Non riesco a immaginare Asia Argento nei panni di Santa Maria Goretti, offesa e posseduta dall’orco. Quando è stata “vittima” di violenza era maggiorenne. Figlia di un noto regista e di un’attrice a quell’età doveva essere scafatissima e conoscere tutto del mondo del cinema, rischi Wenstein e “regola del divano” compresi. Lo ha confermato quella lucido-svampita di Marina Ripa di Meana. Fra l’altro Asia ha dato sempre mostra di non essere affatto acquiescente e di avere un certo caratterino. Aggiungici che è stata la moglie di Morgan, che certo non aspira alla beatitudine. Mi pare pertanto che Aria Maria Vittoria Rossa (all’anagrafe) avesse tutti i requisiti per potere sfuggire alle grinfie del megaproduttore galattico. Benché alto due metri. Non era forse una smutandata, ma non era Heidi. Inoltre la loro storia pare sia durata parecchio. Ora dopo oltre 20 anni, mentre tutti scagliano le loro frecce, contro il maial-cinghialone finalmente azzoppato, anche Asia si unisce al coro tardivo ed entra nella mischia a suon di fendenti. Ha fatto bene, ha fatto male? Una cosa è certa: ci ha pensato parecchio, decisamente troppo. Ora per di più fa l’offesa di fronte all’atteggiamento di alcune donne italiane, che non la difendono e tanto meno si sentono rappresentate da lei. Nemmeno quelle che la violenza l’hanno subita davvero. Al punto che minaccia (?) di andare all’estero. E in tutto questo bailamme chi le viene in soccorso? Nientemeno che la Presidente(essa) della camera Laura Boldrini, che dei problemi seri del paese non si sogna minimamente di occuparsi al di là della questione migranti a modo suo. Per il resto preferisce il cazzeggio e Novella 2000. Ora Asia mostra il ditino ai fotografi, che non sono proprio dei gentleman. Rischiando ancora una volta. Perché ne immaginiamo le risposte. Forse Asia se le va a cercare.
Ma queste ci sono o ci fanno? In una gara forsennata alla ricerca dell’idiozia pura, del concetto demenziale, delle affermazioni più arroganti, più ignoranti e più becere. Fra la Boldrini e la Raggi è una bella lotta, ma la Presidenta della camera appena si sente insidiata nel primato è subito pronta a spararle sempre più grosse. Ultimamente ha inanellato una sequenza da Parkinson galoppante spacciandola per fondamentali della nostra vita presente e futura. Secondo i diktat della sciantosa di Sel. E via con la tiritera che i migranti sono un esempio al quale dovremo adeguarci, poi la battuta che il maschio nel concepimento non c’entra niente, a seguire la visita da coatta con tanto di piedi nudi in bella mostra nelle ciabatte da papa Francesco, mentre quando incontra una semplice donna islamica si mette puntualmente il velo. Infine la dichiarazione che le opere del fascismo andrebbero distrutte, perché suonano offesa ai nostri liberatori. Ditemi voi c’è o ci fa? O meglio c’è e ci fa? O è un caso da neuro? A questo punto è evidente che la Raggi per quanto si sforzi si allontani in classifica con i suoi auto-voti ai suoi auto-grandi meriti. Che non sia all’altezza e che non lo sia mai stata, prosopopea a parte, è dimostrato dalle condizioni catastrofiche di Roma. Non c’è un angolo di capitale che non sia la dimostrazione palese della sua inefficienza, della sua assenza. Però il tricolore al collo, di cui si compiace, le dona e lei continua a cinguettare sorda a ogni richiamo. A volte nemmeno quelli dei suoi ventriloqui. Laura e Virginia, due nomi per poeti e per un’Italia da bordello. E pensare che speravamo sinceramente nell’altra metà del cielo nelle stanze dei bottoni.
All’ignoranza dell’Islam fondamentalista fa da contraltare l’ignoranza di chi gode nel porgere sempre l’altra guancia. Ai quali non bastano le prove continue che “i fratelli musulmani” offrono con dovizia e orrore quotidiani. Ultimo (la notizia è data per vera) l’ imam islamico, che ha candidamente ammesso che la scelta della squadra saudita di non prendere parte ad un minuto di silenzio per le vittime del terrorismo di Londra è normale, perché “non è un peccato per un musulmano uccidere un non credente“. Sheikh Mohammad Tawhidi ha detto che è una ‘bugia’ dire che la cultura musulmana non ricorda i morti con un momento di silenzio, come asserito da alcuni commentatori per scusare i sauditi, e invece ammette senza problemi che la squadra di calcio non ha condiviso il lutto perché sta con i jihadisti. Il che, almeno, è una forma di non ipocrisia. “Non hanno rispettato il momento di silenzio, perché, secondo la Sharia – che governa l’Arabia Saudita – non è sbagliato o peccato per un musulmano uccidere un non-musulmano”.“Ai loro occhi, i terroristi sono martiri che ora sono in paradiso. Se avessero rispettato il minuto di silenzio sarebbero stati contro i loro fratelli che hanno combattuto per il jihad e combattuto gli infedeli”. Sheikh Tawidi ha infine precisato che il team sarebbe stato ‘ridicolizzato’ (o peggio) una volta tornato a casa se avesse commemorato le vittime dell’attentato.
Siamo di fronte all’ennesima dimostrazione che con l’Islam è impossibile dialogare. Per dialogare bisogna essere in due. Ed è da idioti pensare di esportare la democrazia. Dobbiamo solo stare attenti a non dover prima o poi soggiacere alla loro teocrazia. Con tutto quello che comporta.
I giocatori dell’Arabia Saudita, schierati in campo contro l’Australia della quale erano ospiti, non hanno preso parte in campo al minuto di silenzio per le vittime degli attentati a Londra. Mentre gli australiani, che piangevano due vittime, si stringevano in un abbraccio, si sono sparpagliati per il campo come se niente fosse. Con molto ritardo sono state presentate scuse farisaiche, peggiori dell’affronto nello stadio: “Il minuto di silenzio non appartiene alla nostra cultura”. Una menzogna perché ci sono stati dei precedenti. Con l’aggravante di un’ulteriore offesa. Come dire: “della vostra cultura ce ne freghiamo”. Forse non è uno scontro di civiltà. Certo è uno scontro di culture. Che sono alla base di ogni civiltà. Si trattava di rendere omaggio a morti innocenti. Come si è soliti fare in tutte le parti del mondo. Soprattutto quando i protagonisti sono degli sportivi (?). Senza contare come i musulmani rendono gli onori ai loro morti e ai cosiddetti martiri. Senza contare che l’Arabia Saudita, sia pure nell’ambiguità totale, non è nemmeno considerata fra i paesi più estremisti dell’area del golfo. Ma la storia insegna che i mediorientali sono maestri di doppiogiochismo e dissimulazione. Purtroppo anche questo non basterà ai buonisti occidentali. Che per paura di essere considerati razzisti o poco progressisti vorrebbero guidarci giulivi verso l’”harakiri”. Per la cronaca la partita è stata vinta dall’Australia. Forse nemmeno Allah ha gradito.
