 1497 – where the name Amerrique already appears 5 years before Columbus set foot in Nicaragua in 1502 (El Nuevo Diario October 18, 2005).
* Miembro de la Academia de Historia y Geografía de Nicaragua.
Ai primi del Cinquecento, un grande geografo, l’olandese Johannes Ruysch è l’autore di una clamorosa affermazione che coincide con quanto sosteniamo da oltre 25 anni. Lo scienziato, sulla cui carta il Giappone non compare, scrive che «Marco Polo afferma che … c’è un’isola molto grande chiamata Cipango (il presunto Giappone, in un errore marchiano che si continua a protrarre), i cui abitanti adorano idoli e sono governati da un re … La loro terra è ricca di oro e di ogni genere di pietre preziose. Ma per quanto le isole scoperte dagli spagnoli occupino questo spazio, noi non dobbiamo arrischiarci a localizzare qui quest’isola, essendo dell’opinione che quelli che gli spagnoli chiamano Spagnola (l’odierna Repubblica dominicana con Haiti, n.d.a.) è in realtà Cipango, poiché le cose che sono descritte come caratteristiche di quest’ultima sono state rilevate anche a Spagnola in aggiunta all’idolatria». Lo stesso valga per l’antropofagia. Difatti il passo più sorprendente contenuto nei “Commentari reali degli Incas” di Garcilaso de La Vega afferma che «Il Padre Blas Valera, parlando delle antichità del Perù e dei sacrifici che gli Incas rendevano al Sole riconoscendolo per padre, dice quanto segue, e lo cito alla lettera: “Nella qual venerazione, i successori rendevano al Sole grandi sacrifici di pecore e di altri animali, mai però di esseri umani, come a torto sostengono Polo e quanti lo hanno seguito”». E’ evidente che anche Blas Valera come Garcilaso identificano il Cipango con territori delle Americhe, in questo caso il Perù.
Dall’Indonesia alle tombe delle isole Sulawesi e i Moai dell’isola di Pasqua. Strane somiglianze si rincorrono in località lontane fra di loro, specie per quanto riguarda gli occhi bianchi. Forse sono solo suggestioni o forse sono indizi di lontani contatti. Come anche le costruzioni su anfratti rocciosi. Dagli Anasazi del Messico fino ai Chachapoias del Perù per finire addirittura con l’Africa dell’antico impero del Mali nelle ultime due fotografie.
Crociata, guerra santa, infedeli, guerre di religione sono termini appartenenti ad un triste e sanguinoso passato tornato tristemente d’attualità. Per cui proponiamo queste carte che riproduce quali furono i momenti storici, gli itinerari che videro lo scontro fra Cristianesimo ed Islam e gli ordini cavallereschi che ne furono protagonisti.
A proposito dei Cinesi in America prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo il professor José Luis Rosùa Campos ci ha inviato alcune immagini, che rafforzano quella che ormai non può considerarsi una semplice ipotesi. In Perù ad esempio sono centinaia i toponimi di località perfettamente identiche nel nome a corrispettivi cinesi. Avanzando anche il possibile scambio a senso inverso, che condividiamo, fra le due sponde dell’Atlantico. Questo il testo della mail che il professore dell’Università di Granada ci ha inviato:
“Tengo alguno de sus libros y le felicito por su rastreo de la sociedad italiana del momento que permitió apoyar el "descubrimento tardio", que otros hicieron mucho antes, mesopotamicos, fenicios, griegos, árabes, chinos y dravidas . Usted me envia algunas pruebas de ello (chinos) y yo trabajo en muchas mas pruebas de la presencia mediterránea en America desde el 3000 antes de Cristo (Caral, Perú). Los jomones de Japon lo hicieron 4000 años antes de Cristo. Pero tambien es muy interesante la "volta" de los americanos al Mediterraneo (etruscos, y celtas, etc, etc entre otros).
Ciertamente las elites del mundo renacentista, entorno a los Mecci y los Paleologo, conocian de la existencia de America, entro otros los Geraldini Vespucci, Colombo di Cuccaro, los Cybo, etc, etc,. Los Medici necesitaban retomar la importación de especias, que se complicaba , por el dominio turco del Oriente mediterraneo y todo ello propicio la descoperta colombina.”