Più che l’uscita di scena è stata la celebrazione di un rito. Quasi pagano. Mai visto nulla di simile per un campione, per quanto grande, che abbandona l’attività. Più che un addio al calciatore Francesco Totti, in arte re di Roma, è stata la beatificazione dell’atleta e dell’uomo. Lui ha incarnato il “verbo” di una squadra amata più che una fede. Santo subito. Alcuni storcono il naso e dicono: non ha vinto molto. E’ vero, ma è anche vero che avrebbe potuto vincere molto di più. Se solo lo avesse voluto, se solo avesse dato ascolto alle sirene che lo chiamavano altrove. Lo stadio era stracolmo, alla fine era una piscina per le lacrime che scorrevano. Alcuni dicono: ma ha guadagnato un sacco di soldi. E’ vero, ma è anche vero che avrebbe potuto guadagnarne molti di più. E non è stato sempre, aggiungono, un esempio di cavalleria sul campo. E’ vero, ma porta sulle gambe i segni di chi cercava di fermarlo a tutti i costi. E allora che cosa fa di lui il “capitano, mio capitano”, come in un velo di poesia (vedi “L’attimo fuggente”), oltre al suo fare sornione, al suo sano prendersi in giro? E alla sua capacità rabdomantica di intuire, prima ancora che il pallone gli arrivi, dove indirizzarlo in un nanosecondo per fare più danni possibili all’avversario? In un’arte che tutti gli hanno sempre riconosciuto. Anche al di là dei confini. Ma il rito che lo ha visto grande sacerdote con gli occhi lucidi ha avuto poco a che fare con le regole del calcio. In lui il popolo dello stadio ha gratificato sì il dispensatore di gioie sportive, di momenti di gloria, ma soprattutto un esempio rarissimo, prezioso, dati i tempi, di fedeltà. Altro che un carabiniere. Fedeltà ad una sola bandiera, fedeltà ad una sola squadra, fedeltà alla sua tifoseria. In una sorta di santa dedizione o devozione. Ed in questo nessuno ha vinto più di lui. Ora dice di avere paura. E’ da capire, non avrà più il ciuccio nella bocca.
Non mi piace Spalletti. Trovo indecente e vigliacco mandare in campo Totti per tre partite di seguito negli ultimi minuti. Suona come una beffa. Se è una vendetta non gli fa onore. Se non lo è significa avere la sensibilità (anche calcistica) di un elefante. Se poi segue le direttive della società il fatto si commenta da solo. Aveva ragione Ilary.
Non si dimetterà il ministro delle Finanze olandese e presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, eurosocialista e sostenitore delle misure di austerità gradite alla Germania. Contestato da alcuni eurodeputati mediterranei per le sue critiche ai Paesi membri del Sud con difficoltà di bilancio, si è giustificato: «Non ho intenzione di dimettermi. Sono spiacente che qualcuno si sia offeso per la mia osservazione. Era severa, viene da una cultura olandese severa e calvinista» ed è stata detta «in modo diretto, all’olandese». Dijsselbloem in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine televisiva ha spiegato che «la frase sull’alcol e le donne si riferiva a me stesso. Ho detto che non posso aspettarmi che, se spendo il mio denaro nel modo sbagliato, posso poi chiedere un sostegno finanziario». Il fatto di dover rispettare gli impegni per poter ottenere aiuto, ha aggiunto «non si applica al Sud ma a tutti i paesi» e l’accostamento con i soli paesi del Sud della sua frase è stato «molto infelice».
La frase per la quale Dijsselbloem era stato criticato era apparsa sul quotidiano tedesco Faz: «Durante la crisi dell’euro i Paesi del Nord hanno dimostrato solidarietà con i Paesi più colpiti — aveva detto Dijsselbloem —. Come socialdemocratico do molta importanza alla solidarietà, ma hai anche degli obblighi, non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto».
Il clan De Magistris non demorde. Dal sindaco in bandana arancione, al fratello e ora anche alla alla Dolce metà, presente al corteo a Napoli contro Salvini. Colta in una foto surreale, accanto ad una biondina assessore ai giovani e persino con delega alla sicurezza e alla Polizia municipale (!). La signora Maria Teresa Dolce (!) è ironia della sorte titolare di una cattedra di diritto (!). Tranne quello di poter esprimere il proprio pensiero. Le giustificazioni sono di un aberrante populismo: “Io non sto con i razzisti che odiano Napoli e il sud”, “Io sto con i centri sociali”, lui. “E’ giusto che nel nostro Paese si possa ridere del diritto alla vita altrui, solo perché di colore della pelle diverso?”, lei. Tutti e due naturalmente a posteriori contro la violenza. A danni provocati e fatti. Al punto che o’ sindachiello aggiunge: “Qualcuno forse voleva gli scontri”. Bravo Luigino chi è quel qualcuno? Può l’ex magistrato essere così ingenuo da non avere preventivato la guerriglia dopo aver cercato di impedire il comizio di Salvini, proprio come volevano i “suoi” centri a-sociali? “Io ho la coscienza pulita” persevera il caudillo a doppio fondo. Finché avremo questa magistratura e questi pseudo-politici, colti da orgasmi multipli quando si guardano allo specchio, non c’è speranza né per la giustizia né per l’amministrazione. Come probabilmente non ci può essere in Salvini, che ha però tutto il sacrosanto diritto di parlare. E che al cospetto del sindaco e congiunti, in pieno e delirante culto della personalità, sembra una mammoletta.
Ancora una volta i centri a-sociali mettono a ferro e fuoco una città, istigati da un esaltato magistrato caudillo, De Magistris. Questa volta è capitato a Napoli. Favorevoli dunque a Salvini? No, favorevoli al suo diritto di parola. Mentre ancora gli idioti metropolitani si ammantano di un logoro antifascismo, che non ha più senso. Visto che il pericolo viene dai neo-sfascisti come loro.
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PUAH!
Parallelamente allo sbando, che ormai da tempo attraversa il Paese, in un declino senza via d’uscita, anche la lingua parlata, il linguaggio di tutti i giorni sta subendo un’involuzione irreversibile. Si discetta con sussiego di sdoganamento della parolaccia, ma il punto non è questo, non stiamo sdoganando le brutte parole, stiamo spalancando la bocca ad un profluvio di volgarità, stiamo limitando il vocabolario, in un corto circuito del cervello, all’uso ripetitivo di sconcezze buone a tutti gli usi ed in tutti i momenti. Ed in tutti gli strati della società. Lo fanno i politici, lo fanno i cantanti, lo fanno gli attori, lo fanno gli intellettuali, la tv, le radio … lo fanno persino i bambini. Un segnale di libertà, un segnale di emancipazione? No, solo un segnale di regressione, di ignoranza, di maleducazione debordante, che offendono anche la musicalità dell’italiano. Ormai a tutti sarà capitato di ascoltare colloqui di giovincelli che ogni tre parole, spesso sgrammaticate, si avvalgono di un vaffa …, di un cazz …, di uno stron … Se poi si aggiungono gli anglismi, le parole coniate ex novo (valga per tutte l’idiozia straripante sui media di “petaloso”), gli scritti delle chat e i balbettii di Twitter è facile pronosticare un de profundis per quella che è stata la lingua di Dante, dei poeti e dei santi. Allora l’italiano si risciacquava in Arno. Ora nell’inquinamento mentale (e non solo) imperante, un’operazione analoga appare impossibile, anche perché i fiumi sono cloache. Poiché l’inquinamento è ovunque, come la spazzatura, che dai cassonetti tracima sulle bocche e nelle menti. Occorrerebbe a questo punto un’operazione in stile “Salvate il soldato Ryan”. Un wwf come per le specie animali in via d’estinzione. Ma gli animali fanno sempre tenerezza. Persino più degli umani. Le parole no, anche se in principio fu il Verbo. Che tra un’oscenità e l’altra si bestemmia pure.
Patata bollente come titolo non è il non plus ultra della cavalleria giornalistica. Quanto un calcolo furbesco, che ha ottenuto certamente di più dell’effetto sperato. Perché è indubbio che il can can cercato e che ne è seguito deve avere in parte sorpreso perfino quell’educanda innocente di Feltri. La Raggi come sindaco-a è un’apocalisse? La Raggi in quanto donna non si tocca. Solo che le donne, come era già accaduto tristemente addirittura per i morti, non sono tutte uguali. Dipende dal colore politico. Ricordate quell’esaltata della Guzzanti contro la Carfagna? Di lei si poteva dire di tutto. E tutti a tacere. Anzi a compiacersi. Senza contare che il burattinaio volgare e boccoluto, che intruppa i cinque stellati è il campione delle volgarità tramutate in programma politico. Seguito a ruota dalla coatta ripulita della Taverna, che impalerebbe il direttore di Libero, reo di avere i genitali al posto della testa. In un imbarbarimento del linguaggio politico da strada, che richiederebbe un ente preposto alla pulizia della lingua italiana dalle parolacce usate come un mantra. Specie in politica. Ma in tutto questo frastuono è passato invece praticamente sotto silenzio l’episodio più grave. Quello dell’attacco veramente osceno di un’attricetta, Asia Argento, che come tale non se la sarebbe filata nessuno, se non ci fossero stati mamma e soprattutto papà. E di cui, a parte quello con Verdone, non si ricorda un film particolarmente decente. Che con un tweet e una foto se l’è presa con Giorgia Meloni definita “ricca e lardosa”: "Back fat of the rich and shameless - Make Italy great again - #fascist spotted grazing". "La schiena lardosa della ricca e svergognata - Facciamo l'Italia grande di nuovo - #fascista ritratta al pascolo"). La Meloni ha partorito da poco, la sua colpa quella di essere nello stesso ristorante in cui mangiava senza vergogna la “poveretta” Asia. Ma la Meloni è di destra. Anche di lei come dell’orco Berlusca si può dire di tutto e di più. Senza che nessuno si inalberi più di tanto. Mentre i fascisti sono sempre gli altri per gli imbattibili campioni dei due pesi e due misure. Anche se l’intolleranza è il primo sintomo di un dna fascista. Mascherato a parole da democrazia. Il guaio è che molti italiani si appecoronano.
Vedo Sanremo e non me ne vergogno. Lo considero una spaccato del paese alla stregua di un trattato sociologico. Fedele nei secoli a se stesso, ma ogni anno con alcune varianti indizio degli umori cangianti della società. Per la verità ora lo vedo a sprazzi, perché data la lunghezza non resisto ad un’attenzione continua. Ma se la manifestazione canora non mi scandalizza, mi lascia esterrefatto il contorno. Il profluvio di commenti e di notizie. E la venerazione per Maria-Madonna, brava come Conti. Anche se manca al tandem il volo, il guizzo estemporaneo (sorvoliamo sulla trovata dei denti posticci). Mai, in una forma di soggezione psicologica, nessuno che la critichi, anche quando veste triste come una damina di San Vincenzo (ahi quel completino nero!) o si presenta con il volto rinfrescato, ma singolarmente cinesizzato. Mi scandalizzano le paginate sprecate per uno spacco di una bella donna (vedi Leotta) a coscia levata. Con appendice di un’altra coscia televisiva (vedi Balivo) che la critica. Ma soprattutto il cicaleccio continuo, da pollaio a orario continuato, che ci perseguita su tutti i canali dalla mattina alla sera. Il Festival dura 5 giorni, è già un’eternità, ma il paese e soprattutto i media non possono concentrare per una settimana intera tutta la loro attenzione su una passerella musicale e sui suoi protagonisti. Canta che ti passa? Bruxelles se ne frega. Sanremo è Sanremo? E sti caz…”. Per fortuna con le scimmie è tornata per un attimo l’allegria. Incoscienza?
E come nota lieta “gli eroi del quotidiano”. Una trovata paraculesca, un po’ zuccherosa, che ci ricorda però che al di là della santa Maria e delle canzonette, l’Italia che non si arrende, per fortuna, è anche questa.
Sembra l’immagine di un film surrealista, ma è la realtà: un membro della famiglia reale dell’Arabia Saudita ha noleggiato un intero aereo riservando un posto a ognuno dei suoi falchi su un volo della compagnia Qatar Airways. L’immagine, diffusa su Reddit, è diventata subito virale e ha fatto il giro del mondo in pochissime ore. In effetti sembra davvero incredibile che sia stato pagato un biglietto aereo per ognuno di questi volatili, esattamente come se fossero persone, permettendo loro di viaggiare in tutta sicurezza e grande comodità. La foto è stata scattata e inviata dal comandante di bordo ad un suo amico che l’ha pubblicata sui social scrivendo: Un mio amico pilota mi ha mandato questa foto. Un principe saudita ha comprato biglietti aerei per i suoi 80 falchi. Di solito tuttavia sono ammessi non più di sei volatili alla volta, ma evidentemente stavolta, trattandosi del principe, è stato fatto uno strappo alla regola. Nei paesi arabi i falchi, insieme ai cani, sono gli unici animali ad essere ammessi a bordo degli aerei e addirittura sono dotati di un particolare passaporto specifico per gli uccelli rapaci, che è stato introdotto nel 2002 per contrastare il traffico illegale di tali volatili, il cui costo è esorbitante, infatti possono arrivare a costare più di un milione di euro. Durante il volo i falchi hanno gli occhi coperti da particolari protezioni per evitare che si agitino e che si spaventino.
Questo è un paese in agonia, alla canna del gas. A meno di miracoli. Non abbiamo una classe politica minimamente degna di questo nome da decenni. Tutti pensano al protrarsi del loro esclusivo potere, delle loro congreghe, dei loro partiti. Mai alle necessità comuni. Il solco con i problemi quotidiani del popolo è abissale. Vivono in un altro mondo. Ovattato dai privilegi. Non conoscono problemi di fine mese, non conoscono problemi di lavoro, non conoscono problemi di traffico, non conoscono problemi dei mezzi … non conoscono niente, sono all’oscuro di tutto. Come insaziabili animaletti ciechi. Che guardano il dito, ma ignorano la luna. La crisi morde, ma loro non l’avvertono. Fino a quando? E’ possibile rivedere la luce dopo il lungo tunnel? Non mi pare che ne esistano i presupposti in un paese ingessato.
Il Pil è il più basso in Europa. Si spera che cresca. Ma come? In Italia non si fanno figli. La spesa per loro si è quanto meno dimezzata. I figli grandi non producono, rimangono in casa con mamma e papà fino a 40 anni. Non possono comprare, i genitori abituati a risparmiare hanno già tutto e non comprano. Gli unici nuovi a fare figli sono gli immigrati, sono anche i nuovi consumatori. Ma si accontentano di poco o niente, anche perché di più non possono. Peraltro il denaro che riescono a risparmiare lo inviano alle famiglie nei paesi d’origine. La grande distribuzione ingoia la piccola, che è costretta a chiudere, le piccole aziende che non sono in grado di trovare sbocco all’estero falliscono. Le banche, a volte criminali, operano a livello di banditismo legalizzato. Tecnologia e robotizzazione fanno il resto. La disoccupazione non può che aumentare. Chi può fugge, come molti pensionati che vanno a vivere in altri paesi per non pagare tasse e esose. In compenso aumenta l’ aspettativa di vita, che non significa migliore salute, ma spesso accanimento terapeutico e vecchiaia con le stampelle, con il costo della sanità diventato una voragine. Per cui occorre tagliarla sempre di più anche nella speranza che gli italiani si decidano a morire prima. Come questa situazione e questo cancro terminale si possano tradurre in un domani migliore i politici nemmeno se lo domandano. Le loro parole, le loro promesse, senza colore politico, sono sempre le stesse. Il refrain di un disco rotto, di cui non avvertono il molesto frusciare. A tutto questo si è aggiunta la natura, con i terremoti, con le sciagure ricorrenti in un Paese dissestato. L’Italia balla sull’orlo dell’abisso. Non resta che il miracolo. Ma i miracoli si avverano nelle fiabe. Mentre gli italiani vivono una tristissima realtà. Purtroppo spesso anche per colpa loro. Basta guardare in che luridume riducono i loro centri più belli e le loro coste più belle. Amen.