Nelle foto alcuni manufatti dalle sembianze tipicamente orientali oltre al comune culto del drago e disegni identici sulle ceramiche. Da sinistra due foto relative alla cultura Chorrera, la terza alla cultura Olmeca. Poi dal Perù un classico mandarino cinese ed infine due foto relative alla cultura La Tolita Tumaco, al confine fra Colombia ed Ecuador.
José Luis Rosúa Campos
Ciencias Ambientales
Edificio Politécnico
UNIVERSIDAD DE GRANADA
Le analogie fra le due sponde del pacifico sono sempre tante. E non fanno che accumularsi. Se tre indizi fanno una prova in questo caso gli indizi si rivelano innumerevoli. A riprova di contatti precolombiani che vanno molto indietro nel tempo. È il caso di totem e statue che paiono avere un’unica ispirazione. Come quelle di Tula in Messico (nelle prime due foto) e in Nuova Caledonia (penultima a destra). Che ricordano anche le immagini sulle tombe del 1300 dei Geraldini, gli amici di Colombo e suoi protettori alla corte di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Alessandro fu inoltre quello che convinse la regina a dare l’ok all’”operazione America”. Per finire con una testa Maya nell’ultima foto.
Josquin Desprez, trascritto anche Des Prés o Desprès (1450 circa – Condé-sur-l'Escaut, 27 agosto 1521), è stato un compositore franco-fiammingo. È contemporaneo di Leonardo da Vinci (è morto, come lui, in Francia, due anni dopo) e nel XVI secolo fu definito "il Michelangelo della musica". Recenti ricerche hanno ipotizzato che Josquin possa essere il soggetto del quadro di Leonardo "Ritratto di musico", in precedenza riconosciuto in Franchino Gaffurio.
Da 500 anni si disputa, ci si confronta, ci si affronta su chi per primo ha raggiunto le Americhe. Tutti hanno i loro primati, che divergono sia per regioni geografiche di provenienza, sia per interessi economici, politici, di bandiera e persino religiosi. Non c’è nessuno che potrà mai dare una risposta conclusiva. Perché chi fu il primo non lo sapremo mai. Per noi, non ci stancheremo di ripeterlo, l’unico che ha fondamentale importanza è l’ultimo, il definitivo, quello con il quale l’ “otro mundo” è diventato una realtà, mutando fino ai giorni nostri il corso della storia. E questi non può essere che Cristoforo Colombo. Chapeau! Ma se anche noi volessimo partecipare al gioco dell’oca dei primatisti abbiano da tempo il sospetto che possano essere stati, fin da tempi molto antichi, precedenti anche a Cristo, i Cinesi. Sempre che dall’America non siano stati loro a venire prima da noi. La civiltà cinese è stata da sempre incredibilmente sviluppata, ma altrettanto gelosa delle proprie tradizioni, al punto da costruire una muraglia che la escludesse dal resto del mondo considerato barbaro, per finire con il distruggere tutte le loro carte geografiche per impedire ogni possibilità di contatto e di comunicazione per chi avesse avuto l’ardire di sfidare l’interdetto. Abbiano già fatto, con le immagini, il percorso da Oriente a Occidente del simbolo del serpente-drago sacro (vedi sul sito). Ma credo che sia necessario riprodurre ancora una volta due delle immagini proposte. La loro identità è straordinaria, sorprendente, rivelatrice. Questi due serpenti draghi uno maya e uno cinese in giada non possono essere, come tante volte si sostiene, per cancellare una scomoda verità, una coincidenza. Queste sono il segno inequivocabile di una trasmissione del pensiero e delle credenze che trasmigra dall’America alla Cina e viceversa attraverso il lungo serpente-drago dell’oceano Pacifico. Le due rappresentazioni sono il prodotto a stampino di un’unione indissolubile e culturale che attraversa il tempo. Una scoperta di fronte alla quale ogni scetticismo dovrebbe cadere. Anche se così non sarà. Perché qualcuno ha scritto: "La verità attraversa sempre tre fasi: nella prima viene ridicolizzata; nella seconda ci si oppone violentemente; infine, la si accetta come ovvia.". E questo vale anche per quanto stiamo diffondendo da 25 anni sulla storia di Cristoforo Colombo e di papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo.