All’indomani della strage di Charlie Hebdo avevamo detto tutti: “Je suis Charlie”. Un modo di partecipare all’assurdità di una tragedia che ci aveva colpiti e in seguito alla quale sentivamo il bisogno di mostrare la nostra solidarietà. Come noi un’infinità di persone. Tutto era nei tre colori della Francia. E’ dura, duole, ma bisogna pentirsene a fronte delle nuove imprese di quel foglio che pretende di essere satirico? Prima la vignetta sulle vittime del terremoto, che era già un affronto alle morti, alla sofferenza, alla disperazione. Ora addirittura quella sulla valanga che ha travolto l’hotel di Rigopiano in Abruzzo. Con uno scheletro che scende sugli sci con due racchette-falce e il fumetto che allude alla neve che non basta per tutti. Satira? Un gusto macabro, un compiacimento necroforo. Degno di un horror. L’avrebbero mai concepita e apprezzata quell’immagine offensiva e crudele, lontana da qualsiasi forma di umanità e tanto meno di sensibilità, se sotto quella mortifera tomba bianca ci fosse stato un loro figlio? Si può ridere, si può concepire di fare satira su vite stroncate in quel modo? Vite persino di bambini innocenti. In una sorta di vampirismo vignettistico, che grida vendetta. Noi partecipiamo al loro strazio, loro si divertono al nostro. Togliendoci per il futuro la voglia e lo slancio empatico di poter dire “Je suis Charlie!”. Se dovesse essere questo il risultato del fare satira meglio porre un freno alla libertà di satira. Che non può essere mai quella del beffarsi, sfiorando il gioire, delle disgrazie altrui.
All’estrema destra la risposta di un vignettista italiano.
Continua il grande spettacolo delle maschere italiane, che popolano la gran commedia della non-arte della politica italiana. Capitan Fracassa Poletti maramaldeggia contro i giovani che vanno all’estero: “Meglio toglierseli dai piedi”. Colombina Moretti, la graziosina che viene bene in tv, si dà malata circa gli impegni costituzionali, ma è in vacanza in India, il nano Brunetta si incavola con la conduttrice televisiva e le intima di chiamarlo presidente, professore o quanto meno onorevole come terza scelta, conscio che oggi non sia un gran titolo da sbandierare. Ricordando il Sordi del marchese del Grillo: “Io so’ io e voi non siete un caz …”. La sciantosa Maria Elena Boschi, altra versione della Colombina, quella che si sarebbe ritirata qualora avesse vinto il no, ha sgranato gli occhi cerulei ed è ancora in sella sulla poltroncina. Come la terza Colombina, la botticelliana Madia, trombata e riciclata. Come infine la Ragonda servetta bugiardina, il neo ministro dell’istruzione, che minacciava anche lei di scomparire dopo la sconfitta ed invece rivendica una laurea o una licenza che nemmeno ha. A meno che non si intenda come dicastero della ricerca, altro ruolo che le è stato assegnato. Balanzone Bersani dall’Emilia invia a Renzi un velenesossimo: “Stai sereno”. Lo Stenterello Giachetti, in un’assise di partito di “primaria” importanza se la prende con l’avversario, confondendo la faccia con il culo. Nella scia di Capitan Spaventa Grillo che la parola la usa ormai come se fosse un mantra. E via così in una proliferazione di arlecchini servitori di due padroni. E poi non lamentiamoci se passiamo per il paese di Pulcinella.
Sempre più in basso. Sempre più verso l’abisso. Lo avete sentito Roberto Giachetti, vicepresidente nientemeno che della camera dei deputati, all’assemblea del pd? Dare della “faccia di culo” a quello che dovrebbe essere il prossimo sfidante di Matteo Renzi? Quella faccina acerba e appena irsuta di Roberto “Davide” (contro Golia) Speranza (in che cosa?). E pensare che il gentleman avrebbe potuto essere il sindaco di Roma, se non ci si fosse messa di mezzo quella nullafacente della bambolina Virginia Raggi, anche lei figlia del grande “vaffa” del sor Grillo. Ma che cosa sta accadendo alla politica italiana, fra un movimento-partito maggioritario fondato sul vaffa e un partito al potere che si prende a vaffa in faccia? Ma che cosa sta accadendo al pd, fra un aspirante sindaco, unto, mai sbarbato e trasandato con il look da lavavetri al semaforo e un aspirante leader, mai sbarbato pur se azzimato e apostrofato come zimbello dai suoi stessi compagni di partito? Ma che cosa sta accadendo al lessico dei parlamentari italiani che all’incapacità e all’ignoranza aggiungono persino il turpiloquio come in un cinepanettone? Purtroppo avvelenato per il cittadino italiano. E’ chiaro che con questi chiari di luna un Matteo Renzi, il Golia di turno, pur con tutti i suoi difetti, appaia un gigante. Mentre sarebbe ora che chi usa un linguaggio da trivio venga messo quanto meno in quarantena. Dovrebbero essere di esempio. Non sono in grado di andare più in là del malcostume da borgata ormai imperante ovunque. Il coattismo al potere. Così in alto così in basso filosofeggiava qualcuno anticamente. Che non si sarebbe mai nemmeno sognato questo sfacelo.
A me l’uscita di scena di Renzi è piaciuta. Mi è piaciuto anche il quadretto familiare con Agnese fuori quinta e composta a dargli coraggio. Per una volta abbandonate le smargiassate il Matteo sconfitto si è rivelato umano e dignitoso. Forse si atteggia a duro e prepotente senza esserlo fino in fondo. Non e’ stato un referendum, è stato un “deguello”: uno contro tutti. Con i suoi compagni di partito avvelenati e decisi a farlo fuori. E’ vero i comunisti non mangiano i bambini, mangiano i loro leader. Renzi ci ha messo la faccia, ha ammesso la debacle in tutta la sua inattesa dimensione. E si è dimesso, come a suo tempo aveva dichiarato. Sinceramente credo che si sia persa un’occasione, ma l’odio (“non pensavo che mi odiassero tanto”), i difensori della costituzione e gli esperti di matite hanno stravinto. Mi auguro, ma rimangono forti dubbi (al punto che a quanto scritto tempo fa e che ripropongo non cambierei una virgola), che abbiano visto giusto, anche se l’assembramento e perché no l’accozzaglia non mi pare foriera di futuri traguardi. D’altronde basta guardarsi intorno. Se non renzi chi? Dove stanno gli uomini in grado di rimettere in sesto la baracca di una repubblica baldracca? Basta guardare i toni di tutta la campagna referendaria per capire che quasi nessuno pensava all’italietta, ma solo al proprio tornaconto politico. Che ritorna trionfante nei festeggiamenti di chi ha vinto. E il paese? Quello conta solo negli stadi e forse in occasioni dei terremoti. Salvo poi scoprire che anche le ricostruzioni sono preda della corruzione. Con la benedizione di tutto l’arco politico.
Domenica 20 novembre papa Bergoglio, con la fine del giubileo, ha chiuso la Porta Santa in San Pietro, dopo che si sono chiuse tutte le altre aperte nel mondo intero. Pubblichiamo una poesia ricordando, nella stessa occasione, un altro grande pontefice, Giovanni paolo II.
Contro tutti e contro tutte le previsioni Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Gli analisti che fino a ieri davano per vincente Hillary Clinton, invece di tacere continuano a fare, senza cospargersi il capo di cenere, le loro previsioni come se nulla fosse. Se si dovesse giudicare alla luce delle cose dette durante la campagna elettorale ci sarebbe sinceramente da preoccuparsi per l’umanità intera.
Confesso che non ne posso più, ho letteralmente la nausea per le manifestazioni violente di quattro gatti imbecilli, che si arrogano il diritto di cambiare il mondo a modo loro. E sono dalla parte dei poveri giovani poliziotti, costretti a difendersi da o a manganellare i loro coetanei. Antagonisti, centri sociali, black block … tutte definizioni assurde. Solo “idioti metropolitani”.
Non sono fanatico del calcio, ma mi piace vedere sugli schermi della Rai una bella partita in tv, cosa rara ormai in Italia, e mi accontento perciò delle sintesi, con relativi risultati, classifiche (anche dei cannonieri). E aspetto con pazienza i filmati, le azioni e naturalmente i gol. Ma tutto questo ormai è un optional di trasmissioni dal chiacchericcio continuo. Vada per allenatori e giocatori, che tutto sommato sono i protagonisti, anche se a loro volta sono di una noia mortale. Ma sono i giornalisti e gli ospiti in studio a rendere il calcio televisivo insopportabile.
Dario fu. È evidente che è morto un grande. Un grande, grandissimo artista. Un affabulatore e un giullare insuperabile. Ma l’uomo? Un uomo dimezzato. Ora in morte, come è costume in questa Italia, si affannano i peana. Ognuno ricorda un particolare, magnificando la persona, meravigliandosi che si comportasse come un comune mortale. Come se non lo fosse. Eppure nella sua vita, come in quella della sua compagna, le ombre ci sono ed anche pesanti. Mentre il figlio Jacopo rammenta che furono molte le censure (ingiuste) che lo colpirono.
Sembrano oggetti innocui, innocenti. Una tastiera, uno schermo, sono gli oggetti del mondo virtuale. Fanno ormai parte irrinunciabile del nostro quotidiano. Inflazionando e sminuendo il valore della parola amicizia. Per diventare addirittura, in alcuni casi, un’arma micidiale. Tramutando il web a volte, con i suoi tentacoli iperspaziali, in un inferno e in una camera di tortura. Che non colpisce il corpo, ma la mente. Dove tutti si sentono in dovere di scagliare la prima pietra. Che differenza c’è fra le donne lapidate dalla barbarie del fondamentalismo islamico e le ragazze costrette a suicidarsi per essere state messe alla gogna, come nel caso di quella splendida trentenne bruna dagli occhi smaglianti? Indotta al suicidio per essere stata svergognata, dopo aver mandato il suo filmato hard ad alcuni “amici”. I quali hanno provveduto a renderlo virale (non a caso la parola deriva da virus, un virus letale).
Non era una grande Italia. Si è comportata da stragrande Italia. Siamo stati svegliati nel sogno da una squadra rabberciata, sconfitta solo ai rigori. I tedeschi non possono menare alcun vanto. I miracoli accadono una tantum. Antonio Conte il suo lo aveva costruito con la pazienza certosina e la tenacia di chi mette in piedi un castello di carte. Tutto si può dire tranne che la squadra non abbia dato l’anima. Perché l’esempio veniva dal suo allenatore. Un forsennato dell’area tecnica, un supporter che vale uno stadio intero. Con lui l’azzurro senza astri pareva combaciare, con i suoi comprimari, in un “unicum” in grado di esprimere un calcio a tratti pregevole e ad alzare muri insuperabili per gli avversari. Concretizzando il grande lavoro a ragnatela nelle perle dei gol. Conte nelle interviste non cerca di fare il simpatico, anzi è scostante, granitico nella difesa dei suoi ”ragazzi” anche quando, nelle partite che hanno portato all’europeo, il loro calcio era penoso. Un autentico condottiero, che ha fatto di tanti pedoni un gruppo in grado di dare scacco anche al re. Abbiamo battuto il Belgio, che era tra i favoriti, abbiamo sbattuto fuori i campioni in carica della Spagna, che quando è in giornata esprime ancora il calcio più bello. Stavamo per ripeterci con i crucchi campioni del mondo, ai quali abbiamo impedito qualsiasi meraviglia. E che quando sono andati in gol l’hanno fatto in modo fortunoso. Resta il rammarico di alcune assenze, il primato dei passaggi sbagliati, l’idiosincrasia per il dischetto (ahi Zaza, ahi Darmian, ahi Bonucci proprio tu, ahi Pellè, il centravanti che gioca soprattutto di petto, ma che ha siglato due reti stupende e per niente facili), l’aver utilizzato poco Insigne, gli arbitraggi che non ci hanno certo favoriti. Ora Conte se ne va. La truppa perde il suo collante. Ma l’avventura in Francia si chiude da vincenti. Un grazie azzurro.
Quest’Europa che doveva essere l’inizio di una nuova fratellanza è un’accozzaglia di egoismi. Anche spietati. Quando nacque l’euro vergai uno dei miei aforismi: “Con l’euro l’Europa ha unito i portafogli. Restano da unire propositi e speranze.” Alla luce dell’oggi, ma anche dell’immediato ieri, sono stato facile profeta. Mentre la torre di Babele economica comincia a sgretolarsi.
È evidente che chiamarsi Christo può dare alla testa, ma pretendere addirittura di fare camminare le persone sull’acqua … L’artista che impacchetta (da non confondersi con quella becera trasmissione tv dei pacchi) ci ammannisce l’ultimo suo pacco. Una passerella colorata sul lago d’Iseo lunga tre chilometri.
L’uomo è di una superbia infinita. Ha chiamato un suo progenitore “sapiens”. Sono passati milioni di anni. Per arrivare allo stadio tutt’al più di “insipiens”.
Femminicidio è una parola aggraziata. Questa è una strage. Non passa giorno senza l’annuncio di una donna giovane o meno giovane uccisa. Nei modi più cruenti. C’è un Isis montante nella mente degli uomini italiani. Molti di loro vorrebbero solo schiave del sesso e non accettano di rinunciare alla “proprietà”, non tollerano l’abbandono. Compagne come oggetto, costrette a subire, a immolarsi, vittime anche della sindrome di Stoccolma, per cui rinunciano a denunciare il partner violento, fino all’ultimo mortale appuntamento. I vili guerrieri del fondamentalismo islamico pochi giorni fa hanno bruciato in una gabbia 19 giovani: si rifiutavano di diventare le loro schiave private. I maschi italiani non sono da meno. Anche Sara è stata bruciata.
Uno contro tutti, tutti contro uno. So che mi alienerò simpatie, forse qualche amicizia, so che qualcuno chiederà di essere cancellato, ma non posso fare a meno di esprimere il mio pensiero. Certo lo spavaldino ha l’aria compiaciuta del meglio “figo del bigoncio”, passa in rassegna le truppe a petto gonfio, come a dire “ammazza che te sto’ a combinà”. Lui stesso ha ammesso che l’essere arrogante è un suo difetto. Ma a me pare che Renzi sia veramente diverso da quanti lo hanno preceduto.
Questi sono alcuni dei lanci che facemmo nel nostro blog all’indomani della strage del “Bataclan” a Parigi. Sono passati mesi interi, nulla è cambiato. Come se nulla fosse successo. Forse gli 007 efficienti e in grado di prevenire la follia e il male esistono solo nel film.
Mi sono fatta un’idea. Che Laura Boldrini, la snob Presidentessa (guai a dire Presidente?) abbia un piano preciso, lucido che persegue con ferrea e feroce determinazione, sotto la gelida coltre e la simulata e sfrenata ambizione, che fa di lei un incrocio fra una bella donna, Crudelia Demon o la Morticia della famiglia Addams. È stata sponsorizzata da Sel, la cosiddetta sinistra estrema.
Siamo già in un futuro da fantascienza spaventosa. Creature concepite e prezzolate al supermarket della fecondazione innaturale. Più cerco di trovare un senso, più sprofondo in paragoni da orrore, come orrore mi fanno le repliche di Nicki Vendola. Il kappa è voluto, in quanto simbolo antiamericano, qualche anno fa, dell’imperialismo a stelle e strisce. Contro il quale tuonava la zeppola dell’involuto gergo pugliese del leaderino Sel.
“Dobbiamo educare le giovani generazioni al culto della bellezza. E la bellezza non è la tratta delle prostitute. Vergogna! Volgare, volgare, volgare. Siamo arrivati all’establishment delle escort, a questo genere di degrado della vita pubblica. Bisogna avere rispetto delle donne, della loro dignità, della loro sensibilità. Non si può immaginare che siano carne da macello, corpo da mercimonio.”