Continuando nella ricerca degli indizi comuni fra le due sponde dello sconfinato Pacifico c’è un altro elemento che unisce quelle popolazioni lontane, ma vicine attraverso scambi sviluppatisi fin da tempi molto antichi. Un elemento connesso in particolare alle credenze e ai costumi mortuari. E’ la giada. Pietra sacra, che dona in qualche modo l’immortalità e preserva dalla decomposizione dei corpi. Particolarmente impiegata nelle usanze funebri sia nei paesi asiatici ed in particolare in Cina sia nelle terre Maya, in Messico e in Perù. Come è dimostrato in questa serie di foto con i vestiti di giada in alto intessuti a volte di fili d’oro per i cadaveri degli imperatori cinesi e sotto con le maschere, le sculture e gli oggetti rinvenuti nelle tombe dei paesi latinoamericani. A completare il tutto ritorniamo sulla figura del drago serpente con tre dischi, uno di provenienza mesoamericana e gli altri due in giada rinvenuti in Cina. Le “coincidenze” si moltiplicano, mentre il dubbio di contatti anche prima di Cristo sconfina sempre di più nella certezza. Senza nulla togliere al primato di chi ha cambiato la storia del mondo: Cristoforo Colombo.
Ci sono singolari similitudini iconografiche, che uniscono continenti molto lontani fra loro. Abbiamo già visto il “filo rosso” che si dipana dall’Europa verso l’Asia e da lì alle Americhe nell’immagine terrifica del serpente-drago. Oggi proponiamo una serie di sculture, che sembrerebbero avere una matrice comune, a cominciare da un’immagine dell’Honduras, seguita da un manufatto maya e uno del Guatemala. Per poi trasferirci, traversando il Pacifico, in Cina e a Bali e infine in Giappone con un antico e nobile samurai nel suo abbigliamento guerriero. Nella fila sottostante ancora sculture, questa volta della misteriosa civiltà precolombiana degli Olmechi nel Messico centrale con i loro grandi visi contrassegnati addirittura da tratti negroidi. Ai quali fanno da eco quelli più stilizzati e dai connotati decisamente orientali di una statuetta sempre olmeca e di una del Guatemala, per finire con due visi sorridenti, alla stregua di Monne Lisa dagli occhi a mandorla, che fanno parte dello spettacolare parco archeologico di Angkor, in Cambogia. Ancora una volta solo e sempre semplici suggestioni?
Il serpente-drago è un simbolo antichissimo. Attraversa moltissime culture e si fa risalire ai Celti. Agli albori era un simbolo positivo, poi con il tempo si è tramutato in negativo a cominciare dalla tentazione di Adamo ed Eva. In particolare con la religione cristiana l’ottica è radicalmente cambiata. Così San Giorgio uccide il drago e gli infedeli diventano a loro volta il drago da estirpare. Ma è curioso il filo russo che attraversa e unisce le regioni della terra da Occidente ad Oriente, sull’onda delle spire di una bestia terrifica. Thailandia (figure 1 e 2), Corea (figura 6), Bali (figura 3), Giappone (figura 4), Cina (figura 6) lo rappresentano sul fronte dei paesi asiatici, ma se si supera lo sconfinato oceano Pacifico ecco riapparire le stesse immagini sulle terre latinoamericane: Messico (figura 7), Maya e Atzechi (figure 8, 9 e 10), Quetzalcoatl (figure 11 e 12), Incas. Del Perù e lago Titicaca (13-14-15). Tutti accomunati dal serpente-drago. Segnale di una possibile comunicazione che lega le due sponde della grande distesa oceanica? Ormai è assodato che i Vichinghi siano arrivati in America prima di Colombo (chi è stato il primo non lo sapremo mai e la storia è cambiata solo con l’ultimo, il definitivo: l’Ammiraglio). E quali erano le polene dei “drakkar” degli uomini del Nord? Guarda caso ancora il drago (tutte le figure della terza fila). Inoltre in una delle immagini che abbiamo trovato si scorge sulla vela una croce rossa (compare anche nella leggenda di San Brandano, monaco irlandese) proprio come quella che inalberavano le caravelle di Cristoforo Colombo. Forse si tratta solo di una suggestione. Che comunque lascia pensare.
Una lettera poco conosciuta di un Presidente americano, il massone Abramo Lincoln. Il quale usa il tono della profezia. Nel testo si esprimono singolari concetti circa l’importanza e la necessità di riapprodare alla culla di Roma, per un felice futuro della civiltà.
Ecco alcune delle più famose e importanti frasi su Cristoforo Colombo: il navigatore ritenuto (quasi all'unanimità) lo scopritore dell'America. A dimostrazione che su questo tema l’ignoranza è atavica.