Così con voce tonante si scagliava indovinate chi? Proprio lui, Nicki Vendola, disgustato e indignato dall’uso che delle donne faceva il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi.
La paternità di Vendola ha suscitato, come era prevedibile, un’ondata di reazioni. Mi meraviglio che ci si meravigli, data la notorietà del personaggio ed il suo impegno-ideologico-politico, in netto contrasto, sotto moltissimi aspetti, con una decisione del genere. Che comunque la si rigiri, a mio parere, è una forma di sfruttamento della donna e un mercimonio degli affetti più profondi.
Ho sperato fino all'ultimo, vista anche la smentita del fratello, che fosse un falso annuncio. Pare invece che la notizia sia proprio vera. Nichi Vendola è diventato “papà”. Coronando il suo sogno d’amore con il compagno Eddy Testa. È un maschietto, si chiamerà Tobia Antonio. Non avrà mai una madre. Ma quello che più mi sconcerta è che l’operazione sia stata concepita e realizzata da una delle voci capipopolo della sinistra estrema.
All’Università di Bologna uno sparuto drappello dei cosiddetti “collettivi” ha impedito che il Professor Panebianco potesse svolgere regolarmente la sua lezione. L’altro termine usato è antagonisti. E a questo punto mi domando perché i media perseverino in una sorta di complicità inconscia con l’uso scriteriato di simili definizioni. Collettivo significa pluralità, qua siamo di fronte a quattro imbecilli, che non raccolgono nemmeno il consenso dei loro colleghi. Una minoranza che si impone con la violenza ad una maggioranza. Antagonismo implica il confronto tra due forze. In questo caso in uno scontro che dovrebbe essere intellettuale.
Ho da tempo l’impressione, ormai diventata certezza, di vivere in un paese surreale. Dove i media, anche i più autorevoli, ormai vaneggiano quotidianamente. Come se non bastasse il cazzeggio planetario virtuale, dove troppi blaterano, manipolando la realtà o diffondendo gli umori del proprio ego a piè sospinto.
Non avrò più il tempo
di vedere l’Italia che conoscevo
l’Italia che sognavo
l’Italia che mi riempiva d’orgoglio
quando in un paese lontano
entrando in un museo
scoprivo che il mondo intero
si fa bello delle nostre bellezze.
Non vedrò più
l’Italia dell’infanzia
ferita dalla guerra
ma con il viso altero
il sudore sulla fronte,
quando le parole
sacrificio, onestà,
educazione e rispetto
avevano ancora un valore.
Quando in autobus
se saliva un vecchio
gli si cedeva il posto.
Quando la scuola era la scuola
e i genitori come i maestri
davano giuste punizioni
e nessuno fiatava
a casa poi per rimprovero
arrivava pure un ceffone.
Un’Italia di gente operosa
che andava avanti fra le macerie
un’Italia del dovere
prima ancora del diritto.
Un’Italia povera
che sapeva costruire
pietra su pietra e non aveva
l’ossessione del cemento,
un’Italia che si faceva
in ginocchio il segno della croce,
dove il sentimento della terra
era nelle braccia dei contadini.
Quando rubare
era una vergogna.
Non quest’Italia
di giovani di ogni sesso
arroganti, violenti, spudorati,
di lacchè e ruffiani
di politici ignoranti
senza la minima decenza,
di avidi famelici e corrotti,
di insaziabili carrieriste
dai seni di plastica
e bocche deragliate.
In un parlamento
ridotto a spelonca
fra risse e contumelie
da bar del biliardo
e perfino pornostar.
Gente che ha scelto la polis
solo per le gozzoviglie
l’arricchimento facile
i privilegi osceni da rapina
e il bordello dantesco.
Non quest’Italia aggredita
da disperati d’ogni colore
che fuggono nell’inganno
di trovare un paradiso.
Il paradiso in terra
non è mai esistito
ma quest’Italia di chi,
in un sussulto di antica
estrema dignità,
è costretto ad uccidersi
per non perdere la faccia
assomiglia sempre più
a una desolante bolgia.
Dove tutto è sconnesso
dove tutto è permesso
dove il caos impera
e non si sa da dove ripartire,
dove chi è alla guida
ha smarrito il senso
dell’orientamento,
dove i politici mutano
per rivelarsi sempre
un’ avvilente delusione.
Dove ogni parola
è spesso una menzogna
dove la burocrazia
è una melma che impantana
ogni voglia di fare,
dove le leggi
sono anche troppe
tanto nessuno le fa rispettare.
Dove mafia, ndrangheta
e camorra sono il biberon
di tanta gioventù perduta.
Dove il sopruso è diventato
un modo di esistere
dove si spaccano vetrine,
si incendiano auto
si uccide persino
per il gusto idiota di farlo.
Un’Italia che ogni giorno
stupra o massacra una donna.
Un’Italia sotto la minaccia
di un Islam che sprofonda
indietro nella storia.
Un’Italia che ha tradito
il bello e la cultura,
un’ Italia figlia bastarda
di Roma e Rinascenza.
Unica ad avere avuto
due volte nei secoli
lo scettro della civiltà.
Un’Italia nata per essere invidiata
ma che è soltanto da commiserare.
Mentre avanzano
in un lugubre canto
le prefiche del pianto.
Sanremo si ama o si odia. Non sono Sanremodipendente, ma seguo il Festival, tranne periodi di overdose, da quando ragazzino mi imposero di cantare “Vecchio scarpone” per i vecchietti dell’ospizio. E non ho nel tempo tradito “Vola colomba, La barca tornò sola o Papaveri e papere”. C’è però chi ritiene snobisticamente di menare vanto di non averla vista mai, di fregarsene e di farcelo sapere. Non te ne frega niente?
Non vedo l’ora che alle coppie omosessuali vengano riconosciuti pieni diritti di coppia (ma non parliamo per favore dei bambini). Così finirà l’uso improprio dell’innocente arcobaleno. Con i cantanti a Sanremo che, oltre che con le canzoni, fanno a gara a chi lo strumentalizza e sbandiera con maggiore fantasia.
Il supermercato Arcobaleno è immenso. Vi affluiscono da tutto il mondo. Per avervi accesso bisogna superare una serie di pratiche burocratiche molto severe e fornire la dimostrazione di avere un conto in banca cospicuo. In casi eccezionali sono ammesse anche le rateizzazioni. A fine anno chiudono per qualche giorno per controllare l’invenduto e preparare i saldi.
L’ideologia sfascio-comunista, dopo aver fatto distinzione fra le morti, ora si scaglia contro le nascite. Se non si ha in sorte una culla di sinistra si finisce per essere messi al muro persino in embrione. E’ quanto è accaduto a Giorgia Meloni, una persona fiera ed una donna in politica di cui, su altre sponde, si possono anche non condividere le idee. Ma alla quale non si può certo imputare il fatto di essere incinta.
Sul “Family day” si discute, come non è accaduto mai per le manifestazioni al Circo Massimo, soprattutto di numeri. Si è esagerato di sicuro, ma le cifre delle vere presenze debbono avere comunque dato molto fastidio. Ma questo rimbalzo polemico di calcoli curiosamente ha fatto passare quasi sotto silenzio le dichiarazioni vergognose di un’icona del mondo gay, Franco Grillini, ex Presidente Arcigay.
Con l’euro l’Europa ha unito i portafogli. Restano da unire propositi e speranze.
Sono con i gay che rivendicano i diritti di coppia.
Non sono con i gay grotteschi, che ambiscono al matrimonio con tanto di bouquet e velo da sposa. Chiamiamole unioni gay. Ma si difenda la parola matrimonio (mater) che, fra l’altro, è un sacramento.
I fatti di Colonia, con l’oltraggio alle donne, sono stati esaminati ormai da ogni punto di vista. Nessuna delle interpretazioni date mi ha soddisfatto completamente. 1) Colonia è stata la punta dell’iceberg, ma non è stata la sola città, né la Germania è stata il solo paese dove le aggressioni sono avvenute. 2) La concertazione è inequivocabile, alla luce del passaparola sul web e di alcune frasi che non lasciano spazio alle interpretazioni sofisticate. 3) E’ più che plausibile, grazie a queste informazioni, i gruppi si siano ingigantiti e che alcuni lestofanti europei infoiati o borseggiatori abbiano approfittato della ressa per partecipare a loro volta al “safari” sessuale o criminale.
Lo confesso a me Maria Elena piace, nel senso che la trovo piacente, in un riuscito incrocio fra Leonardo da Vinci e Botticelli. Confesso che la sua giovane età non mi provoca invidia, ma qualche perplessità in fatto di esperienza. Comunque a sentir le cronache pare che sia in gamba, al punto che qualcuno l’ha addirittura pronosticata come possibile futuro Presidente del Consiglio.
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. NERO. E’ dai tempi di Visentini, circa 50 anni fa, che si parla della voragine valutata oggi in centinaia di miliardi in euro sottratti alle case dello stato, che si rivale sui soliti noti, lavoratori fissi stipendiati e pensionati, condannati a pagare fino all’ultimo centesimo a causa del prelievo alla fonte.
C’è un interrogativo che mi assale da molto tempo. Riguarda le donne. Le donne moderne “navigatrici”, virtuali, internettiane, tecnologicamente all’avanguardia. E vorrei che fossero le donne a darmi una risposta. L’interrogativo riguarda i profili che usano nei loro diari o nelle loro foto. Raramente si svelano nella loro esatta identità. Spesso si nascondono e preferiscono immagini femminilmente generiche, oppure offrono un campionario infinito di gnocche stratosferiche. Svestite, scollate, scosciate, ammiccanti e persino sado-maso. Senza contare quelle che lanciano post da sballo per la goduria del macho. Il quale a sua voltai replica creando siti “segandosi per …”. La mia è una pura curiosità per indagare (anche se non sarà mai possibile) i meandri dell’altra metà del cielo. Mi pare evidente che queste esponenti del gentil sesso (e, per la verità, non me ne dispiace affatto) mostrano così di dissociarsi nei fatti dal femminismo fondamentalista. Che ripudia, a volte con ragione, la mercificazione del corpo. C’è poi la navigatrice che posta (lo fa raramente anche una persona intelligente come Selvaggia Lucarelli, anche se in questo caso non è facile nascondere il suo bello) e replica all’infinito foto e video invitanti di se stessa. E qua sorge un altro interrogativo. Esibizionismo, necessità di catturare l’attenzione e l’ammirazione confessando inconsciamente una profonda insicurezza, ricerca esasperata di approvazione anche rischiando le volgarità? Una volta ho provato a chiedere nel modo più garbato possibile il perché dei lanci a due belle donne oltre che alla stessa Selvaggia Lucarelli, che non ha replicato certamente perché riceve troppi commenti. Le prime due invece hanno risposto “incavolate” a male parole, cancellando subito l’amicizia. E non ho mai capito perché. Così come restano in piedi tutti gli altri perché.
Viviamo in un mondo di bari. Non c’è niente da fare. Non che il mal comune possa consolarci dei nostri cancri secolari. Ma ci eravamo fatta un’idea sbagliata della rettitudine “made in Germany”. Un po’ come la sinistra italiana, che si ergeva a paladina della morale per poi finire nel fango delle tangenti e della corruzione esattamente come tutti gli altri...
Noi ci auguravamo di poter diventare come i tedeschi per quanto riguarda il rispetto della legge. Non pensavamo che loro potessero scendere ai nostri livelli. Specie da quando bacchettano e vogliono mettere in riga (vecchio vizio) mezza Europa. Legano praticamente il cappio al collo a quei levantini dei Greci, che baravano sui bilanci, inguaiando un paese che pure ha donato menti impareggiabili all’Occidente come, solo per fare qualche esempio, Platone e Aristotele. Qualche concessione in segno di gratitudine la si poteva pur fare. Invece si scopre che anche loro, con la connivenza del governo, baravano sui gas di scarico delle auto, in un mondo dove il surriscaldamento del clima dipende anche dalle emissioni rilasciate nell’atmosfera. Un crimine da camorra. Noi ci strappavamo le vesti per Schettino. Loro, con la complicità della Lufthansa, mettevano alla plancia di comando di un aereo un pazzo, che decideva di andare a schiantarsi contro una montagna, coinvolgendo centinaia di vittime innocenti. Noi sia pure alla nostra maniera, un po’ sgangheratamente aiutiamo i profughi che arrivano sulle nostre coste, salvando migliaia di vite umane. Loro con la Merkel in persona prima si rifiutano, facendo piangere persino un’adolescente in diretta tv. Poi aprono le frontiere “generosamente” quando si avvedono che i siriani preparati e non straccioni possono essere utili in prospettiva alla loro economia. Una generosità pelosa. Mal comune dunque mezzo gaudio? No, c’è solo da piangere lacrime europee.
La foto ha fatto il giro del mondo. Un corpicino colorato nella risacca, come un burattino senza più i fili della vita. Ha suscitato commozione universale, ma persino reazioni completamente diverse. E’ capitato anche a me, che ho rilanciato più volte su fb la foto. Una signora mi ha invitato “ad ospitarne dieci per ogni camera della mia casa”. Un altro ha scritto addirittura “non me ne frega un caz … della morte …”. A questo punto è il caso di spiegarsi meglio. Personalmente non sono favorevole ad un arrivo indiscriminato di profughi, ma questo non toglie che non si può rinunziare alla “pietas”, non si può, se si appartiene a quello che dovrebbe essere il vero genere umano, non provare strazio per questi disgraziati, per questi disperati che preferiscono la roulette russa di un mare assassino ad una patria matrigna. Non si può tacitare la coscienza di fronte al calvario. Senza contare che è stato l’Occidente a destabilizzare le aree da cui fuggono. E in pieno Duemila non si può tollerare lo spettacolo di questo esodo straziante, se si vuole ancora parlare di civiltà. Come non si può accettare una tragedia che “strapazza l’anima”, come ha detto Renzi il quale almeno le parole le sa usare con efficacia, aggiungendo “Non è più il tempo di commuoversi, ma di muoversi”. Quanti sono già morti in un oceano di belle parole, mai fatte seguire da fatti concreti? Io mi occupo da 25 anni di Cristoforo Colombo. Eternamente accusato a torto di schiavismo. Era 500 anni fa, quando contro la tratta degli schiavi non esisteva nessuna legge. Oggi le leggi esistono. E non è schiavismo, anche più crudele, quello al quale assistiamo? Quando fa comodo le guerre si dichiarano. Per interessi spesso materiali. Ma pare che nessuno possa nemmeno disturbare i lidi da dove vengono gli scafisti. I morti innocenti sono centinaia, sono migliaia. Non è già questa una dichiarazione di guerra? O si tratta solo di zavorra?
Vengono dal niente
sono meno di niente.
Vengono dalla persecuzione
vengono dall’Africa
vengono dal Medioriente
da quelle che furono
le culle dell’uomo:
sono stati i primi
ora sono gli ultimi.
Vengono come polli
stivati senza spazio
sottocoperta senz’aria
sulle carrette sbilenche
legni colmi di stracci
e di carne scura
da offrire alla mattanza.
Vengono dal buio
vengono dalla polvere,
attraversano il mare
come la speranza,
onda dopo onda,
verso un futuro diverso
verso un futuro migliore.
Vengono dalla disperazione,
vengono dalle guerre,
fuggono dalla morte:
non sanno che la morte
ha il sapore del sale
anche quando è in vista
la terra promessa
e stanno per sbarcare:
perché si può morire
anche vicino alla riva.
Vengono dalla fame,
vengono dalla miseria,
avanzano sofferenti e muti
gli eredi di Goré
gli schiavi del Duemila
con le pupille nere
che si perdono lontano
in cerca di orizzonti
di un approdo negato:
uomini, ragazzi
donne incinte e bambini.
Ma basta un nulla
un refolo di vento
una coperta bruciata
un equilibrio perduto
e il terrore sbandato
per finire nel gorgo
di un’acqua assassina:
sono unti di gasolio
scivolano come anguille
inghiottite dai flutti,
gli occhi negli occhi,
terrorizzati, impotenti.
Un ultimo sguardo allucinato
prima di inabissarsi,
teste salgono e scendono
in una tragica altalena
braccia annaspano,
urlano come gabbiani
con la voce strozzata
dall’acqua nella gola.
Famiglie intere
a testa in giù galleggianti.
Come meduse fluttuanti
corpi nudi ondeggianti
riversi verso il fondo,
creature innocenti
con le scarpette nuove,
madre e neonata unite
dal cordone ombelicale
la vita e la morte
in un unico abbraccio
nel liquido amniotico
di un abisso spettrale.
Pagano per morire
viaggiano per morire.
Cadaveri che pesano
sulla coscienza del mondo.
Li raccolgono nel pianto
li compongono sul molo
nella conta delle bare
in un filare di manichini
sul cemento dell’indifferenza.
E ancora, ancora
ieri come oggi
e certamente domani.
Noi non guardiamo
noi non sappiamo
noi ci voltiamo:
siamo la civiltà
Papa Francesco ha sorpreso ancora. Dovremo abituarci al suo linguaggio da persona della porta accanto. Perché il nuovo pontefice, che si ispira alla povertà di San Francesco, spesso è in grado di restituire concetti che sembrano banali e scontati con parole vere, limpide, toccanti. Anche se troppo lontane dal linguaggio al quale ci avevano abituato altri vicari di Cristo e soprattutto il suo predecessore, dal carisma eccessivamente siderale. Però in questo sua “renovatio” del “verbo” papa Bergoglio rischia di cadere, come è accaduto, sulle bucce di banana di una comunicazione che, volendo essere diretta giustamente a tutte le sue pecore, scade alle volte in un semplicismo troppo terra terra. Un errore per chi dovrebbe avere l’esclusiva dei cieli. E’ il caso della frase: “se insulta mia madre io gli do’ un pugno”. Non condividiamo in toto il porgere l’altra guancia, ed infatti nemmeno la Chiesa lo ha fatto nel corso dei secoli, ma non aderiamo nemmeno a un novello Pietro, che minaccia di ricorrere alle mani. Anche se il contesto dal quale era partito meritava ogni considerazione circa i limiti di una libertà di espressione, che li oltrepassa scriteriatamente quando offende i credi religiosi ed i suoi adepti. Quando mette gli dei alla berlina. Ma autorizzando una replica violenta non si finisce per legittimare in qualche modo quanto è accaduto a Parigi? Di mettere benzina sul fuoco della guerra santa? Certo tra un pugno e una raffica di kalashnikov ce ne corre. Ma vallo a spiegare ai tagliagole! Ecco perché, pur amandolo, troviamo che “Franceschino pane e vino” dovrebbe evitare talvolta i luoghi comuni da parroco di campagna. Ormai siamo vaccinati a tutto, ma a un Santo Padre boxeur ancora no. Altrimenti il papa, quello che un tempo era il “Dominus orbis”, il padrone del mondo, rischia di fare la fine del re nudo.
Continuiamo a farci del male. Spesso ai limiti del grottesco e della gratuita autofustigazione. Ora di fronte al clima voluto dagli assassini di Parigi ci va di mezzo persino Peppa Pig, la misterica maialina rosa che, non si comprende bene il perché, è diventata l’idolo delle creature di mezzo mondo. Un’icona dell’infanzia, al di là di ogni connotazione di razza, visto che impazza in 180 paesi, calamitando l’attenzione dei più piccoli. Che rischiano di vedere oscurata la loro beniamina, con tutta la famiglia “pig”, a causa dell’ennesima fatwa. La notizia viene dall’Inghilterra, dove l’autorevole casa editrice “Oxford University Press”, che pubblica testi scolastici ed educativi e ha una notevole influenza nel mondo della cultura, ha deciso di evitare nelle pubblicazioni ogni riferimento al maiale e alle sue carni, oltre ai derivati, per evitare di offendere i precetti religiosi di musulmani ed ebrei. Non bastava, come accade da noi, togliere i crocefissi dalle scuole, abolire il presepe, ora la “porca idea” dei fondamentalisti del “politically correct” si scaglia lancia in resta persino contro i cartoni animati. Ci auguriamo che sia, anche se sgradevole, l’ennesima trovata pubblicitaria di chi ha come unico obiettivo quello di farsi conoscere da tutti e globalizzare il mercato a tutti i costi e costi quel che costi. Persino a sangue ancora caldo delle vittime della strage parigina. Altrimenti nemmeno “Charlie Hebdo” è sufficiente a fare comprendere che di resa in resa, di genuflessione in genuflessione finiremo per inchinarci verso la Mecca. Persino le comunità ebraiche e musulmane hanno giudicato il provvedimento “senza senso”. Come a dire che, in questo caso sì grazie a loro, sono ancora i musulmani a voler dettare i nostri comportamenti. Un tempo si mettevano i braghettoni alle immagini di Michelangelo, oggi si rischia di fare calare il fendente della censura sui sorrisi degli innocenti. Nella speranza che Peppa, come nell’immagine che pubblichiamo, non sia davvero all’ultima spiaggia.
Si è detto che ha rappresentato l’italiano medio. E’ vero, verissimo. Curiosamente è anche falso, falsissimo. E’ facile farsi amare mettendo in scena gli eroi positivi, i vincenti, i simpatici. Alberto Sordi invece non è stato mai ruffiano o compiacente. Non ha mai mediato. Ha scelto la via più rischiosa. Nel caravanserraglio di un Paese ricco di individualità, anche splendide, è andato alla ricerca delle macchiette più odiose, dei personaggi più sordidi. In questo qualcuno ha voluto individuare una colpa: gli idioti, purtroppo, spesso straparlano. Il particolare repertorio, nella carriera di Sordi, resta uno dei suoi meriti più grandi. Perché è riuscito a farci confrontare con il campionario dei difetti, delle debolezze nazionali, senza procurare traumi od offese, suscitando addirittura una risata. Ci ha messo davanti allo specchio, quasi senza farci accorgere che il riflesso era deforme e deformante, quasi ad ammonire: “ma che c’avete da ride”. Ma ha poi sempre dichiarato: “Sono orgoglioso di essere italiano”. Le sue non sono state semplici e felicissime maschere. La sue sono state le lezioni magistrali di un grande entomologo, le sedute ininterrotte di un eccelso psicanalista. Ha messo con il sorriso un intero popolo sul lettino di Freud, scegliendone gli insetti fior da fiore. Nel bene, come più spesso nel male. Per confessare difetti e vizi. Per suggerire a volte un catartico riscatto. Riuscendo a renderci complici delle sue operazioni a cuore aperto, nelle quali al posto del “transfert” scattava automaticamente il rifiuto. Perché ci si illudeva che il vetriolo satirico di quegli ometti messi alla berlina, ed allo stesso irresistibilmente ridanciani, riguardassero sempre qualcun altro e mai noi stessi.
Nell’esistenza di un uomo si verificano a volte strane coincidenze. Talvolta le coincidenze si sommano, paiono avere una puntualità sconcertante. Fino a sembrare non più frutto del caso, ma la firma apposta da quello che gli antichi chiamavano il fato. Il che avviene specialmente per le persone fuori del comune. E’ accaduto anche per la morte di Gianni Agnelli. Avvenuta nel momento più grave della crisi che ha colpito il gioiello di famiglia, la Fabbrica Italiana Automobili Torino, a poche ore dal passaggio delle consegne a colui che sarebbe stato il suo successore. A questo punto l’Avvocato è uscito di scena. Un segno del destino.